Requiem per Cassini, la macchina suicida
La sonda Cassini, dopo quasi venti anni di missione ricchi di scoperte fantastiche, si è disintegrata nell’atmosfera di Saturno. Tutto come da copione: l’autodistruzione era stata programmata per evitare l’impatto sulle lune saturnine, che sono piene di potenzialità, oggi solo biologiche, domani chissà. La storia della navicella intelligente, fabbricata in Italia e lanciata negli Usa, ricorda scenari degni di Kubrick. E per qualche istante si è concretizzato il lirismo della fantascienza più metafisica.
«Cosa mi succederà, dottor Floyd?»
«Niente, dormirai, Hal»
«Sognerò?»
«Non lo so».
Il dialogo, uno dei momenti di più alto lirismo della fantascienza mondiale, è tratto da 2010-L’anno del contatto (1984), il sequel dell’americano Peter Hyams di 2001-Odissea nello spazio, l’immortale capolavoro kubrickiano.
Né Hyams né il romanziere soggettista Arthur C. Clarcke né, forse, Kubrick avrebbero immaginato che l’eutanasia di una macchina intelligente sarebbe avvenuta per davvero.
Certo, a differenza del supercomputer Hal 9000, che si fa disattivare per salvare l’equipaggio, il processore della sonda Cassini non aveva l’autocoscienza, come non l’hanno i più avanzati prodotti dell’informatica odierna.
Ma Cassini si è suicidata a mezzogiorno del 15 settembre 2017. Ancora un mese e la sua missione avrebbe compiuto i vent’anni.
Il suicidio, programmato per motivi di ecologia cosmica (la sonda sarebbe potuta finire su qualcuna delle lune di Saturno, alterandone gli equilibri morfogeologici), è avvenuto come da copione: un’orbita più stretta attorno al signore degli anelli e poi il tuffo.
In meno di un’ora tutto è finito.
«Potrebbe esserci ancora qualche segnale telemetrico residuale in arrivo, ma mi è stato appena confermato che il segnale della sonda è cessato e nell’arco dei prossimi 45 secondi la sonda si sarà distrutta», ha commentato asciutto Earl Maize, il project manager della missione Cassini-Huygens.
Attorno a lui, nell’ovattata sala comandi del Nasa Jet Propulsion Laboratory di Pasadena, ci sono attimi di tensione. Qualcuno dei tecnici («Siete un team fantastico», li ha ringaziati Maize), si commuove, qualcun altro esulta. Tutti alla fine sorridono.
In circa vent’anni, la sonda, costruita in Italia e gestita da un team multinazionale, ha sfiorato Venere e Marte, ha sorvolato Giove, ha scoperto il metano su Titano e i fiumi di idrocarburi su Giapeto. Non solo: ha scoperto un’atmosfera su Encelado, in cui ci sarebbe dell’ossigeno e ha scattato foto a distanza ravvicinatissima, ai celeberrimi anelli.
Tutto con delle videocamere da un solo megapixel, roba che oggi farebbe ridere i ragazzini.
Ma tant’è: russi ed americani si fecero concorrenza nei voli spaziali usando computer meno potenti dei vecchi Commodore.
Chissà cosa potrà fare l’erede della sonda italiana, che sarà di sicuro super hi-tech ma, forse, incosciente come chi l’ha preceduta.
Cassini è sparita come un soldato: ha continuato a riprendere, scattare e trasmettere fino all’addio a una vita artificiale, ricca di intelligenza e carente di emozioni. Queste ultime, semmai, le abbiamo provate noi che, da terra, abbiamo seguito tutto e sapevamo già del suicidio.
Chiudiamo con un omaggio ancora a Clarcke e a 2010:
«Addio, dottor Floyd».
«Addio Hal».
Addio Cassini.
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