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Il ddl Fiano è antifascismo? No, solo una sciocchezza vintage

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Vietare il saluto romano e i gadget del Duce non serve a fermare l’intolleranza

C’era già il decreto Mancino: bastava applicarlo come si deve, una nuova legge non serve

La violenza si annida in tutte le culture politiche: è inutile sparare a senso unico

Iniziamo subito con una provocazione scontata, come fanno in molti su tutti i social network: Viva il Duce! Di più: Sieg Heil!, con tanto di braccio teso nel pieno della sua valenza simbolica fallica, che, a sua volta, sarebbe la supercompensazione estetica di chissà che disfunzioni e complessi, come ci raccontava certa psicanalisi vintage degli anni ’70.

Chi funziona e di complessi ne ha pochini, può prendere a ridere la tiritera con cui si spiegava che essere non allineati a certi diktat significava essere non solo ignoranti ma persino un po’ stupidi.

Invece non possiamo prendere a ridere il ddl del deputato Pd, Emanuele Fiano, con cui chi, anche per goliardia, viene beccato a fare il saluto romano o ad accendere una sigaretta con un accendino con effigiato il capoccione del Duce (o la consueta celtica) rischia fino a due anni di galera.

È l’ennesima volta che, in Italia, si tenta di istituire un reato d’opinione, tra l’altro senza nessun effetto concreto.

Al riguardo possiamo osservare una cosa: se si fosse applicato seriamente il decreto Mancino, emanato e confermato negli anni ’90 quando anche da noi emergeva il problema degli skinheads, oggi non ci sarebbe bisogno del ddl Fiano, che si annuncia sin d’ora come una normativa inefficace e caricaturale.

Intendiamoci: di certe repressioni c’è bisogno, perché il livello del dibattito e del linguaggio pubblico è scaduto paurosamente, anche grazie all’abuso dei social media. Ciò che prima era confinato nel privato, a volte più inconfessabile, oggi viene sbandierato in piazza senza pietà: gli insulti razziali e sessisti ai propri contraddittori e antagonisti; la xenofobia, legittima in una certa misura, che diventa razzismo; le incitazioni alla violenza, anche e soprattutto sessuale, e via discorrendo.

La spirale c’è e va almeno contenuta.

Ma siamo sicuri che quest’ondata di volgare intolleranza dipenda da certe icone e da certi colori politici?

Siamo sicuri che non si possa essere violenti e intolleranti anche sotto una bandiera rossa o con una bella effige del Che?

Siamo sicuri, per fare un altro esempio concreto, che il confronto con le culture, spesso al di fuori dei nostri canoni di progresso e di libertà, di cui sono portatori molti migranti non finirà, prima o poi, per innescare l’ennesimo cortocircuito a sinistra, trasformando in razzismo biologico ciò che ora è solo un senso di superiorità culturale?

Le cattive pulsioni non hanno colori ma li usano tutti.

Rispettiamo la storia familiare (marcata dalla tragedia di Auschwitz) e personale (la gioventù trascorsa in un kibbutz) di Fiano. Ma ciò non ci impedisce di dire che questo ddl è una fesseria e che riaprire vecchi furori iconoclasti è inutile.

Il fascismo, piaccia o meno, è storia. E la storia, che comunque ha espresso molte condanne, la devono fare gli storici. Fiano e Laura Boldrini, invece, hanno riportato il dibattito culturale sul fascismo indietro di trent’anni almeno. Cioè lo hanno riportato in Parlamento, alla mercé classe politica più ignorante e scadente che l’Italia abbia avuto in circa 160 anni di storia.

Ciò, ovviamente, non frenerà la schiuma che, dopo aver a lungo ristagnato nell’inconscio italiota, si appresta a tracimare come non mai. Se è “solo” questione di simboli, i violenti, gli intolleranti e i razzisti ne troveranno altri. Perché ciò che conta, in certi ambienti, sono i bassi istinti, mica i simboli.

Una battuta ironica per stemperare il clima tetro: chissà che penseranno di questa trovata a Predappio, il paese natale di Mussolini, da sempre amministrato da giunte “rosse” e che, ciononostante, ha avuto bei ritorni economici dal turismo dei nostalgici e dalla paccottiglia vintage ispirata al Duce.

L’ironia è solo nostra, purtroppo. Invece Fiano e la Boldrini, ohinoi, fanno sul serio: è da luglio che la presidente della Camera invoca il furore iconoclasta anche sulla storia e sull’urbanistica. Via i simboli del fascismo dalle pareti, dai monumenti e dai luoghi pubblici. Via ogni riferimento simbolico, stavolta non ad un regime, ma al passato.

Una roba del genere non è stata fatta (e forse neppure proposta) nei paesi dell’Europa dell’est, dove il totalitarismo è stato più forte e oppressivo.

Intendiamoci: il furore iconoclasta, la distruzione rabbiosa dei simboli, la repressione immediata, le sfuriate sanguinarie ecc. ci stanno. Ma nell’immediato. E ne abbiamo viste tantissime: dall’Italia del ’45 alla Romania del ’90 alla Libia di cinque anni fa.

La violenza degli oppressi, lo sfogo liberatorio possono essere legittimi. Ma dopo si deve voltare pagina e ciò che sopravvive è storia. E la storia si studia.

Crediamo che dietro certe esternazioni della Boldrini ci sia un cinico tornaconto politico: capitalizzare i consensi di ciò che resta dell’Anpi, l’associazione dei partigiani, che Renzi fino a un anno e mezzo fa voleva rottamare. C’è da sperare che il Senato faccia la sua parte e abortisca questo ddl inutile.

E che qualcuno si svegli ed escogiti misure più serie e draconiane: non sulla forma, ma sulla sostanza dei comportamenti violenti e intolleranti. Questa sì, fa paura e va repressa per davvero.

Saverio Paletta

 

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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