Caso Riace, a breve la visita del Ministero
Gli ispettori, attesi per il 2, arriveranno il 5 settembre. Il sindaco: «Sono amareggiato, non meritavo questi veleni»
«Per me l’esperienza è chiusa: non sono io a dover convincere i rappresentanti del Ministero, ma loro a dover convincere me. E, credetemi, non sarà facile, perché stavolta mollo: sono stanco e non ce la faccio più». Parola di Domenico Lucano, che tutti conoscono come Mimmo, il sindaco di Riace, da anni paese modello dell’accoglienza ai migranti.
L’incontro coi rappresentanti del Ministero dell’Interno, in origine previsto per il 2, è slittato al 5 settembre. Ma la situazione non è cambiata e il nervosismo, se possibile, è aumentato.
«Dopo vent’anni di sacrifici», chiosa Lucano, «non meritavo tutto questo: non meritavo le cattiverie, i veleni politici, il clima di sospetto e il fango che si è tentato di gettare su di me, sulla comunità che rappresento e sull’iniziativa che ha reso Riace un esempio di come l’accoglienza sia possibile in forme civili».
A breve si saprà di che morte morirà il sistema di accoglienza inaugurato in via sperimentale nel piccolo borgo calabrese, fino ad allora noto solo perché al largo delle sue coste erano stati trovati i Bronzi, a inizio millennio.
Sulla propria sorte politica Lucano non ha dubbi: «Sarò sindaco fino al 2019 e poi basta: non devo fare carriera politica, non devo e non voglio piegarmi a logiche clientelari né ho familiari da sistemare». Il problema, insomma, è il modello Riace, un sistema di accoglienza e integrazione dei migranti, soprattutto profughi, che fino al 2016 aveva raccolto elogi. Mai uno scandalo, mai un episodio di intolleranza o di convivenza difficile, tra i 1.500 riacesi che ancora resistono allo spopolamento e i 600 e passa ospiti che si sono alternati negli anni. E soprattutto, due dati positivi: gli elogi dei media internazionali e dei big della cultura (si pensi a Wim Wenders) e la non menzione in Profugopoli, il breviario di nequizie legate al business dell’immigrazione scritto da Mario Giordano.
Poi la musica è cambiata: prima le inchieste giornalistiche, riprese in parte sulla stampa nazionale, poi le interrogazioni, lanciate in particolare dalla Lega.
Le tinte fosche non ci sono state, perché in rete è prevalsa la solidarietà, a Lucano e al modello Riace, e le accuse sono rimbalzate poco. O, almeno, non troppo.
Ma i dubbi sono stati seminati. Innanzitutto, sulla corretta gestione dei fondi, poi su sospette pratiche clientelari. Tutto qui? Forse no, ma è pur vero che, nel caso di Riace, finora si è parlato di presunte irregolarità e non di illegalità e che i resoconti delle inchieste reperibili sul web non hanno brillato in chiarezza.
E, mentre si attendono lumi sulla sorte del modello Riace – frettolosamente ridotto a sistema – resta in piedi un dubbio: dei 560 migranti rimasti nel borgo della Locride circa 350 potrebbero essere spostati negli Sprar privati. E c’è da scommettere che la fine del modello Riace potrebbe far comodo a più d’uno.
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