Magistrati onorari, uno strano concorso
Secondo il bando chiuso da poco i laureati in Giurisprudenza con specializzazioni non potrebbero fare i giudici di pace. Invece sono graditi i notai, gli avvocati di lungo corso e i docenti universitari, anche in materie che con la pratica spicciola della giustizia hanno poco a che fare. E non è l’unica incongruenza in questo concorso, al quale hanno partecipato in migliaia per appena 300 posti. Come se non bastasse, il 15 marzo è andato in tilt il sito web del Csm, che era l’unico mezzo per inoltrare le domande…
È successa una cosa strana nel recente concorso per la magistratura onoraria, relativo cioè ai giudici di pace e ai vice procuratori.
Il bando, a dire il vero, prevedeva un termine piuttosto largo per la consegna delle domande: dal 13 febbraio fino alla mezzanotte del 15 marzo. Logico aspettarsi che si verificasse l’affollamento e che spuntassero migliaia di candidati per appena 300 posti.
Potenza della crisi, che ha rottamato carriere prima più ambite o lucrose, come l’avvocatura o l’attività accademica.
Meno logico (e meno giusto) che si verificasse un intoppo proprio l’ultimo giorno: a partire dal pomeriggio del 15 marzo, il server del Consiglio superiore della magistratura è andato in tilt e varie persone non sono riuscite a presentare la propria domanda.
Questo non è stato solo un banale incidente di percorso, ma una vera e propria sciatteria, non si sa quanto scusabile.
È vero che per molti la magistratura onoraria è un ripiego. Ma è altrettanto vero che, anche senza toga, un magistrato è un magistrato e svolge una funzione importantissima.
Ed è vero che ciò che si può tollerare – e non sempre – in un sito internet privato o commerciale non è comunque accettabile nella pagina web di riferimento di uno dei poteri dello Stato, forse il più importante nell’attuale declino della politica.
Ormai le domande per i concorsi si inoltrano solo attraverso il web. Ma se fosse stato possibile inoltrarle anche attraverso le vecchie raccomandate ar, ci si sarebbe trovati di fronte a un paradosso non bellissimo: chi avesse spedito la domanda per posta nel pomeriggio del 15 sarebbe stato senz’altro ammesso al concorso anche se la missiva fosse arrivata, poniamo il caso, il 18, perché avrebbe fatto fede il timbro con la data dell’avvenuta spedizione. Invece il digitale, che avrebbe dovuto semplificare le cose, stavolta ha complicato la situazione.
L’unico rimedio per chi ne ha fatto richiesta è stata la possibilità di reinoltrare via pec le domande rigettate dal sistema. È davvero chiedere troppo che il Csm si doti di un servizio informatico all’altezza o si deve per forza dietrologare?
Ma i paradossi non finiscono qui: basta dare un’occhiata attenta al bando per scovare alcune incongruenze.
Tra i titoli privilegiati per sperare nell’ammissione sono menzionati, oltre, ovviamente, alla laurea in Giurisprudenza: l’aver fatto l’avvocato per almeno due anni; aver fatto già parte della magistratura onoraria; aver insegnato per due anni materie giuridiche nell’università; aver fatto il notaio per almeno due anni o il tirocinio presso organi giudiziari.
Non costituisce, invece, titolo preferenziale: essere semplicemente avvocati; aver frequentato le scuole di specializzazione per le professioni legali; aver conseguito master o altre specializzazioni.
A colpo d’occhio si capisce che chi ha elaborato questo bando ha tentato di alzare il livello dei magistrati onorari (diciamo questo senza togliere nulla a chi esercita da anni questa funzione). Ma le incongruenze, vistosissime, fanno pensare ad altro: cioè al tentativo di scremare a più non posso, in previsione dell’alto numero di candidati.
Infatti, perché le scuole di specializzazione, che dovrebbero fornire una preparazione rivolta alla pratica, non sono un titolo preferenziale e invece lo sono i dottorati di ricerca (anche, ad esempio, in Diritto internazionale, un materia con cui un magistrato onorario ha a che fare difficilmente)?
La perla più grossa, però, riguarda il peso attribuito alla pregressa attività di notaio. Il bando, sul punto, non è chiarissimo, a dire il vero. Ma se l’espressione «aver svolto per due anni la professione di notaio» significa, verosimilmente, aver fatto il notaio con il titolo di notaio, sorge spontanea una domanda: quale filantropo rinuncerebbe a questa lucrosa attività per fare il magistrato precario?
Questo potrebbe essere uno dei classici casi in cui a pensar male ci si azzecca sempre. Soprattutto se i partecipanti sono molti ma, come canta Gianni Morandi, «Uno su mille ce la fa». A dir poco…
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