Il mondo del futuro? Da qui a cinque anni
La profezia di Roberto Cingolani al Master in Intelligence dell’Unical: «A breve avremo più trasformazioni che negli ultimi cinquemila anni»
L’intelligenza artificiale? È utilissima, anzi sarà indispensabile. «Farà passi da gigante, ma non raggiungerà mai il livello di quella umana per insormontabili limiti tecnici». Non basta: il futuro prossimo riserva a tutti una rivoluzione inedita nella storia dell’uomo.
Infatti: «La velocità con la quale crescono le tecnologie determinerà un’evoluzione, nei prossimi cinque anni, che sarà pari a ciò a cui abbiamo assistito nei precedenti cinquemila». Uno scenario degno dei migliori romanzi di Philip K. Dick o di William Gibson.
Lo ha tracciato Roberto Cingolani, intervenuto al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri.
Laurea in Fisica e dottorato a Bari, gavetta al Max Planck Institut di Stoccarda, quindi la carriera accademica, nella ricerca e nell’insegnamento, in Giappone e negli Stati Uniti e in Italia, dove ora dirige l’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova, dov’è stato insignito nel 2015 del Premio Roma, con una motivazione rara, perché oltre agli indiscutibili meriti scientifici viene menzionata la sua grande «correttezza amministrativa». Questo popò di curriculum fa capire che l’appellativo di testa d’uovo si addice a pochi come a Cingolani.
Si tratta di capire se e quanto questo supersviluppo – esponenziale, grazie al mix di informatica, robotica e nanotecnologie – sia davvero benefico oppure presenti controindicazioni tali da vanificare i vantaggi e le aspettative. E, magari, dar ragione agli apocalittici, che non mancano mai nelle fasi di grandi trasformazioni.
Come tutti gli scienziati veri, Cingolani non è completamente d’accordo con chi, soprattutto nel mondo produttivo, teme disastri dallo sviluppo tecnologico; soprattutto, teme la perdita di posti di lavoro. Certo, ammette il direttore dell’It, l’impatto ci sarà, ma non è detto che debba essere negativo per forza: «L’aumento della tecnologia significa anche razionalizzazione delle risorse, limite agli sprechi e creazione di nuovi ruoli nell’organizzazione del lavoro e della produzione». Al riguardo, la differenza la faranno scuole e università, «con un investimento serio e lungimirante nella ricerca e nella formazione per preparare la società a quel futuro che è già presente».
Più che sul concetto di catastrofe, quindi, Cingolani si sofferma su quello di trasformazione. E il confine che separa la trasformazione dalla catastrofe può essere più robusto di quel che si pensi, perché si basa su due fattori: la competenza («è la base dello sviluppo basato sulle tecnologie e non bisogna dar retta ai tanti improvvisatori che profetizzano sciagure») e l’etica. In tal senso, la tesi dello scienziato è simile a quella di alcuni ambienti cattolici che, lungi dallo stigmatizzarle, incentivano le tecnologie, viste come indispensabili ausili alla personalità umana.
«Il pericolo non consiste nello sviluppo incontrollato delle tecnologie, bensì nell’impiego sbagliato che se ne fa». Sembra quasi un luogo comune. Ma, detta da uno come Cingolani, somiglia tanto a una di quelle banalità superiori che diventano sinonimo di colpo di genio.
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