Come le spie analizzano e usano i dati
Alfredo Mantici, ex direttore del Dipartimento di analisi del Sisde, fa lezione al Master in Intelligence dell’Unical
Nulla a che fare con le spericolate peripezie di James Bond. Piuttosto, se si vuole a tutti i costi un riferimento cinematografico, lo si può trovare in un altro classico: I tre giorni del Condor, di Sidney Pollack, però senza le scene d’azione.
In questo caso, si parla di analisi dei dati, attività affidata nel film a un gruppo di teste d’uovo dall’aria (e dalla sostanza) sedentaria, intenti a sfogliare libri e riviste di tutto il mondo per estrarne dati e informazioni da utilizzare per la Cia.
Ecco: il core business dell’intelligence è proprio questo. Ricerca, studio e analisi dei dati. Noioso? Proprio no: mica per divertirsi bisogna sparare da auto in corsa.
Sia che lavori su dati aperti, cioè disponibili a tutti, sia che cerchi informazioni riservate, l’operatore dell’intelligence vero è un analista di dati.
Appunto di metodologie d’analisi ha parlato Alfredo Mantici al Master in Intelligence dell’Unical diretto da Mario Caligiuri.
Mantici, direttore del Dipartimento di analisi del Sisde dal 2002 al 2007, ha introdotto la sua particolare lezione, di natura eminentemente tecnica, con una critica della legge 124 del 2007 di riforma dei Servizi Segreti.
Infatti, ha spiegato l’alto funzionario, in questa normativa, che pure ha obiettivi elementi di novità, manca una puntuale definizione del concetto di intelligence.
Già, ma cos’è l’intelligence? O meglio, in quale modo le istituzioni intendono l’intelligence? Al riguardo, Mantici ha fornito una definizione tecnica di questo concetto delicato, che contiene anche un’indicazione di metodo: «Il processo di intelligence istituzionale si riassume nell’attività di raccolta e analisi di informazioni non altrimenti disponibili, utili a consentire le decisioni dell’Esecutivo per garantire la sicurezza nazionale».
Intesa come metodo, l’intelligence può essere di enorme utilità anche nel settore privato: si pensi al delicato lavoro necessario per la definizione degli obiettivi e delle attività strategiche delle aziende. Infatti, ha precisato Mantici, «fare intelligence oggi significa anche formare professionisti, dotati di necessari strumenti per interpretare adeguatamente il “circuito informativo”: dalla raccolta delle notizie, alla verifica, alla selezione delle informazioni e al loro utilizzo».
In base a quest’altra definizione, l’intelligence risulta una disciplina aperta, applicabile a più settori, non ultimo quello dell’informazione, da parte sia degli operatori sia dei fruitori. Ma è chiaro che il livello istituzionale resta il più delicato.
Al riguardo, «di fondamentale importanza è la verifica delle notizie, acquisite attraverso attività di analisi deduttiva e induttiva, trasformandosi in informazione. È, questa, la fase più importante e delicata in cui l’analista dovrà riuscire a produrre quadri di valutazione delle situazioni ritenute critiche. Per fare questo occorre andare alla radice, descrivendo in maniera efficace il come, il quando, il perché delle stesse criticità, pesando le notizie e offrendo possibili risposte nel breve, nel medio e nel lungo periodo».
Per concludere, non poteva mancare un riferimento colto: secondo Mantici, l’analista dovrebbe studiare a fondo le dottrine storico-sociali di Max Weber, perché l’intelligence ha profondi riferimenti scientifici, storici e culturali. E il Condor? E Robert Redford? Un’altra volta…
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