Colacino, i neoborbonici lo premiano, i cittadini lo contestano
Il sindaco “sudista” propone di rimuovere i simboli dell’Unità nazionale dalla toponomastica di Motta Santa Lucia. Ma i compaesani raccolgono le firme per bloccarlo
«Ma come? Paghiamo l’acqua al massimo come se fossimo in dissesto e ci preoccupiamo di cambiare la toponomastica delle strade?». Ed è solo un assaggio. «Ma perché cambiare il nome di corso Umberto I, che ormai fa parte dell’immaginario, soprattutto dei più anziani?». E non basta: «Perché un corso per san Francesco di Paola, che ha già una fontana? Credo che neppure a Paola, che è la città del Santo, ci siano tante targhe». E qualcuno, con più cattiveria, aggiunge: «Non sarebbe il caso di risparmiare sulle targhe, visto che le tasse e imposte comunali picchiano già abbastanza?».
Prendete queste battute, sagaci come solo i calabresi sanno farle, moltiplicatele per 333 e avrete un’idea di quel che è successo a Motta Santa Lucia, 870 anime d’anagrafe nel Catanzarese, più precisamente nel comprensorio di Lamezia Terme.
I 333 cittadini hanno firmato a tempo record una petizione, già depositata in Comune e prossima al deposito in prefettura, con cui contestano la delibera approvata dal Consiglio comunale lo scorso 26 gennaio che autorizza la Giunta – e quindi soprattutto il sindaco – a cambiare la toponomastica del paese in senso sudista.
In altre parole, a rimuovere i nomi e i simboli legati all’immaginario risorgimentale o alle vecchie memorie dell’Unità d’Italia e a sostituirli con altri simboli e nomi più in linea col credo culturale del primo cittadino, Amedeo Colacino.
Colacino, noto habitué dei raduni neoborbonici, balzò agli onori delle cronache, non solo calabresi, perché promotore, a partire almeno dal 2010, di una curiosa battaglia, prima politica, poi giudiziaria, nei confronti del Museo Lombroso di Torino, dove è conservato il teschio di Giuseppe Villella, un pastore mottese morto in carcere un secolo e mezzo fa.
Ora, la battaglia giudiziaria per la restituzione del cranio si è arenata, dopo che la Corte d’Appello di Catanzaro ha respinto le pretese del Comune di Motta Santa Lucia (spalleggiato, per l’occasione, dal Comitato tecnico-scientifico “no Lombroso”), e tuttora giace in Cassazione. Un’occasione finora mancata, per Colacino, di risplendere nel firmamento neoborbonico.
In attesa della decisione degli ermellini (e, ovviamente, con la speranza che sia meno sfavorevole della Corte d’Appello), il sindaco ha giocato altre due carte: il gemellaggio con Mongiana, un Comune del Vibonese, sede delle antiche ferriere già fiore all’occhiello della monarchia borbonica, e, appunto, l’ordinanza toponomastica.
Che, evidentemente, non dev’essere andata giù a molti, visto che le 333 firme raccolte in un elettorato attivo censito in 640 abitanti alle ultime amministrative non sono davvero poche. Anzi, danno la misura della stanchezza dei mottesi nei riguardi di certe battaglie, che dovrebbero spettare agli storici seri più che ai politici.
Per capire la misura di questa stanchezza, si può citare la battuta di un cittadino a cui i membri del Comitato spontaneo che ha raccolto le firme si sono rivolti. «Questa raccolta di firme», ha spiegato un membro del Comitato, «è anche contro la questione dei briganti, su cui il sindaco tiene tanto». «Ma davvero?», avrebbe risposto il cittadino dopo aver firmato, «allora se potete tornate domani, così trovate anche i miei figli e avrete altre firme».
Serve davvero altro? Colacino a breve andrà a Gaeta per partecipare all’annuale raduno neoborbonico dove dovrebbe ricevere un premio. Certo è che i suoi concittadini, che forse non sono neoborbonici o non lo sono in massa, gli hanno fatto andare un po’ storta l’onorificenza.
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