Servizi Segreti, la riforma vista dietro le quinte
Il prefetto Carlo Mosca al Master in Intelligence dell’Unical: negli anni ’80 quest’argomento era tabù, ora appassiona tutti
I Servizi Segreti? Ora sono a prova di legge. Parola di prefetto. In particolare, parola di Carlo Mosca, già prefetto di Roma e studioso di Diritto penale.
Mosca, intervenuto il 20 gennaio al Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri, è più che ferrato sull’argomento, essendo stato vicedirettore del Sisde.
Per capire bene il Mosca-pensiero, occorre girare indietro il calendario di oltre trent’anni: «Nel 1984 partecipai a un convegno allora particolare, che si svolse a Catania, dal titolo a dir poco significativo: Il segreto di Stato in una democrazia liberale». Il convegno fu organizzato da Anfaci (l’acronimo sta per Associazione nazionale dei funzionari dell’amministrazione civile dell’Interno), l’associazione dei prefetti.
Il dibattito fu voluto dall’allora ministro dell’Interno, Oscar Luigi Scalfaro. Di convegni così, oggi ce ne sono a bizzeffe, ma allora l’argomento era tabù o quasi. «Io me ne occupai quando ero un giovane», ha precisato Mosca, «sebbene la materia fosse considerata contaminante», grazie anche a un’abbondante letteratura dietrologica, in molti casi politicamente orientata.
Ma il dato importante fu che, a partire da quel convegno, le istituzioni si concentrarono sui Servizi, riformati sette anni prima con la legge 801, che aveva trasformato il Sifar nel Sismi e aveva istituito il Sisde, che prendeva il posto dell’Uar. Un passo in avanti. «Scalfaro ci teneva, tant’è che, riguardo ai Servizi di sicurezza e al segreto di Stato usò un’espressione particolare: scudo funzionale». Sembra poco, uno di quei tanti tecnicismi sofisticati ad uso dei giuristi o dei burocrati di vertice.
In realtà fu un passo da gigante: «Finalmente si parlava di intelligence da un punto di vista tecnico con l’intento di trovare un equilibrio importante tra le indiscutibili esigenze di sicurezza e le importantissime garanzie costituzionali».
Fu l’avvio di un lungo dibattito, che avrebbe superato la Prima repubblica e i suoi protagonisti e che avrebbe portato allo sdoganamento dei Servizi.
Mosca ne ha riassunto le tappe in breve: «In quel convegno riflettemmo a lungo su una figura della dottrina tedesca, che divideva il segreto di Stato in due categorie: legale ed illegale. Dieci anni dopo, uscì la prima rivista specializzata in intelligence, mentre nel ’98, durante il primo governo Prodi, si iniziò a parlare di riforma. Va ricordato, al riguardo, che ministro dell’Interno era Beniamino Andreatta, che era stato il mentore accademico di Prodi. Allora fu istituita la Commissione Jucci (prende il nome dal suo presidente, il generale dell’Arma Roberto Jucci, ndr) che iniziò a studiare la riforma che sarebbe stata realizzata dieci anni più tardi con la legge 124 del 2007».
I sottintesi dell’intervento del prefetto sono tanti: ad esempio, il cambiamento epocale segnato dall’abbattimento del Muro di Berlino, che ha consentito una completa istituzionalizzazione dei Servizi, ora del tutto sganciati da logiche di corpo, militare e civile.
Infatti, ha specificato ancora Mosca: «Prima gli operatori dei Servizi mantenevano la qualifica del corpo, civile o militare, da cui provenivano, adesso la perdono». Detto altrimenti: la nuova disciplina, che ha adottato, adeguandolo il più possibile al nostro ordinamento, il sistema delle agencies di origine anglosassone, mira a limitare il più possibile i rischi di interferenze, denunciati più volte nel passato recente, tra Servizi e Polizia giudiziaria.
Con un distinguo suggestivo, Mosca ha chiarito la portata del cambiamento: «La legge 124 ha privilegiato l’aspetto informativo su quello della sicurezza, che è compito principale di altri corpi dello Stato, che magari agiscono con efficacia proprio sulla base delle informazioni passate dai Servizi». Perciò, di sicuro gli 007 non hanno mansioni di Polizia giudiziaria. Ma neppure di Polizia tout court: non possono arrestare, ad esempio, né intervenire in maniera diretta. Se richiesti, tuttavia, possono collaborare utilmente in tutte le funzioni di pubblica sicurezza, ma mantenendo il loro ruolo, che non è legato a un Ministero o due (quelli della Difesa e dell’Interno), bensì alla Presidenza del Consiglio.
Un escamotage? Proprio no: era l’unico modo possibile per inserire appieno i Servizi nell’architettura costituzionale.
La legge 124, ha specificato inoltre il prefetto, «fa chiarezza su alcuni punti: ad esempio, rende illegali le renditions (cioè gli arresti) da parte degli operatori, mette dei limiti precisi alle operazioni che comprimono le garanzie costituzionali (la libertà personale e di domicilio) e, in ultima istanza, cerca di legalizzare il più possibile l’operato dell’intelligence senza comprometterne le peculiarità».
Il resto è affidato a una rivoluzione culturale ancora in corso: «Quando nel 1984 si svolse il convegno di Catania, l’idea di un master dedicato all’intelligence era utopia, ora, invece, i Servizi cercano di reclutare a partire dall’Università». Non è poco.
Parola di prefetto.
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