Addio a Rosario Villari, il Maestro dalla penna rossa
Una messe di necrologi ha celebrato l’illustre storico di origini calabresi scomparso all’età di 92 anni. Fu l’ultimo esponente dell’egemonia marxista sulla cultura italiana
Dalla messe di necrologi per nostalgici (degli anni verdi e del bel tempo andato, soprattutto), apparsi sui media abbiamo saputo essenzialmente tre cose: che Rosario Villari fu uno storico di ispirazione marxista, che sui suoi manuali si sono formate generazioni di liceali e non solo, che era di origini calabresi e appassionato studioso delle vicende del Regno di Napoli, con un taglio di sinistra che lo inserisce a buon diritto tra gli intellettuali di punta della questione meridionale.
Tutto ciò fa capire soprattutto che nell’attuale clima culturale il ricordo dell’illustre storico è destinato a dividere. Da un lato ci sono i nostalgici della qualità del suo lavoro, altissima come per molti altri storici della sua generazione (che è poi la stessa, per fare un nome, di Renzo De Felice). Dall’altra pesa già non solo il suo legame con il marxismo, ma soprattutto il suo status di intellettuale del XX secolo, di quel mondo, è stato ricordato più volte, caduto giù col muro di Berlino. Un mondo del quale, è doveroso aggiungere, facevano parte anche la vecchia cultura liberale anticomunista e il cattolicesimo politico.
Villari, perciò, continuerà a stare antipatico da morto a chi ne criticava – e spesso invidiava – il ruolo egemone tra gli storici, almeno nel settore manualistico. Un’egemonia, la sua, dovuta senz’altro alle eccellenti qualità personali, ma pure al ruolo dominante degli ambienti marxisti sulla cultura italiana. Ci si ferma qui e, per non dare la stura a polemiche vecchie, è solo il caso di aggiungere che quest’egemonia fu dovuta in buona parte al lassismo altrui, di chi preferiva fabbricare bidelli anziché coltivare cervelli.
Il mondo di Vllari è da rimpiangere soprattutto per una caratteristica: la perfetta circolarità tra cultura e politica. Si poteva entrare in politica, come fece il prof calabrese, e proseguire nel mondo intellettuale. O viceversa. In entrambi i casi c’era un mondo politico ricettivo (o che almeno sembrava tale) e un mondo culturale motivato, pronto a dare stimoli alla politica e a recepirne.
Ecco, questo in fin dei conti è il mondo che è venuto giù a partire dall’89 e a cui Rosario Vlillari è sopravvissuto, anche intellettualmente per un altro buon quarto di secolo.
Non è questa la sede per sottolineare i limiti di certe impostazioni storiografiche, in particolare del marxismo aperto e ad ampio respiro di cui Villari fu il massimo testimonial. Né per ribadire i rischi insiti nella lettura solo gramsciana e comunque di sinistra della questione meridionale.
È appena doveroso ricordare che l’eclissi politica del marxismo ha travolto tanto meridionalismo, ridotto a racconto sociale, e ha lasciato varchi enormi sia ai fautori della questione settentrionale sia ai sudisti alla Pino Aprile.
Peggio ancora: quest’eclissi ha interrotto anche il rapporto tra il mondo accademico e l’editoria mainstream, che ora macina di tutto, e ora non si intravede chi possa ricucirlo.
Addio Villari. E c’è da sperare che questo non sia anche un addio a un modo di fare Storia che, comunque, merita ancora la maiuscola.
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