Magistratura, due concorsi per le aspiranti toghe
A luglio e a dicembre si svolgeranno gli scritti del concorso più ambito dai laureati in Giurisprudenza. Intanto, affiorano le polemiche dopo i risultati delle prove dell’anno scorso. Ancora è niente, rispetto agli episodi del 2014 e del 2015, che hanno suscitato un vespaio fortissimo e non del tutto placato. Il “popolo dei candidati”, numerosissimo, è sul chi vive. E un docente di Siena punta il dito: così non si premia la preparazione né il merito
Prima si spettegolava e basta. E le cose non filtravano. Ma, almeno dal 2008, le polemiche sono di pubblico dominio ed è impossibile far finta di niente: anche se i giornalisti girano la testa, il tam tam del web diffonde e amplifica lo stesso.
E del concorso in magistratura si parla e sparla comunque. Con tutta probabilità, quest’anno gli aspiranti magistrati dovranno affrontare una doppietta perché il ministero avrebbe previsto due tornate di prove scritte. L’una estiva, come da tradizione, l’altra, stando alle indiscrezioni e ai si dice, a dicembre o a gennaio, giusto per farsi andare di traverso il panettone. Il motivo di questa decisione è piuttosto banale: il concorso selezionerebbe persino troppo e perciò è risultato impossibile coprire il numero di posti messi a bando.
In attesa dei prossimi scritti, che si svolgeranno a partire dai primi di luglio, inizia a girare il malcontento sulle prove scritte dello scorso anno.
La solita storia: alcuni candidati, che evidentemente non hanno passato la selezione, hanno chiesto e ottenuto l’accesso ai compiti dei loro colleghi ammessi agli orali. E le foto di alcuni elaborati sono finite in rete.
Lo spettacolo non è tra i più belli: magari la forma non sarà tutto, ma da qui a consegnare un compito pieno di cancellature ne corre.
Chi ha obiettato che le cancellature possono essere un segno di riconoscimento, per aggirare l’anonimato del compito, ha ricevuto una risposta che sconfina nel sofisma: poche cancellature, magari fatte ad arte, possono essere considerate segnali, una mappa geografica di errori e scarabocchi no. Come a dire che consegnare un elaborato lindo e consegnarne uno zozzissimo è lo stesso.
Il ragionamento fila, ma non troppo.
Infatti, una delle principali raccomandazioni che si sentono fare i frequentatori dei costosissimi corsi di preparazione al concorso è scrivere in maniera chiara. Non solo: le prove pratiche di questi corsi sono valutate anche in base alla grafia, come si faceva alle scuole superiori. Con questo non si vuole dubitare della qualità sostanziale di alcuni compiti: anzi, c’è da essere certi che gli autori siano dei novelli Betti o Carnelutti. Però ciò non toglie che il criterio può sembrare arbitrario.
Intendiamoci, rispetto a quello che è capitato gli scorsi anni è poco e c’è da sperare che stavolta non ci siano polemiche o, se proprio dovessero esserci, risultino infondate.
Già: le accuse di sospetti brogli del 2014 non erano proprio bellissime e ancora non si è spenta l’eco mediatica di quel concorso. Ricordate? Si parlò, e la stampa riportò tutto puntualmente, di candidati che scrivevano prima che la traccia venisse dettata, di codici commentati, come tali non ammissibili, scoperti dopo la consegna obbligatoria dei testi (che avviene entro 24 ore prima dell’inizio della prima prova), di candidati che facevano le prove a gruppetti, sebbene la normativa impedisca di parlare per tutta la durata della prova, ecc.. Per placare gli animi intervennero i vertici del mondo delle toghe e tutto sembrò rientrare.
Nel 2015 la polemica ha toccato invece la sostanza del concorso: cioè gli argomenti dei compiti. In particolare la traccia ultraspecialistica della prova di Diritto civile, che riguardava un argomento di diritto bancario, cioè i cosiddetti derivati.
Troppo specialistica, ha malignato al riguardo Raphael Zanotti sulla Stampa (ecco il link: http://bit.ly/zanotti-stampa). E ha riportato un dettaglio non secondario della polemica furibonda: «Vi segnalo che due commissari, il professor Agostino Meale e il professor Fernando Greco, collaborano con due case editrici “collegate” a un noto corso di preparazione per il concorso in magistratura. Vi chiedo se queste nomine siano state opportune e se non vi siano motivi di astensione». Di sicuro è stata una coincidenza, visto che la vicenda non ha avuto seguito. Ma non è un caso che c’è chi segue i corsi, molti di altissima qualità a dire il vero, perché spera che una o più tracce riguardino argomenti trattati a lezione.
Le tracce specifiche, si è detto fino alla noia, servono a scremare: i candidati, a causa della crisi che ha reso impraticabile la libera professione e illusori altri sbocchi lavorativi, anche nel pubblico impiego, sono cresciuti in maniera esponenziale e sfiorano i ventimila per concorso. I posti banditi sono pochi: circa trecento e qualcosa all’anno. E ciò non basta a coprire i buchi nell’organico dell’ordinamento giudiziario: non a caso, si discute dell’opportunità di fare un concorso bis a dicembre.
Tuttavia, scremare non è selezionare. Non è detto, cioè, che trasformare un concorso in un superquiz serva a scegliere magistrati preparati. Lo ha affermato di recente e senza dietrologie Giuliano Scarselli, ordinario di Procedura civile a Siena (http://bit.ly/articolo-scarselli). A detta del prof, le tracce sono specifiche e astratte, ovvero non riguardano argomenti che un magistrato, inquirente o giudicante fa lo stesso, potrebbe incontrare nel corso della sua attività. Basarsi sui cavilli, a detta di Scarselli, serve poco. Di sicuro non ad alzare il livello della magistratura.
Ma c’è chi è stato più maligno del prof senese. In particolare, Giuseppe Di Federico, professore emerito di Ordinamento giudiziario presso l’Università di Bologna ha affondato più volte il bisturi sul meccanismo, tutt’altro che meritocratico, che regola il concorso. Si pensi all’episodio gustoso riportato da Stefano Livadiotti nel suo Magistrati. L’ultracasta (Bompiani, Milano 2009). In questo libro, il giornalista riferisce di un test particolare effettuato da Di Federico su due concorsi. Il docente bolognese aveva scovato 500 candidati che, in attesa di sapere i risultati di un concorso, si erano iscritti al concorso successivo. Tra questi candidati a oltranza, il 60% di quelli che avevano passato la prima prova non aveva superato la seconda. Il caso, piuttosto vecchio, si commenta da sé.
Se proprio si volesse selezionare, si potrebbe usare un riferimento molto più serio: il giudizio tranchant espresso dal presidente di commissione del concorso del lontano 1986. Lo si riporta per intero, con la speranza di far riflettere: «Tratto caratteristico che emerge dalla lettura dei tremila elaborati è, invero, la palese inettitudine della maggioranza dei candidati al componimento scritto, riscontrabile anche in parecchi di coloro che hanno ottenuto l’ammissione. I candidati non sanno esprimersi in modo chiaro e in forma passabile. Buona parte dei temi sono così poveri da stentare a credere che gli autori legittimamente si fregino del titolo di dottore in giurisprudenza. Di fronte a parecchi di essi si sarebbe tentati di impedire in perpetuo ai redattori l’accesso ai pubblici concorsi». Il problema, se le cose non sono cambiate, è di sostanza: non ci si può più affidare al terno a lotto. Perché è chiaro che non premia le persone preparate, che pure non mancano.
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