Misericordia e Vergogna, un altro business infame sulla pelle dei rifugiati
La Dda accusa: cibo da maiali ai migranti per fare la cresta sui fondi Ue
Se persino il volontariato cattolico si comporta così, che speranze possiamo avere?
Possibile che la Curia non avesse sospetti sul parroco che trescava coi malavitosi?
Nicola Gratteri non è uno che parla a caso. Da magistrato calabrese abituato a scavare nella melma del profondo Sud è abile anche nell’arte del non dire.
Così ha fatto mentre commentava davanti alle telecamere di Studio Aperto la maxioperazione antimafia che ha colpito il clan Arena di Isola Capo Rizzuto e, soprattutto, ha denudato il metodo di sistematico sfruttamento dell’emergenza migranti praticato da una decina d’anni dalle cosche con la collusione di insospettabili.
O viceversa, perché è difficile capire, dalle carte dell’inchiesta “Johnny” condotta dalla Dda di Catanzaro, se gli insospettabili siano stati collusi con il clan o quest’ultimo si sia legato ad essi per partecipare al bottino: 103 milioni di cui 36 intascati dal gruppo egemone di una delle zone più inquinate d’Italia dalla criminalità organizzata.
«Il cibo per i migranti era scadente, da noi lo si dà ai maiali, e insufficiente», ha dichiarato il big dell’antimafia. Ed è questa l’accusa più pesante: aver fatto la cresta sul catering, pagato profumatamente dall’Unione Europea, destinato ai bisognosi. Un comportamento infame, aggravato dal fatto che, stavolta, i soggetti indagati sono un parroco e un alto dirigente della Misericordia, che dovrebbe essere la crema del volontariato cattolico.
Già: grazie al management di Leonardo Sacco, il big della Misericordia di Calabria e Basilicata, la confraternita gestiva il Cara di Isola, due Sprar della stessa zona e quelli di Lampedusa.
Nessuno, si badi bene, vuole accusare la Chiesa, che anche in Calabria può contare su sacerdoti e religiosi di valore. Ma qualche domanda è obbligatoria. Possibile che alle orecchie di chi conta nella Curia non fosse giunto neppure un pettegolezzo? Possibile che don Edoardo Scordio abbia potuto trescare indisturbato? Possibile che nessuno si sia mai posto qualche dubbio su quei rimborsi spese della Misericordia che avrebbero fruttato alla parrocchia (e a chi la gestiva…) botte di centinaia di migliaia d’euro, sottratte ai disperati a cui erano destinate?
Queste domande non sono oziose né capziose: non parliamo di una zona isolata dal resto del Paese né di un angolo di qualche metropoli, dove il malaffare è coperto dall’anonimato dei grandi numeri. Parliamo della classica cittadina calabrese in cui tutti sanno di tutti, criticano ma non accusano. Parliamo di una cittadina in cui, prima che vi attecchisse il business dei migranti, c’era il far west perché la torta era più piccola e le ’ndrine sparavano per contendersela. Parliamo di una cittadina di nemmeno 18mila abitanti, dove i rapporti di parentela sono ramificati e dove 68 arresti sono un “buco demografico” non proprio irrilevante.
Non vogliamo criminalizzare nessuno e chiediamo scusa agli onesti, non pochissimi, che sono costretti a vedere e sopportare certe cose. Però di fronte a questa vicenda è impossibile non porsi il quesito più terribile: quanto può reggere ancora la finzione di una società civile “sana”, oppressa dalla criminalità che raccontiamo ovunque per non perdere quel po’ faccia che ci resta? Non basta: se anche un uomo di Chiesa risulta coinvolto in questa storia losca e torbida, cosa ci si può aspettare dai laici? Possiamo davvero meravigliarci del fatto che in Sila, nemmeno 100 chilometri più a nord dal Cara di Isola, i rifugiati siano stati sfruttati nei campi nella tradizione più classica del caporalato? Possiamo meravigliarci dei migranti che chiedono l’elemosina ai semafori sebbene lo Stato stanzi per ciascuno di loro 36 euro al giorno?
I rischi di questo business, da cui hanno guadagnato non pochi soggetti poco qualificati, sono minimi: ogni tanto qualche rivolta, che si è verificata anche nella Calabria degli omertosi, e qualche inchiesta. E poi punto a capo: per i pochi che restano impigliati nelle reti degli inquirenti (quelle della giustizia sono tutt’altra cosa…), ci sono i molti che guadagnano.
Ma la vicenda di Isola ci rivela un altro brutto dettaglio: un unico soggetto, cioè la Misericordia calabro-lucana, avrebbe gestito lo smistamento di parecchi migranti, dallo sbarco all’utenza finale. Dal “produttore”, cioè dagli scafisti che fanno su e giù per il Mediterraneo, al consumatore (senza le virgolette, perché lucrare sulla pelle del prossimo significa consumare le esistenze altrui per ingrassare la propria).
A questo punto, come si può dar torto a Di Maio quando chiede, una volta tanto senza i consueti svarioni lessicali e concettuali, che la gestione dei rifugiati sia sottratta ai privati? Dopo le tante figuracce davanti al resto dell’Occidente, che accoglie meno di noi ma accoglie meglio, non possiamo più far finta di essere un Paese civile. Però possiamo ancora esibire almeno un simulacro di Stato. È poco. Ma questo passa il convento.
Saverio Paletta
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