Call center, arriva la legge antimolestie
Gli operatori avranno un prefisso unico sul territorio nazionale e le aziende risponderanno sempre delle violazioni, anche se il servizio è all’estero
È grazie a un architetto svizzero che vive in Italia e milita nella Lega, che l’ha fatto prima deputato e poi senatore, se i call center diventeranno meno molesti per i cittadini e se gli operatori non saranno costretti più a fare gli stalker.
Il disegno di legge antimolestie di Jonny Crosio è stato da poco approvato dalla Commissione lavori pubblici del Senato e ha, come di consueto, un titolo lunghetto ma per fortuna eloquente: Nuove disposizioni in materia di iscrizione e funzionamento del registro delle opposizioni e istituzione di un prefisso unico nazionale per le chiamate telefoniche a scopo promozionale e di ricerche di mercato.
Se le premesse saranno mantenute (e, più prosaicamente, se le lobby della telefonia non ci metteranno lo zampino) la nuova legge sarà una minirivoluzione in questo settore, finora selvaggio, del tutto o quasi.
La nuova normativa consiste essenzialmente in due passaggi.
Primo passaggio: i call center avranno un prefisso unico. Il che non è poco per l’utente, che potrà decidere di non rispondere una volta visualizzato il numero.
Il secondo passaggio, ancora più drastico, è un altro toccasana per la privacy: l’ampliamento del registro delle opposizioni (istituito nel 2010), in cui, chi lo desidera, può inserire il proprio recapito telefonico, mobile o fisso, per evitare di ricevere chiamate indesiderate.
La novità, in questo caso, è più che positiva. Recita, infatti, il disegno di legge: «Gli operatori che utilizzano i sistemi di pubblicità telefonica e di vendita telefonica o che compiono ricerche di mercato o comunicazioni commerciali telefoniche hanno l’obbligo di consultare mensilmente, e comunque precedentemente all’inizio di ogni campagna promozionale, il registro pubblico delle opposizioni e di provvedere all’aggiornamento delle proprie liste».
E a quest’obbligo sarà più difficile scappare, visto che il ddl amplia le responsabilità: «Il titolare del trattamento dei dati personali è responsabile in solido delle violazioni delle disposizioni della presente legge anche nel caso di affidamenti a terzi di attività di call center per l’effettuazione delle chiamate telefoniche». Detto altrimenti, anche se si esternalizza, magari all’estero e soprattutto in determinati paesi in cui la tutela della privacy è all’anno zero, qualcuno risponderà sempre in caso di denunce, querele o richieste di risarcimento danni. La possibilità di giocare a scaricabarile, di cui molte aziende hanno abusato, è ridotta al minimo.
L’ex missino e An e ora forzista Altero Matteoli, presidente della Commissione lavori pubblici di Palazzo Madama, ha commentato: «È una nuova legge attesa non solo dai cittadini che non vogliono più ricevere telefonate commerciali ma anche dai tanti lavoratori che operano nei call center e che spesso hanno retribuzioni davvero modeste. Credo che la Commissione, con il contributo di tutti i gruppi parlamentari, che ringrazio, abbia svolto in questi mesi un buon lavoro ascoltando le varie associazioni e le categorie interessate, trovando poi una sintesi normativa che ha portato al voto unanime. Penso che con la nuova legge ci sarà un migliore equilibrio tra i vari interessi: quello dei cittadini a non ricevere telefonate indesiderate e quello delle imprese che potranno utilizzare il telemarketing secondo regole più puntuali».
Tra le righe della dichiarazione dell’ex ministro è possibile cogliere il succo del problema: da centri per la diffusione diretta di informazioni aziendali, anche importanti (si pensi ai servizi preziosi nell’assistenza tecnica) i call center si sono radicalmente trasformati negli anni, fino a diventare delle emittenti pubblicitarie.
Questa trasformazione è stata agevolata soprattutto dall’uso di contratti atipici di lavoro, piuttosto intensivo in questo settore, che di fatto hanno costretto gli operatori a diventare veri e propri banditori per aumentare le proprie modeste retribuzioni.
Arginare dall’interno questo fenomeno si è rivelato pressoché impossibile per i sindacati. E ciò ha costretto il legislatore a intervenire, sebbene con notevole ritardo.
La parola passa alla Camera, con la speranza che il ddl non si perda nei corridoi di Montecitorio.
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