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Raccontare la scienza come un gioco. L’esperienza calabrese

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Il centro editoriale dell’Università della Calabria e la divulgazione della ricerca anche ai non addetti ai lavori

Per capire cosa sia davvero la divulgazione serve un esempio facile. Prendiamo il caso di alcune ricerche sulle proteine del fegato bovino. Il concetto, in sé, non dice molto e più di qualcuno potrebbe chiedersi a che serva impiegare risorse pubbliche per scavare in questo settore.

Si potrebbe aggiungere che da queste proteine è possibile ricavare elementi per farmaci antitumorali. Va già meglio, perché questo passaggio è alla portata di qualsiasi giornalista, anche il meno versato nelle materie medico-scientifiche e, detto così, potrebbe accontentare il pubblico più di bocca buona, che si limita a prendere atto di qualcosa senza farsi (e fare) troppe domande.

Il passo successivo è rispondere al perché, che è poi la domanda fatidica. In questo caso, chiedersi e chiarire perché le proteine del fegato bovino possono aiutare a curare vari tipi di tumore.

Qui, è intuitivo, le cose si complicano: occorre spiegare in maniera comprensibile quali proteine vengono usate e come funzionano, senza far scappare il lattaio dell’Ohio (o, se si preferisce, la casalinga inquieta di Voghera) e senza far ridere per la grossolanità delle argomentazioni il professore di Oxford. E, magari, evitare che il tutto suoni come una marchetta al ricercatore o professore amico.

Il problema della divulgazione scientifica è tutto qui: non è più giornalismo (e c’è da dire che molti giornalisti, anche i più bravi, bussano alle porte dei divulgatori per poter a propria volta divulgare) ma non è ancora didattica, che, tranne per i fondamentali, si svolge sempre con un approccio specialistico, cioè nel presupposto che chi ascolta abbia già un’infarinatura. Tutti gli altri, comprese le persone di cultura tuttavia prive di una preparazione specifica su determinati argomenti, sono tagliati fuori.

Occorre chiedersi, a questo punto, se davvero serva divulgare. La risposta è sì, per un motivo intuibile: non tutte le ricerche o le scoperte scientifiche interessano il grande pubblico, quindi è difficile che molte di queste arrivino ai media mainstream e raggiungano quindi il pubblico più vasto; però resta il fatto che i cittadini hanno comunque diritto di sapere, perché le ricerche sono essenzialmente finanziate coi loro quattrini. Anche se non sembra, è una questione di democrazia.

Ciò detto, è chiaro che questo tipo di divulgazione, che in gergo si chiama alta divulgazione scientifica, non può essere affidato direttamente ai media, i cui operatori hanno in genere una cultura generalista non dissimile da quella del loro pubblico.

L’esempio dell’Università della Calabria, al riguardo, è illuminante: da decenni nell’ateneo calabrese funziona una struttura particolare, il Centro editoriale e librario, che è una vera e propria casa editrice e qualcosa di più. È l’interfaccia della produzione scientifica dell’ateneo calabrese col mondo, l’alternativa al solito giro di editori più legati alle singole cattedre e relative cordate che all’istituzione.

E questa interfaccia si sobbarca due oneri: selezionare la produzione scientifica sulla base di parametri qualitativi e, appunto, divulgarla, attraverso la canonica pubblicazione in libro (o in multimediale, a seconda dei casi) e tramite una capillare attività di comunicazione. Che non è quella per cui può bastare un ufficio stampa, ma richiede competenze specialistiche.

Non a caso, il Cel è diretto da Marcella Giulia Lorenzi, una specialista del settore, autrice di numerose pubblicazioni scientifiche dedicate al tema della divulgazione. Sua, tra le varie, l’idea di divulgare la fisica attraverso l’arte digitale e le opere d’arte interattive. Sembra un gioco, e in effetti è divertente approcciare i ritrovati escogitati per questo settore, ma si capisce che dietro c’è un gran lavoro, che ha fruttato i suoi riconoscimenti. Di recente, la stessa Lorenzi ha festeggiato i 50 anni della rivista Leonardo del Mit, una delle più importanti università di ricerca del mondo, a Bologna, in occasione del convegno Art*Science, dove è stata tra i pochi pionieri italiani del settore invitati a parlare, a breve distanza dalla partecipazione del Centro editoriale al Salone del Libro di Torino.

Tra le altre realizzazioni, si segnala un sito e-commerce attraverso cui acquistare le pubblicazioni del Centro e la realizzazione di una rivista digitale, un periodico online a carattere scientifico-divulgativo, prossimo al completamento.

Pensare difficile per parlare facile, s’intende nei limiti in cui le scienze si prestano a un linguaggio facile. Non è poco, ma il tentativo c’è e i frutti non mancano.

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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