Undici anni per salvare una piccola azienda calabrese
La fabbrica aveva rischiato l’esproprio. Ma la banca non è riuscita a provare il credito
Ci sono voluti undici anni perché il salvataggio diventasse effettivo, ma ne è valsa la pena.
Protagonista e, a quanto risulta dagli atti giudiziari, vittima di questa faccenda -senz’altro complicata e, almeno per chi l’ha subita o ne subisce di simili, brutta – un’azienda di Corigliano Calabro, finita nel mirino di Italfondiario spa, la più importante società italiana finanziaria specializzata, tra l’altro, nella gestione dei crediti.
Sulla base di un contratto di finanziamento garantito da ipoteca (prassi molto pericolosa per chi vi ricorre, specie nei periodi di crisi come quello attuale), la società finanziaria aveva tentato l’espropriazione forzata del capannone dell’azienda. Ciò, com’è facile intuire, avrebbe comportato la fine delle attività aziendali e la perdita del posto per i dipendenti.
Dopo alcuni tentativi inutili di mediare con la banca, il titolare dell’azienda è ricorso alla tutela di Fernando Scarpelli, legale specializzato nel settore e delegato calabrese dell’Adusbef (Associazione difesa utenti servizi bancari finanziari postali e assicurativi), e la situazione si è invertita. In prima battuta, il Tribunale (all’epoca quello di Rossano) ha sospeso la vendita del capannone e poi, nel 2009, ha emesso una sentenza con cui ha dichiarato nulla la procedura esecutiva immobiliare sulla base di una motivazione: il titolo esecutivo usato dalla banca non era valido.
Ciononostante, il titolare dell’azienda non poteva tirare nessun sospiro di sollievo: la banca, utilizzando lo stesso contratto di finanziamento bloccato dalla sentenza nel 2009, ricorre al Tribunale di Castrovillari, da cui ottiene in prima battuta un decreto ingiuntivo per il valore di 155mila euro.
La storia si ripete, ma dura un po’ di più rispetto al primo round: sette anni, finiti a metà aprile, quando una nuova sentenza non solo respinge la pretesa della banca ma condanna quest’ultima a pagare le spese legali.
La motivazione è simile a quella della sentenza del 2009: la banca non è riuscita a provare il proprio credito.
«Siamo soddisfatti», ha dichiarato l’avvocato Scarpelli, «per aver sottratto una piccola azienda dalle grinfie di una banca che, come accade spesso, aveva agito illegittimamente e per aver salvato dei posti di lavoro».
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