Impara l’arte e mettiti da parte. La risata di Gagliardi vi seppellirà
Il giovane attore e cabarettista cosentino è caustico sulla situazione del teatro e della cultura in Calabria: «Spadroneggiano poche persone con l’avallo della politica». Vivere d’arte? «Quasi impossibile, perché l’offerta culturale è di basso livello e lavorare per gli enti locali può diventare masochismo». Ma c’è di peggio: «Le compagnie amatoriali abbassano il livello e si esibiscono quasi gratuitamente, tagliando le gambe ai professionisti». Morale della favola: «Chi ha talento vada via, perché la Calabria è “anti arte”»
È un attore coltissimo. A modo suo, perché per Emanuele Gagliardi, mattatore di molti palchi, dal vivo e televisivi, la cultura è sempre finalizzata a far sorridere.
Non che Gagliardi non si sia cimentato, e bene, anche in ruoli drammatici. Ma la sua specialità, anzi la sua missione, è il cabaret.
Cosentino, classe ’83, a 35 inverni (anzi inferni, dice lui) suonati, Gagliardi ha accumulato un curriculum mica male: allievo di Totonno Chiappetta, mitico interprete della calabresità e attore più che poliedrico, e di Ennio Scalercio, altro punto di riferimento del teatro meridionale, ha poi intrapreso vari progetti, in tandem con il musicista-attore Eugenio Turboli.
Tra questi progetti spiccano Profumo di Zagara, ispirato a Petrolini, e I Calabroni. I due artisti hanno dimostrato una capacità unica nel fare scompisciare dalle risate, che gli è valsa numerose sortite fuori regione e non pochi riconoscimenti, che elenchiamo scusandoci se è scappata qualcosina.
Nel 2013 I Calabroni sono stati finalisti al Festival di Modena e hanno ottenuto il premio Miglior tempo comico al Calaeboli di Salerno.
Nel 2014 hanno ottenuto il premio della critica al Festival “Massimo Troisi” di Benevento. Sempre nel 2014 i due sfiorano il colpaccio con un provino fortunato al Teatro Tom di Napoli (quello, per capirci, dove registrano Made in Sud) che dà loro la possibilità di partecipare alla trasmissione Il boss dei comici trasmesso nel 2015 da La7, che tuttavia si rivela un flop e non per colpa dei Calabroni, protagonisti di una performance apprezzatissima.
Nel 2015 si rifanno con il decimo posto al Festival Laterza di Taranto e nel 2016 passano, a Bari, il provino per Eccezionale veramente, di cui registrano una sola puntata. Infine, I Calabroni hanno registrato a Barletta Baby Dance, un video con Gegia, la starlet comica degli anni ’80.
Ma l’attività di Gagliardi non finisce qui, perché ha sviluppato anche un altro progetto musicale: gli Scanzonati, una band specializzata in musica satirica, dai primi del ’900 agli odierni Elio e le Storie Tese, Skiantos e Caparezza. Al riguardo, l’attore-cabarettista-cantante racconta un aneddoto: «La canzone italiana moderna è nata dalla satira: si pensi che la prima incisione discografica nel nostro Paese fu Arisa, una canzone comica del siciliano Bernardo Cantalamessa, che risale al 1901».
Inoltre, Gagliardi conduce una trasmissione satirica su Calabria News 24: I Rinviati. Insomma, non si priva di nulla. Ma a questo punto un interrogativo è d’obbligo…
Serve davvero darsi così tanto da fare?
Proprio no. A rivederla alla moviola, mi vien voglia di commentare la mia carriera con una specie di epitaffio: impara l’arte e mettiti da parte.
Ma l’adagio diceva un’altra cosa: di mettere da parte l’arte, non l’artista.
Il problema è che in Calabria non c’è spazio per gli artisti. Soprattutto, non c’è spazio per chi studia e si impegna seriamente. A questo punto una domanda la faccio io.
Prego.
Si parla tanto di emigrazione, soprattutto giovanile. Ma qualcuno si è mai chiesto quanti sono gli artisti o aspiranti tali che emigrano per poter sopravvivere a livelli di decenza? Se si facesse un censimento per categorie, ci si accorgerebbe che gli attori, i musicisti, i pittori e scultori, i registi e i grafici costretti a fare le valige sono una percentuale non secondaria dell’emigrazione calabrese 2.0. Poi, quando qualcuno di questi riesce a sfondare dopo anni di sacrifici a centinaia di chilometri da casa, ecco che la stampa locale e gli amministratori si sbracciano e si mostrano orgogliosi della calabresità di chi ha successo fuori. Io penso che un territorio non dovrebbe far scappar via nessuno. Ma soprattutto non dovrebbe far scappare le persone di talento.
Anche Emanuele Gagliardi vuole scappare?
Se le cose dovessero continuare così, che alternative ho? Studio e lavoro come un dannato, ma per sopravvivere faccio il fioraio.
È davvero impossibile vivere d’arte?
È difficile ovunque, credo, ma in Calabria mancano le opportunità minime. E non parlo solo di me. Faccio un elenco delle disavventure in cui può incappare un giovane artista, con la speranza di non deprimere nessuno perché comunque la mia ambizione resta far ridere le persone.
Procediamo con l’elenco.
Il minimo è finire in mano a impresari improbabili che, se va bene, si rivelano venditori di fumo.
E se non va bene?
Si finisce in ipotesi da codice penale. Il massimo che si può ottenere è esibirsi per somme irrisorie in location improponibili. Il tutto si riduce a una decina di serate in piazza durante la bella stagione.
Ma non esistono i locali?
Quali? Molti sono semplicemente improponibili: lì si affronta la concorrenza dei canzonettari da karaoke e di altri personaggi più o meno improvvisati. Più della mia categoria, questa specie di dumping la subiscono i musicisti, che possono raccontare vicende più bizzarre.
Però in Calabria esistono anche compagnie teatrali e artisti di successo.
Il teatro che conta si riduce a pochi nomi. Inoltre, a monte di tutto c’è un problema politico: i fondi pubblici, soprattutto regionali, sono stanziati a favore di poche associazioni. Basta dare un’occhiata alle gazzette ufficiali per rendersi conto. È superfluo, al riguardo, aggiungere altro, visto che si parla di Calabria.
Ma esistono anche i Comuni…
…lavorare per i quali, a volte, può essere masochismo puro.
Insomma, c’è una situazione di oligopolio artistico in parte blindato dalla politica.
Certo.
Però c’è anche un problema di pubblico.
Dico subito che la Calabria non ha una propria tradizione teatrale. Ma io credo pure che non sia solo colpa del pubblico. È vero che da noi si brilla per anti-arte e il buongusto non è moneta diffusa. Però io penso sempre che non sia solo un problema di domanda, ma che i maggiori danni siano causati dall’offerta.
Spieghiamo meglio questo passaggio.
Prendo un esempio dal mondo della musica: basta in un lungomare qualsiasi o accendere una radio per rendersi conto del bombardamento, a volte estremo, a base di neomelodica, musica latina (così kitch che non la mettono su neppure nelle scuole di ballo), pop becero e via discorrendo. Di solito gli editori di queste radio e i gestori dei locali, balneari e non, si contendono ascolti distratti e passanti più o meno svogliati (anche perché il divertimento vero è altrove e i nostri lidi, anche nel trash, devono prendere lezioni dai gestori romagnoli in religioso silenzio). C’è chi, a giustificazione di certe scelte, esibisce dati statistici o altro, salvo poi piangere miseria quando si devono pagare le tasse o retribuire decentemente dipendenti e collaboratori. Se, invece, si guardano le classifiche dei negozi di musica digitali, ci si accorge che il pubblico preferisce di gran lunga il rock. E infatti c’è chi fa le carte false per andare a vedere qualche evento nel Centronord. Perché non si possono prendere anche da noi certe iniziative con più frequenza?
Già, perché no?
Mi rispondo: perché molto dipende dai contributi pubblici e chi li gestisce, in un modo o nell’altro, crede che la propria impreparazione e il proprio non buongusto siano fenomeni comuni e agisce di conseguenza.
Quindi nel settore culturale è spesso l’offerta a creare la domanda, al contrario di quel che si crede.
Sì.
Per tornare al teatro, c’è un boom del vernacolo, come dimostra il successo ottenuto da alcuni gruppi.
C’è vernacolo e vernacolo. Io stesso ho un repertorio ricco e faccio ricerche sulla materia. Però una cosa sono gli artisti seri, che sono riusciti attraverso il vernacolo e la comicità a esportare la cultura dei propri territori e a farne un brand internazionale. Penso a Franco Franchi e Ciccio Ingrassia o a tanti altri artisti napoletani, romani e non solo. Cosa ben diversa sono le compagnie amatoriali, che lavorano spesso gratis e su testi non di qualità. Il loro successo effimero, dovuto più a mode passeggere che alla qualità, danneggia tutto l’ambiente, sia sotto il profilo artistico che sia dal punto di vista commerciale. È lo stesso discorso della musica popolare: una cosa sono i canti popolari, che esprimono il sentire profondo e la coscienza collettiva di chi li ha prodotti, un’altra è la moda delle tarantelle, spesso interpretata da dopolavoristi assurti non si sa come al rango di cantautori, magari con l’aiuto dei fondi pubblici.
L’esperienza di Emanuele Gagliardi parte piuttosto da lontano.
Da quando ero alle superiori: ero la disperazione dei miei professori. Alcuni, per mettermi alla prova, mi imposero letteralmente, pena la bocciatura, di recitare Cyrano in francese. Quell’esperienza mi fece innamorare del teatro, che continuai all’università.
Sotto la guida di Totonno Chiappetta e di Ennio Scalercio, giusto?
Sì. Ero sempre da Totonno, nel suo mitico ufficio di via Piave. Lui era un artista poliedrico e di grande spessore. Mi fece innamorare della poesia e della recitazione e mi fece capire l’importanza del rapporto, che nel suo caso era di grande empatia col pubblico. La sera, invece, partecipavo alle prove di Gruppottanta di Ennio Scalercio al Franz Teatro. Scalercio è un regista e autore impegnato a livello sociale. È un artista di un rigore enorme.
Dunque, anche i ritardi artistici sono colpa delle classi dirigenti?
In grandissima parte sì. Pensiamo solo che la più famosa maschera calabrese contemporanea, Cetto La Qualunque, è stata ideata e interpretata da Antonio Albanese, che è siciliano. La Calabria, a dispetto di Giangurgolo, sua antichissima maschera, è priva di tradizioni e tra le generazioni nuove si sta diffondendo una sorta di anti arte
Situazione disperata?
Forse. Una via d’uscita ci sarebbe: se si facesse un’inchiesta più approfondita sui consumi culturali medi dei calabresi ci si renderebbe conto che non sono diversi rispetto altre parti d’Italia, comprese le più evolute. Ma se chi fa l’offerta si rivela più incolto e dozzinale di chi dovrebbe esprimere la domanda, gli spiragli si chiudono subito, anche prima di aprirsi. In fin dei conti, l’arretratezza è il risultato di un meccanismo complesso, che non parte solo dal basso, anzi.
(a cura di Saverio Paletta)
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