I martiri del Sud: sangue e bufale a cinque stelle
I grillini si alleano coi neoborbonici e chiedono una giornata della memoria dedicata alle vittime meridionali del Risorgimento. Cattive letture e dilettantismo politico dietro le mozioni presentate in cinque Regioni e al Senato. E c’è il retroscena del business editoriale iniziato dal Del Boca e Pino Aprile
Il tam tam è appena iniziato. Lo aveva anticipato a Gaeta, durante il raduno neoborbonico dello scorso febbraio, Pino Aprile, col fare sornione di chi annuncia chissà che scoop: alcuni esponenti politici di sei Regioni stavano per lanciare una petizione per istituire una giornata della memoria dedicata ai meridionali morti in occasione dell’Unità d’Italia.
Fin qui, nulla di nuovo: si sa chi è Aprile, il successo del suo Terroni è stranoto ed è altrettanto nota la sua vicinanza a questi movimenti, che solo in maniera impropria possono dirsi meridionalisti.
Ma qual era lo scoop dell’ex direttore di Gente, che di scoop ne ha annunciati tanti nei suoi libri, specie nell’ultimo Carnefici, dopo averne fatti pochi nella sua ultra quarantennale carriera? Riguardava la forza politica che si sarebbe incaricata di premere per questo giorno della memoria in cui le vittime del Risorgimento, solo quelle meridionali però, troverebbero il loro posticino a fianco degli ebrei e degli istriani e dalmati italiani: nientemeno che il Movimento 5Stelle.
Infatti, il 13 febbraio, a manifestazione neoborbonica conclusa e ad annuncio fatto, esce il primo documento: una mozione indirizzata dalla consigliera regionale pugliese Antonella Laricchia al presidente Michele Emiliano e al presidente del Consiglio regionale Mario Cosimo Loizzo. Detto in altri termini, si chiede alle Regioni del Sud ciò che lo Stato non può o non vuole fare, magari anche perché i numeri dei neoborbonici sono importanti a livello commercial-mediatico (come testimonia l’imponente merchandise editoriale che fa capo a loro) ma insufficienti a livello politico.
Appena ventottenne, appassionata e graziosa (con una mise più sexy non avrebbe sfigurato nel velinario berlusconiano vecchia maniera), Laricchia è un’aspirante architetta che siede nel Consiglio pugliese dopo essersi candidata alla presidenza. Logico che una ragazza a inizio carriera, per ora politica poi chissà, getti il cuore oltre l’ostacolo e faccia da apripista. Ma una petizione così importante avrebbe meritato ben altra forma e contenuti più convincenti.
Infatti, scrive la bella Antonella nella sua mozione: «L’unità d’Italia costò la vita di almeno 20.000 meridionali, sebbene autorevoli storici annoverano finanche 100.000 vittime».
A questo punto, sono obbligatorie due domande.
La prima: quanti sono i morti? E, soprattutto, a quali morti si riferisce la consigliera pugliese? I briganti rastrellati e passati per le armi oppure condannati a morte a repressione avvenuta? i caduti negli scontri a fuoco? le persone trucidate, ma da ambo le parti, cioè “italiani” e “borbonici”?
Il buco demografico, valutato in 100mila morti al massimo e in 20mila al minimo è serio, tant’è che cifre simili si sono avute nella Prima Guerra Mondiale (la sola Calabria ebbe 30mila caduti su una popolazione che non arrivava al milione). Però andrebbe spiegato meglio, anche per evitare di ripetere lo svarione di Aprile in Carnefici, che ha mescolato non poche cose per dimostrare il presunto genocidio operato dai piemontesi.
Seconda domanda: chi sarebbero questi storici autorevoli? Posto che Aprile e Lorenzo Del Boca (l’ex presidente dell’Ordine dei Giornalisti, che ha iniziato il filone revisionista sul Risorgimento con il suo Maledetti Savoia) non sono storici, resterebbe la pattuglia degli autori neoborbonici, confinata in piccole case editrici che tentano di cavalcare l’onda di questo fenomeno culturale, in senso antropologico va da sé.
Ma la mozione grillina prova a scendere più nel dettaglio: «Numerosi paesi furono rasi al suolo. In particolare si ricorda la strage di Pontelandolfo e Casalduni».
Anche qui una considerazione va fatta: su Pontelandolfo e Casalduni sono stati spesi fiumi d’inchiostro, al termine dei quali si hanno cifre incerte. In particolare, ne ha scritto con garbo e passione il napoletano Gigi Di Fiore, uno dei pochi giornalisti in grado di accostarsi alla storia senza fare gli ultrà e capaci di preferire il rigore all’appeal commerciale (non a caso ha pubblicato per Utet e non per Piemme).
Detto questo, i due paesi beneventani hanno ricevuto nel 2011 le scuse ufficiali dello Stato per bocca di Giuliano Amato, allora presidente del Comitato per le celebrazioni del centocinquantenario dell’Unità d’Italia. Il tutto alla luce del sole.
Ciò per dire che non è vero quanto si afferma più avanti nella mozione: «Nella maggior parte dei testi scolastici e universitari le pagine più oscure della storia d’Italia sono appena annoverate».
Il che forse vale per i testi scolastici in senso stretto, dove è improponibile far studiare la controstoria al posto della storia: lì ci si deve limitare ai fondamentali, poi chi vuole approfondisce (e sarebbe ora).
Ma per i testi più specialistici, destinati quindi all’utenza universitaria e colta, le cose proprio non stanno così: non c’è Paese che più del nostro abbia fatto a pezzi le proprie vicende, non c’è ambiente accademico che, più di quello italiano, abbia creato tanti di quei controcanti da rendere inudibile il canto principale della cosiddetta storiografia ufficiale.
Tuttavia ciò non ha fatto desistere i pentastellati, che hanno fatto copia e incolla della mozione pugliese e l’hanno depositata in tutte le Regioni in cui hanno rappresentanti, tranne Calabria, dove neppure il loro candidato presidente è riuscito a farsi eleggere, e in Senato.
Tanto accanimento non terapeutico si spiega, oltre che con le poche letture, col legame tra grillini, in cerca di voti e di legittimazione culturale, e i neoborbonici, la cui roccaforte è Napoli, la base politica di quell’esteta del congiuntivo che risponde al nome di Luigi Di Maio, lo stesso Di Maio, per capirci, che ha redatto liste di giornalisti sgraditi (magari perché fanno il loro mestiere e non s’improvvisano storici) e si è fatto fotografare col fratello di un pentito senza sapere chi fosse.
Serve altro? Per questa vicenda no. Al Sud sì. E non una improbabile giornata della memoria, richiesta su presupposti per cui la potrebbe richiedere chiunque, persino i discendenti degli antichi liguri che furono sterminati dai latini, e quelli degli etruschi che furono estinti dai romani. E, visto che ci siamo, perché non ci preoccupiamo delle popolazioni italiche soggiogate dai greci?
No, non ci siamo: una giornata così servirebbe sì e no a gonfiare le cifre di certe case editrici, a produrre documentari e ridare più slancio alle carriere malferme di alcuni artisti, vedi Povia ed Eugenio Bennato, che hanno ritrovato un po’ di linfa e pubblico, pagante, grazie alla folgorazione borbonica.
Ma la storia, quella dei professori pignoli e un po’ stronzi, quella dei ricercatori che si consumano negli archivi per scrivere solo un rigo, è un’altra cosa. Lasciamola in pace.
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