Polizia assediata: chi tutela i tutori della legge?
Le forze dell’ordine rischiano il collasso per l’inadeguatezza degli organici. Il Sap: la politica ci impedisce di difendere i cittadini
Un carabiniere si suicida a Napoli. Un poliziotto fa altrettanto a Padova. Un agente della Polstrada muore in provincia di Lecco per le ferite riportate durante un inseguimento. Tutto nel giro di due settimane.
Nel frattempo, il capo della Polizia Franco Gabrielli lancia l’allarme davanti alla Commissione parlamentare sulla sicurezza delle città e delle periferie: l’organico della Polizia di Stato, ha affermato il prefetto Gabrielli, è sotto del 15%. E l’età media dei poliziotti italiani è la più alta d’Europa: più di 47 anni, con la punta massima di Cosenza, dove il poliziotto medio ha più di 48 anni. Non senza un pizzico di malignità, forse doverosa in un alto funzionario dello Stato che si relaziona alla classe politica, Gabrielli ha rimarcato un dettaglio tutt’altro che secondario con un’allusione degna del Federico Umberto d’Amato degli anni d’oro: mentre la maggior parte degli organici languono, alcune questure (Agrigento, Modena, Bologna, Lecce e Varese) traboccano di personale. Questa disparità, sempre a detta del capo della Polizia, potrebbe avere una spiegazione che non fa onore alla classe politica. La questura di Varese, ad esempio, dispone di 229 uomini, il 15% in più del suo organico fisiologico, stimato in 205 unità. A Lecce il personale è di 351 uomini su un organico per cui ne basterebbero 319 (quindi, 10% in più). Stesso discorso per Modena, dove l’eccesso di personale è comunque meno vistoso: 254 su 251 (5%). Anche ad Agrigento la situazione non è dissimile: 12% in più, grazie a un organico di 290 uomini a fronte dei 260 ritenuti sufficienti. Gabrielli è stato piuttosto chiaro: questa differenza è dovuta alla presenza di qualche big ministeriale. Per fare qualche accostamento, si consideri che Agrigento è una base elettorale importante per il Nuovo centrodestra di Angelino Alfano, che Varese, invece, è la culla del governatore lombardo ed ex ministro degli Interni Roberto Maroni e che Lecce è la città dell’ex sottosegretario Alfredo Mantovano.
Più vistose, invece, le carenze di organico di altre importanti realtà metropolitane. È il caso di Messina, dove manca alla conta il 18% del personale (sono presenti 921 uomini rispetto ai 1.129 previsti), quello di Cagliari che col suo 27% in meno (904 uomini su una previsione di 1.245) detiene il record negativo, e di Bari, il cui 13% (1.117 su 1.198) è un altro buco consistente.
I dati denunciati da Gabrielli, già pesanti di per sé, sono aggravati dalle sfide della criminalità organizzata e della cattiva gestione dei flussi migratori. E in quest’ottica fa un po’ impressione sapere che a Caserta e a Foggia, due città in prima linea, il numero di poliziotti sia identico a quello del 1989.
Il dato complessivo è inquietante: per restare ai paragoni cronologici, nel 1989 i poliziotti italiani erano 117.200, ora sono 99.630, per una perdita netta del 15%.
L’allarme c’è tutto. Eppure perché la stampa che conta se ne accorgesse è dovuto intervenire il prefetto Gabrielli. Già: l’attenzione mediatica è più concentrata sulle malefatte, presunte e reali, dei servitori dello Stato che non sui loro problemi. Ed ecco che il caso Cucchi ha ottenuto più prime pagine e aperture di tg che non le morti degli agenti, per suicidio o in servizio. Certo, forse le mele marce fanno più notizia. Ma ciò non impedisce di pensare che dietro questo capovolgimento di prospettiva vi sia un pregiudizio di una certa sinistra retrò nei confronti delle forze dell’ordine, che nel complesso vivono una situazione tragica.
Infatti, c’è da credere che i guai della Polizia siano la punta dell’iceberg del problema sicurezza. Infatti, i poliziotti, a differenza dei carabinieri e dei finanzieri, possono parlare, perché sono un corpo civile con tanto di rappresentanza sindacale cazzuta capace anche di slogan degni di quella sinistra che li avversa. Degli altri corpi, che possono disporre solo dell’insufficiente rappresentanza dei cobar, che dipende dal volontarismo e dai rapporti di forza dei singoli, si sa qualcosa solo quando capita il fattaccio, come nel caso del carabiniere suicida, su cui si è espressa in maniera lapidaria la psicologa Maria Grazia Santucci: è difficile che i militari, spiega la specialista (che ha ascoltato vari appartenenti all’Arma e alla Guardia di Finanza) espongano i propri problemi. «Mi raccontavano», approfondisce la Santucci, «che quando stavano male non lo potevano dire a nessuno, perché se mostravano di essere depressi venivano allontanati dal lavoro e messi a riposo, non potevano magari progredire con la carriera». Va da sé che queste rivelazioni, blindate dal rigido segreto professionale a cui sono tenuti gli psicoterapeuti, nascondano un universo di guai tutto da approfondire.
Sul punto è piuttosto caustico Antonio Giordano, dirigente nazionale del Sap (Sindacato autonomo di Polizia) e segretario provinciale della medesima sigla a Cosenza, un’altra città in prima fila nell’emergenza criminalità: «In questo momento sarebbe importante intensificare le indagini condotte da Nicola Gratteri sulla zona grigia mafiosa che condiziona la vita di Cosenza. Ma, mi chiedo: con quali mezzi? La carenza del turn over ha invecchiato di non poco il nostro corpo, col risultato che molti colleghi cinquantenni e over 40 sono costretti a fare i turni in pattuglia, quando potrebbero essere utilizzati per le attività di polizia giudiziaria».
È il cane che si mangia la coda: «I concorsi vengono banditi in ritardo rispetto ai congedi», prosegue Giordano, «e servono a colmare appena il 50% delle carenze. Però, mi chiedo ancora, quanto tempo può durare questo perverso meccanismo al ribasso? È facile e doveroso elogiare i ragazzi che, freschi di Accademia e nel fiore degli anni, hanno fermato il terrorista di Berlino, tuttavia un cinquantenne, dai riflessi meno pronti, sarebbe stato in grado di agire con altrettanta lucidità?».
Merita un discorso a parte una certa politica legislativa che aggrava la posizione dei tutori dell’ordine. Ad esempio, che senso ha introdurre il reato di tortura nell’ordinamento, quando le norme presenti nel codice basterebbero da sole a incriminare e a far condannare, come spesso è avvenuto, i pubblici ufficiali che abusano del proprio ruolo? Sorge il sospetto che queste proposte siano più il riflesso condizionato di una certa mentalità ancora dura a morire in una parte della classe politica che non la risposta a problemi reali. «Ho l’impressione che certe vicende, che di sicuro non fanno onore alle forze dell’ordine, siano usate come testa di ponte per colpire queste stesse forze da chi non le ha in simpatia per pregiudizi culturali. Eppure penso che la sicurezza non sia una questione di colori politici: i nostri drammi potrebbero diventare la tragedia di tutti, se non si interviene in tempo».
Anche nel caso del Sap, il giudizio sulla classe politica è caustico: «Non c’è nessuna voglia di intervenire e il caso di Cosenza, dove si sospetta che una buona parte della classe dirigente sia collusa, a livello elettorale e non solo, con la classe politica, è quasi esemplare di un certo approccio: sembra quasi che le forze dell’ordine siano più gradite per raccogliere informazioni che per tutelare quella sicurezza collettiva senza la quale non possono esserci né libertà né democrazia vere». La bordata è pesante. E, purtroppo, dal mondo politico, non arrivano quelle smentite che «si possono fare solo con i fatti. Noi siamo al servizio dei cittadini e non dei detentori del potere ed è per questo che continueremo a fare pressioni», conclude Giordano.
Con la speranza che qualcuno colga i segnali di malessere e dia una risposta efficace, aggiungiamo noi.
Saverio Paletta
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