Premiata bufala di Calabria
Nel suo recente report il governatore calabrese Mario Oliverio si è dichiarato fiducioso sulla crescita della sua regione. Ma un economista scopre il trucco e la realtà si rivela meno brillante di come la dipinga certa propaganda (e, assieme ad essa, la stampa che abbocca)
Si sa che la propaganda ha le sue esigenze. Ci mancherebbe. Ma occhio a dare i numeri perché la buccia di banana è dietro l’angolo.
Una l’ha presa il governatore calabrese Mario Oliverio nel report con cui ha fatto il tagliando ai suoi due anni e rotti di amministrazione della Regione più problematica d’Italia, grazie a uno stile balcanico nella gestione della cosa pubblica e a un’economia ai minimi termini.
Ciononostante il presidente della Regione non ha resistito alla tentazione di usare il rapporto Svimez del 2015 per corroborare la sua propaganda.
Ecco cosa scrive Oliverio o chi per lui: «In questi anni il Sud e la Calabria sono tornati, sia pur timidamente, a crescere. La Calabria, dopo una caduta di ben 14 punti del Pil in sette anni, lo ha aumentato di 1.1 con significativi risultati nell’agricoltura e nel turismo».
Tutto il resto sono chiacchiere e, ripetiamo, propaganda. Per sminuire il tumore al livello d’influenza e mettere davanti il fare nella speranza che i disastri passino in secondo piano: «Accanto a questo dato ci sono quelli della crisi: la grande disoccupazione o il lavoro precario dei ragazzi, l’assenza di basi industriali, l’assenza di grandi investimenti nazionali, la sopravvivenza di forme di assistenzialismo nell’economia: tutti mali storici di una Calabria segnata dalla convivenza di arretratezza storica e di modernità distorta».
La riflessione, a questo punto, è quasi banale: per una regione come quella governata da Oliverio l’1,1 in più di Pil per il 2015 sarebbe un’impennata di tipo cinese. Ma se manca tutta la roba indicata dal governatore calabrese, chi è che dovrebbe produrre questo Pil? La Fata Turchina?
La verità è altrove. Cioè in una lettura corretta delle cifre, le quali non sono proprio quelle che dice Svimez, che per il Sud, prima che Renzi arrivasse al governo, aveva profetizzato una catastrofe migratoria, che in buona parte si è avverata.
La Calabria, a dispetto del fare tanto sbandierato da tutti, specie da quelli che hanno qualche problema con l’italiano, è una delle terre più colpite dal salasso demografico, come ha rivelato, con numeri e cifre più solide, il rapporto Migrantes della Charitas, secondo cui i giovani calabresi che hanno fatto le valige negli ultimi 5 anni sono oltre 200mila, cioè il 10% della popolazione. Vi pare poco?
E allora riformuliamo la domanda: se manca tutta la roba indicata da Oliverio e manca pure una fetta importante di popolazione in età attiva e riproduttiva, questo Pil chi lo produce? Nessuno. E il punto e una nticchia di Prodotto interno in più è una bufala o poco ci manca.
L’1,1% in più, lo ha dimostrato l’economista Matteo Olivieri sul web magazine newseconomy.it, può essere fuorviante perché equivale all’aumento dei prezzi registrato nello stesso periodo.
Si tratta, nel gergo degli economisti, del cosiddetto Pil nominale che comprende non solo la quantità dei beni prodotti e consumati ma anche il loro valore d’acquisto. Perciò se uno compra due chili di pane a due euro il chilo ha movimentato quattro euro. Se la stessa persona compra quei due chili a due euro e mezzo ne ha movimentati cinque ma i pani restano sempre due. Ecco in pillole la differenza tra Pil nominale e Pil reale. Per calcolare questa differenza esiste un quoziente, il cosiddetto deflatore del Pil, che si basa sul rapporto tra i due Pil. Applicandolo al caso calabrese, sulla base dei dati Istat si ha la crescita reale, confermata dal rapporto di Bankitalia relativo al 2016: 0,1% in più. Il resto si chiama carovita, visto che misurare l’inflazione in euro è piuttosto difficile.
Ma demistificare questo dato non basta. Ad approfondirlo e, soprattutto, a leggerlo in controluce, emerge ben altro che la delusione per la mancata crescita. C’è, e non leggerissimo, l’allarme povertà. Infatti, l’aumento dei prezzi si traduce in una spesa maggiore (i due pani che, anziché quattro, costano cinque euro) senza che vi corrisponda una crescita dei redditi. Negli anni ’70, quelli in cui Oliverio si è formato politicamente, si parlava di stagflation, un neologismo economico anglosassone che tentava di sintetizzare due fenomeni opposti ma coincidenti: l’inflazione, a cui corrisponde un certo dinamismo economico, e la stagnazione, che in teoria non avrebbe dovuto produrre inflazione. Se non è questa la situazione della Calabria…
Se non c’è chi potrebbe produrre; se, come tutte le zone arretrate, la Calabria è soprattutto un’importatrice; se i redditi non crescono e via discorrendo, quei nove decimi di punto in più possono tradursi in un ulteriore impoverimento della popolazione. Magari non è colpa di Oliverio. Ma allora, perché ostinarsi nella retorica delle grandi realizzazioni, in maniera non dissimile da quanto ha fatto il suo predecessore? Una fedina penale immacolata in un politico calabrese è una gran cosa, ci mancherebbe. Ma di questo passo rischia di essere l’unica differenza tra l’attuale governatore e Peppe Scopelliti.
Occorre capire solo a questo punto se sia da bocciare solo Oliverio o anche i suoi poco avveduti spin doctor…
Per saperne di più:
Vai all’articolo di newseconomy.it
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