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Spie come loro: Canaris e Amè nei drammi della guerra

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Un generale misconosciuto e un ammiraglio destinato al martirio. Il retroscena dell’incontro tra i capi del Sim e dell’Abwehr a Venezia poco prima della resa dell’Italia. «Non fate entrare i nostri soldati in Italia, elimineremo Hitler», disse l’alto ufficiale tedesco…

Venezia, 2 agosto 1943: che ci fanno due alti ufficiali sul lido di Venezia in una delle fasi più delicate della Seconda guerra mondiale? Tante cose: i due sono operativi ai massimi livelli. Gestiscono, rispettivamente, l’Abwehr e il Sim, i servizi segreti militari di Germania e Italia.

Il primo è l’ammiraglio Wilhelm Canaris, il secondo è il generale Cesare Amé. L’ammiraglio e il maresciallo hanno in comune il merito e la dura gavetta.

Nessuno dei due discende dalla nobiltà militare di origine prussiana e piemontese: un’origine che all’epoca garantiva ancora privilegi nell’avvio di carriera. Entrambi, invece, si fanno le ossa sul campo e nelle accademie, rischiando di rompersele seriamente.

Amé inizia nella guerra Italo-Turca per la conquista della Libia e prosegue nella Grande guerra – sul Carso e poi sul Piave – dove si copre di medaglie.

A destra nella foto: il generale Cesare Amé

Canaris, che proviene da una famiglia della Renania del Nord di antiche origini italiane, ha una carriera romanzesca: all’inizio della Grande guerra è tenente di vascello dell’incrociatore Dresden. In tale ruolo, partecipa a due battaglie importantissime, agli ordini dell’ammiraglio Maximilian von Spee: quella delle Isole Falkland (8 dicembre 1914), al largo dell’Argentina, e quella di Más a Tierra, al largo del Cile (14 marzo 1915).

Preso dagli inglesi e internato in Cile, Canaris riesce a fuggire nell’agosto in maniera rocambolesca: attraversa le Ande a piedi, arriva in Argentina e, da lì, si imbarca per la Germania. Tornato nel Reich, riceve la croce di ferro e viene spedito in Spagna come agente segreto. Lì scampa a due attentati e quindi torna in marina col ruolo di comandante di U-Boot e si distingue per l’affondamento di diciotto navi militari nemiche a guerra quasi finita.

Serve altro per dimostrare il valore di questo marinaio d’acciaio?

Amé e Canaris: il contesto dell’incontro

A inizio agosto ’43 tutte le ferite dell’Italia sono appena aperte.

Mussolini è stato destituito da poco ed è prigioniero a Campo Imperatore. Il re, Vittorio Emanuele III,è ancora a Roma e il maresciallo Pietro Badoglio, presi i pieni poteri, cerca di gestire come può (cioè male) una situazione instabile ed esplosiva.

Ufficialmente, l’Italia continua la guerra accanto al Reich, ma non si capisce come e con che mezzi. Soprattutto con quale volontà politica: ciò che resta del fascismo è sfaldato e le forze antifasciste sono ancora lontane da ruoli istituzionali e relativi poteri.

Ovviamente i quasi ex alleati tedeschi non si fidano.

Infatti, già dal mese di maggio, lo stato maggiore della Wehrmacht ha preparato il piano Alarico, che prevede, in caso di crollo del fronte italiano, l’occupazione del Nord della Penisola per trasformarlo nell’avamposto meridionale della Germania.

L’ammiraglio Wilhelm Canaris

Gli italiani, a loro volta, hanno forti sospetti sulle intenzioni tedesche e hanno preparato delle misure di sicurezza da attivare nel caso di un’improvvisa aggressione dell’alleato prossimo a essere tradito

L’aspetto più paradossale di tutta questa vicenda, è che nessuno ha informato Amé dei piani antigermanici dell’Alto Comando italiano, così come nessuno, una settimana prima, lo aveva informato del colpo di mano che i vertici del Partito nazionale fascista avevano predisposto contro Mussolini. Sfiducia nelle capacità del generale? O nella sua lealtà?

Certo è che ad Amé si può rimproverare di tutto tranne che la mancanza di bravura. Stesso discorso per Canaris.

Amé e i servizi segreti tra giochi di potere e caos

Gli appassionati di intelligence non possono fare a meno di notare che sia Canaris sia Amé riuscirono a riformare i rispettivi servizi segreti militari dotandoli di mezzi, personale e, soprattutto, autonomia dall’ingombrante controllo dei vertici politici.

Amé diventa vicecaposervizio del Sim a inizio 1940 col grado di colonnello su chiamata del generale Giacomo Carboni, il capo del servizio, che è da tempo in conflitto col generale Ubaldo Soddu, sottosegretario alla Guerra e capo di stato maggiore.

Il conflitto tra Carboni e Soddu non è proprio leggero e sfiora i gangli vitali del fascismo. Infatti, come riporta Giuseppe De Lutiis nel suo classico I servizi segreti in Italia (Sperling & Kupfer, Milano 2010) Soddu protegge il colonnello Santo Emanuele, gradito da una cordata particolare che fa capo al conte Galeazzo Ciano, dall’ambasciatore Filippo Anfuso e dal generale Mario Roatta, ex capo del Sim e futuro responsabile delle operazioni militari in Jugoslavia.

Il colonnello Emanuele era a capo della sezione Controspionaggio del Sim sin dai tempi di Roatta, col quale aveva avuto una collaborazione privilegiata. A tal punto da organizzare per conto del generale un duplice delitto eccellente: l’assassinio dei fratelli Carlo e Nello Rosselli.

Per questo duplice omicidio Roatta sarebbe finito sotto processo nell’immediato dopoguerra e poi prosciolto per insufficienza di prove.

Il generale Mario Roatta

Ma torniamo all’inizio del ’41. Il generale Carboni chiede a Soddu due cose: rimuovere Emanuele dal controspionaggio e ridurre l’autonomia di questa sezione, di fatto un servizio nel servizio. Soddu traccheggia e prende tempo. Poi risolve il conflitto a modo suo: stacca il controspionaggio dal Sim e lo trasforma in un servizio a parte, il Csmss (Controspionaggio militare e servizi speciali). Carboni, a questo punto, resiste poco e si dimette. Amé prende il suo posto il 20 settembre del 1940 e gestisce con pazienza la delicata situazione dell’intelligence italiana che, al momento dell’entrata in guerra è divisa in quattro servizi: il Sim e il Cmss per l’Esercito, il Sis (Servizio informazioni speciali) per la Marina militare, e il Sia (Servizio informazioni Aeronautica) per l’Aeronautica militare.

Le riforme del generale Amé

Uno dei principali meriti attribuiti ad Amé è avere sconsigliato al Duce l’ingresso in guerra dell’Italia. Ma Mussolini, che non era tipo da accettare consigli, informò sempre tardi e male Amé di ogni iniziativa, a partire dalla dichiarazione di guerra a Francia e Gran Bretagna, di cui il generale seppe il 30 maggio 1940, cioè dieci giorni prima del fatidico 10 giugno. Stesso discorso per l’invasione della Grecia.

Insomma, i vertici del fascismo e dell’Esercito non si fidano di Amé e del Sim. Ma, a dispetto della sfiducia, i servizi militari mettono a segno alcune operazioni brillantissim.

Gli 007 italiani si infiltrano più volte nelle sedi diplomatiche britannica e statunitense, ne prelevano documenti preziosi (cifrari inclusi), li copiano e poi li rimettono a posto.

Il colpo di genio arriva il 12 aprile 1941 durante la campagna balcanica: Amé fa inviare dei telex cifrati a due comandi di divisione jugoslavi. Questi telex, falsissimi, recano la firma del generale Dušan Simović, capo dell’Esercito jugoslavo e contengono un ordine perentorio: sospendere le operazioni e ritirarsi. Gli jugoslavi ci mettono 48 ore a capire l’inganno. Troppo tardi: pressati da nord-ovest dalle truppe italiane e da sud-est da quelle tedesche, bulgare e ungheresi capitolano il 17 giugno.

Nel frattempo, le cose iniziano a cambiare anche a livello politico: Soddu è dimissionato da Mussolini. Ne prende il posto un altro generale, Alfredo Guzzoni, che dimissiona Emanuele e sopprime il Cmss.

Sotto la guida di Amé il Sim passa alle dirette dipendenze del Comando supremo e assorbe il Sis e il Sia. Grazie a questo accentramento, i servizi italiani raggiungono un organico di tutto rispetto: 1.500 uomini, tra ufficiali (300), sottufficiali (300) e personale di truppa specializzato (600).

il maresciallo Pietro Badoglio

Amé e il suo Sim, come capita sempre, sono temuti in patria ma stimati dai nemici (Churchill) e da alcuni alleati importanti. Tra questi Rommel, che confida a un agente italiano di fidarsi più del Sim che dei servizi tedeschi. Forse non ha torto.

Canaris e la riforma impossibile dell’Abwehr

Abwehr significa difesa e basta. Con questa parola, in apparenza neutrale e quasi innocua, i vertici della Repubblica di Weimar riuscirono a convincere i vincitori della Grande guerra a lasciare alla Germania almeno un servizio di informazioni di solo controspionaggio.

Nel frattempo, Canaris aderisce ai Freikorps e poi rientra nella Kriegsmarine, dove ottiene incarichi di comando. Spaventato dai disordini sociali e politici della gracile repubblica, sostiene l’ascesa di Hitler, senza tuttavia aderire al Partito nazionalsocialista.

Al contrario, l’Abwehr, in mano a una élite conservatrice di ufficiali prussiani, mira a restaurare la monarchia e organizza persino un colpo di Stato per impedire la presa di potere di Hitler.

Con la notte dei lunghi coltelli (10 giugno 1934), la grande purga interna al nazismo, arriva l’occasione di Canaris: un reparto di SS preleva a Berlino il generale Ferdinand von Bredow, pluridecorato eroe di guerra e capo dell’Abwehr, e lo fucila due giorni dopo. Ne prendono il posto prima il contrammiraglio Conrad Patzig e, a partire dal 1935, Canaris.

Sotto la guida dell’ammiraglio, l’Abwehr si potenzia fino a toccare i 18mila effettivi dislocati in tutto il mondo. È una rete spionistica imponente, che fa concorrenza agli altri due servizi tedeschi: la Gestapo, cioè la polizia politica, e la Sd (Sicherheitsdienst), ovvero il servizio di informazioni delle SS, guidato prima dal famigerato Reinhard Heydrich e, alla morte di questi (1942) da Ernst Kaltenbrunner.

Ufficiali delle SS

In parallelo alla crescita organizzativa, l’Abwehr cambia mission (non più solo controspionaggio ma anche intelligence estera) e nome: diventa Amt Ausland Nachrichten und Abwehr (Ufficio informazioni e difesa per l’estero, appunto) e passa alle dirette dipendenze del Comando supremo militare. Col potere e l’autonomia arrivano anche i nemici: oltre a Heydrich e Kaltebrunner, Himmler in persona.

Alla prima occasione, si sbarazzeranno di Canaris senza troppi complimenti.

La sinistra profezia di Canaris

Torniamo al 2 agosto ’43 e all’incontro tra i due alti ufficiali. Canaris prende in disparte il suo collega italiano e gli confida: «Congratulazioni vivissime; anche noi ci auguriamo che venga presto il nostro 25 luglio».

Il 3 agosto si verifica la classica commedia delle parti, che sfocia un po’ nella farsa. Infatti, la mattina Amé ribadisce la ferma volontà dell’Italia di continuare a combattere a fianco della Germania. Il pomeriggio, invece, si apparta con Canaris e riprende la discussione della sera prima. L’ammiraglio tedesco fa capire ad Amé di sapere già dell’imminente ritiro dell’Italia dalla guerra. E spiega che ci sono molti ufficiali che vorrebbero sbarazzarsi di Hitler.

Poi congeda il suo ospite con una frase sibillina: «Fate entrare meno possibile le truppe germaniche in Italia». Più che un’affermazione è una profezia: Hitler sta facendo ammassare più truppe possibili al valico del Brennero e molti reparti passano il confine mentre altre divisioni risalgono lo Stivale per chiuderne il Nord agli Alleati.

Si prepara l’invasione, che tuttavia cambia nome e obiettivo: diventa Fall Achse (Operazione Asse) e riguarda tutto il centronord, perché la Germania ha bisogno anche di controllare i porti strategici di Genova, La Spezia, Trieste e Pola.

La copertina di Cesare Amé e i suoi agenti

Scatterà subito dopo l’8 settembre. A questo punto, il dramma diventa tragedia: per le popolazioni del Nord la guerra continua e, purtroppo, diventa anche civile.

Epilogo: un misconosciuto e un martire

Cesare Amé non avrà alcun ruolo, diretto o indiretto, nell’armistizio: Badoglio lo rimuove dal Sim il 18 agosto. Il servizio ritorna in mano a Giuseppe Carboni, che lo gestisce alla meno peggio fino all’8 settembre.

Amé è destinato al comando della Provincia di Lubiana, ma non ne prenderà mai possesso e ripiega prima a Roma e poi al Sud, dove farà parte di varie commissioni d’inchiesta e, nel dopoguerra, sarà testimone chiave nel processo a Roatta. Scrive un libro di memorie (Guerra segreta in Italia, Roma 1954) e qualcuno gli attribuisce un’opera storica sui servizi militari.

Vedovo e senza figli, il generale muore a Roma il 30 giugno 1983.

Cesare Amé è tuttora oggetto di una memoria controversa: elogiato a destra, è trattato con estrema ambiguità da vari autori, tra cui Giuseppe De Lutiis, che lo sminuisce (e, quando può, lo critica) nella sua opera sui servizi italiani, ma lo elogia nella voce biografica sul generale che ha curato per Treccani.

Di recente, è uscito un bel libro di Gabriele Bagnoli, Cesare Amé e i suoi agenti (Idrovolante, Alatri 2019), che offre un quadro d’insieme approfondito e sereno sul capo del Sim e sul periodo storico.

Giuseppe De Lutiis

Canaris, invece, dà seguito a quanto aveva detto ad Amé. Sconvolto dalla brutalità delle SS in Polonia e in altri territori occupati dai tedeschi, prende le distanze dal nazismo e contribuisce a organizzare il piano Valchiria, per eliminare Hitler.

Dopo il fallimento dell’attentato del 20 luglio 1944, Canaris viene arrestato e internato nel campo di concentramento di Flossenbürg, dove le SS lo uccideranno il 9 aprile 1945, un mese prima della fine della guerra.

I servizi segreti, italiani e tedeschi, si ricostituiranno grazie all’opera di militari. Così per il Sifar, che prende il posto del Sim.Così per la cosiddetta rete Gehlen, fondata dall’ex capo dei servizi militari tedeschi nel settore orientale, Reinhard Gehlen, con la benedizione degli Alleati, da cui deriverà il Bnd (Bundesnachrichtendienst), il Servizio federale di intelligence.

In entrambe le strutture, riprenderanno a operare ex fascisti e nazisti (o comunque funzionari fedeli ai cessati regimi) poco compromessi e ricollocati alla grande in nome dell’anticomunismo.

Ma queste sono davvero altre storie, complicatissime e affascinanti.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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