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Attentato a Roma: bombe fasciste e terroristi sionisti

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Due cariche di tritolo fanno esplodere l’ambasciata britannica a Roma, per fortuna senza provocare morti. Fu il primo attentato in Europa dei terroristi israeliani dell’Irgun, che per l’occasione si allearono coi neofascisti di Pino Romualdi…

Sono passate da poco le due di notte del 31 ottobre 1946. Roma, come quasi tutta l’Italia, si lecca ancora le ferite della guerra conclusa da poco più di un anno e mezzo.

La scena si svolge a via XX Settembre, nei pressi di Porta Pia. Degli uomini vanno a villa Bracciano, la sede dell’ambasciata britannica.

Si dividono in due gruppi: il primo scarabocchia svastiche con la vernice sulla parete principale dell’edificio; il secondo piazza due valige davanti al portone d’ingresso.

Un autista che lavora per l’ambasciata nota le valige, s’insospettisce ed entra dall’ingresso posteriore, per segnalare lo strano ingombro al personale di sicurezza.

Troppo tardi: un boato squarcia l’aria e il silenzio della notta. Le pareti anteriori di villa Bracciano si sbriciolano e vanno in frantumi anche i vetri delle case vicine.

Le macerie della sede dell’ambasciata britannica a Roma dopo l’attentato del 1946

Un soldato italiano e un cittadino comune che attraversano via XX Settembre sono gravemente feriti nell’esplosione. Ma nella sede dell’ambasciata, per fortuna, nessuno si fa male. Soprattutto, non si fa male l’ambasciatore Noel Charles (il bersaglio principale dell’attentato, come avrebbero appurato gli inquirenti italiani) perché quei giorni è in licenza.

Depistaggio fascista: bombe comuniste e slave

Passano poco più di ventiquattr’ore da quando il botto sconvolge Roma. Ed ecco che arrivano le prime reazioni politiche a ridosso della cronaca.

Il primo che interviene a mezzo stampa sulle bombe all’ambasciata è Ezio Maria Gray, membro eminente del Senato, come si autoproclama il nucleo clandestino del neofascismo italiano, da cui meno di due mesi dopo sarebbe sorto il Movimento sociale italiano.

Reduce pluridecorato del conflitto italo-turco e della Grande guerra ma, soprattutto giornalista di lunghissimo corso con importanti incarichi durante il Regime (è stato presidente dell’Istituto Luce e dell’Eiar) Gray non parla a caso.

Perciò risultano molto particolari le sue dichiarazioni, in base alle quali le bombe di via XX Settembre sarebbero state piazzate da elementi slavi comunisti residenti a Roma. Ma Gray non si ferma qui. Anzi, aggiunge un passaggio a dir poco sibillino: «Dai miei colloqui con personalità alleate mi risulta che siamo ormai ai ferri corti».

Intellettuali in Libia: da sx, Filippo Tommaso Marinetti, Ezio Maria Gray, Jean Carrere, Enrico Corradini e Gualtiero Castellini

L’allusione, va da sé, è diretta al conflitto tra Usa e Urss, dato per imminente. Ma la tempestività e i contenuti delle accuse hanno tutta l’aria di un depistaggio, come a breve avrebbe confermato l’inchiesta giudiziaria.

I comunisti accusano il colpo

I comunisti non c’entrano. Non c’entrano i sovietici, ma neppure i militanti e i dirigenti del Pci, che tuttavia accusano il colpo e rispondono a stretto giro di stampa, come documenta lo storico Giuseppe Parlato nel suo Fascisti senza Mussolini (Il Mulino, Bologna 2006).

Secondo i comunisti, i colpevoli sarebbero (manco a dirlo) i «neofascisti e i reazionari». La polemica dei comunisti, che pure in un primo momento annunciano l’intenzione di affiggere un manifesto di denuncia, si ferma qui, perché le prove a carico dei neri non escono e l’inchiesta prende tutt’altra direzione anche per un motivo: nel frattempo sono uscite alcune rivendicazioni.

Le bombe di Sion

I britannici non trovano proprio pace, a dispetto della guerra finita e vinta (anche se molto più dagli statunitensi che da loro).

Pochi mesi prima dei fatti di via XX Settembre, le istituzioni del Regno Unito hanno subito un attentato decisamente più duro e cruento. Infatti, il 22 luglio 1946 una fortissima carica di esplosivo fa saltare l’hotel King David di Gerusalemme, dove c’è la sede dell’amministrazione britannica della Palestina. Muoiono 91 persone, di cui oltre la metà sono funzionari di Sua Maestà e il resto fa parte dello staff dell’albergo.

Tra i morti, inoltre, 41 sono arabi, 28 provengono dal Regno Unito, 17 sono ebrei palestinesi e gli altri sono armeni (2), russi (1), greci (1) ed egiziani (1).

A questi si devono aggiungere circa 46 feriti.

L’hotel King David di Gerusalemme, sede dell’amministrazione britannica, devastato dalle bombe israeliane

L’attentato è organizzato dall’Irgun Tzvai Leumi (o, a seconda delle fonti, Irgun Zwai Leumi) in risposta ai continui giri di vite che gli amministratori britannici danno in Palestina nel vano tentativo di gestire l’ordine pubblico in una situazione esplosiva, in cui il conflitto tra arabi ed ebrei si presenta già nelle vesti di una guerriglia feroce ed è prossimo ad esplodere a livello politico.

L’Irgun Tzvai Leumi (che significa: Organizzazione militare nazionale) è un corpo paramilitare estremista, nato in seguito a una scissione nell’Haganah (alla lettera: Difesa) il gruppo paramilitare ufficiale dei nazionalisti ebrei. Entrambi si ispirano al Movimento revisionista sionista, fondato da Vladimir Evgen’evič Žabotinskij (noto anche come Jabotinsky), uno dei padri nobili del sionismo. Per usare un metro contemporaneo, la differenza tra Haganah (che pure non si tira indietro quando c’è da menare o farsi menare) e l’Irgun è la stessa che passa tra destra e destra estrema. Questo a livello ideologico.

A livello operativo, invece, l’Haganah ha un ruolo difensivo o, al più, reattivo. L’Irgun, invece, prende l’iniziativa fin troppo spesso.

Ma tutto questo che c’entra con l’attentato di Roma?

La pista ebraica

Niente dietrologia: sono gli stessi uomini dell’Irgun a rivendicare l’azione in maniera che più provocatoria non si può.

Il quattro novembre, spediscono il classico documento di rivendicazione dall’ufficio postale di piazza San Clodio. Più che il documento, incuriosisce la firma apposta sul modulo di spedizione: Iacobotinski. Una storpiatura, senz’altro voluta. Ma va ben oltre l’allusione. Come sanno bene gli inquirenti italiani, pungolati a dovere dai britannici.

Infatti, gli uomini dell’Irgun sono presenti (e operativi) in Italia da poco prima della fine della guerra. E fanno il pieno di consensi e adepti nei numerosi campi profughi che accolgono molti loro correligionari sopravvissuti alla Shoah.

Vladimir Evgen’evič Žabotinskij

Il loro leader nello Stivale è Eli Tavin, detto Pesach (Pasqua), che struttura il gruppo e organizza due centri di addestramento per combattenti (o terroristi: decida un po’ il lettore): uno a Ladispoli e l’altro a Tricase, nel Leccese.

Tavin è in ottima compagnia di profughi ed ex perseguitati, se possibile più arrabbiati di lui. Sono i polacchi Aba Churman, Natan Rzepkowicz, Chono Steingarten e Girsh Guta, il romeno Dov Gurwitz e l’italiano Tiburzio Deitel. Questo gruppo operativo sceglie come sede un appartamento in una zona a dir poco particolare: a via Sicilia, proprio vicino alla sede dei Servizi segreti alleati. È davvero un caso?

Di sicuro, Tavin e i suoi considerano l’ambasciata britannica in Italia il centro di manovre e sentimenti antisionisti (tanto più che l’opinione pubblica britannica è tutt’altro che immune all’antisemitismo) e perciò un bersaglio ideale.

In questa direzione trovano alleati all’apparenza insospettabili: i fascisti.

Le “cantate” di Romualdi: quel tritolo è fascista

In questo caso, la rivendicazione avviene abbastanza dopo i fatti. Il primo a fornire dettagli è un altro fascista: Pino Romualdi, già capo del Senato clandestino e padre nobile del Msi.

Romualdi, compaesano e amico di famiglia di Mussolini (a cui tra l’altro somiglia in maniera decisa) è stato giornalista durante il regime e poi vicesegretario del Pfr a Salò e federale a Parma. A fine ’46 è uscito da poco dalla clandestinità grazie all’amnistia Togliatti. Tuttavia, non è al sicuro: su di lui pende l’accusa pesantissima di aver ordinato, a Parma, l’esecuzione sommaria di un gruppo di partigiani.

Tuttavia, se la cava come può, grazie a un’attività commerciale di copertura, finanziata con fondi stanziati dalla Rsi e, forse, grazie all’interessamento del Servizio di informazioni segrete della Marina e, in particolare, dell’ammiraglio Agostino Calosi, già noto per aver contribuito a salvare Borghese e per aver aiutato gli israeliani ad ingaggiare i reduci della X Mas in funzione anti britannica.

Da sinistra, Pino Romualdi e Giorgio Almirante

Romualdi ha grandissime qualità politiche: grande senso tattico, altrettanto grande realismo e notevole spregiudicatezza. Abituato a giocare con più mazzi di carte a più tavoli, dialoga sottobanco con i nuovi capi antifascisti per avere la possibilità di creare il Msi, ma nel frattempo fonda i Far (Fasci di azione rivoluzionaria), un gruppo a metà tra il movimento clandestino e la setta politica.

A più riprese, Romualdi, ormai al sicuro come parlamentare missino, racconta di aver venduto lui ai commandos dell’Irgun il tritolo usato per confezionare le bombe. E che lo avrebbe preso proprio da un nascondiglio di armi e di esplosivi residuati da Salò (e da cui i Far avrebbero attinto nei mesi successivi per compiere attentati dinamitardi clandestini).

La testimonianza di Romualdi è suffragata dalle dichiarazioni rilasciate nel 2006 dalla figlia Marina e di Carlo Dinale (terzogenito dell’ex prefetto fascista Neos e, all’epoca dei fatti, collaboratore di Romualdi) allo storico Giuseppe Parlato.

Pino Romualdi aggiunge un altro dettaglio alla sua testimonianza: l’emissario dell’Irgun che lo ha contattato per la consegna degli esplosivi dice di chiamarsi Jabotinsky.

Il che non può essere possibile: Žabotinskij, quello vero, è morto negli Usa nel 1940.

Buona ultima, si aggiunge la testimonianza di un altro storico collaboratore di Romualdi: l’ex sottosegretario agli Esteri ed ex senatore Alfredo Mantica, che evoca l’attentato durante un faccia a faccia con Cossiga in Commissione stragi.

La retata col morto

Ad ogni buon conto, l’Irgun rivendica a lungo l’attentato e ne minaccia altri. Ma il gioco si ferma in tempo. Infatti, polizia e carabinieri arrestano, a partire da Eli Tavin, nove persone in tutt’Italia.

Tra loro c’è chi tenta la fuga: è Israel Zeev Epstein, che scala con una corda le pareti del carcere il 27 dicembre 1946. Un soldato di sentinella lo nota e gli intima l’alt inutilmente. Poi spara e colpisce allo stomaco il fuggiasco, che muore poche ore dopo per le ferite.

Tuttavia, il processo finisce a tarallucci e vino. Innanzitutto, su pressione del comando alleato (cioè degli Usa), gli undici imputati tornano a piede libero e si danno alla latitanza.

Ma trovano comunque un ottimo avvocato: Giovanni Persico, già deputato demonazionale appena rientrato in politica nel nascente Psdi.

Militari israeliani durante la guerra del 1948

Tra le varie, Persico, sottosegretario nei governi Parri e De Gasperi, è massone di lungo corso ed è stato amico stretto di Žabotinskij….

L’avvocato, forte di una consistente rete di protezione, nelle istituzioni italiane e in parte del comando e dell’intelligence Usa, si muove benissimo e limita i danni.

Il dibattimento inizia cinque anni dopo i fatti. Israele preme sull’Italia perché non persegua gli attentatori e quest’ultima risponde all’italiana: la magistratura irroga condanne non pesantissime, da sedici a otto mesi a tutti gli imputati, il governo annulla tutto con una serie di amnistie.

Un epilogo per dietrologi

Nulla di fatto. Ma anche per l’Irgun, che è costretto a sciogliersi pochi mesi dopo perché ormai persino le agenzie ebraiche lo reputano ingombrante.

Tuttavia, i suoi uomini non restano a spasso: i miliziani duri e puri entrano nell’Esercito (Idf), dove hanno tutte le opportunità di menare le mani e far carriera, e i politici confluiscono nei partiti di destra.

Detto altrimenti, tutto può lasciar pensare che i vertici israeliani abbiano usato l’Irgun per fare pressioni e poi l’abbiano barattato in cambio di riconoscimenti politici.

Il processo per i fatti di Roma è emblematico: iniziato con un’inchiesta lampo termina con un dibattimento celebrato a babbo morto. Cioè quando Israele è uno Stato sovrano da tre anni e perciò protegge la latitanza dei bombaroli.

Più sfumato il discorso sui fascisti. Al riguardo, farsi almeno una domanda è un obbligo: come mai il filoarabista, futuro sostenitore di Mattei e poi simpatizzante di Khomeini, Pino Romualdi vende il tritolo agli ebrei? 

Il principe Junio Valerio Borghese

Certo, i livori antibritannici dei fascisti spiegano molto. E spiega molto anche il fatto che questi ultimi si trovano con le pezze al culo e perciò si dedicano a traffici di vario genere per tirare avanti.

Tutto questo, però, non esclude un ruolo più o meno scoperto e spregiudicato dei nostri Servizi, che bussano ai camerati per fare cose che nessun uomo delle istituzioni potrebbe fare a cuor leggero, almeno a livello politico.

Lo si vede, ad esempio, nella mediazione coeva di Calosi tra gli uomini di Borghese e la nascente Marina militare israeliana.

Nulla vieta che i Servizi italiani abbiano incoraggiato anche questa compravendita. Che avrebbe avuto per i fascisti una contropartita più importante dei quattrini: il via libera definitivo alla fondazione del Msi che avverrà, il 26 dicembre del 1946, con il riconoscimento immediato di agibilità istituzionale per chi vi milita e lo dirige.

Spingersi oltre, in assenza di prove, è impossibile, perché significherebbe spingersi tra le pure ipotesi. Affascinanti quanto si vuole, ma sempre e solo ipotesi.

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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