Alcune riflessioni sul ddl Zan
Si prepara l’ultima battaglia in Aula per le norme contro l’omotransfobia. Una riflessione spassionata sui motivi e sui punti dubbi di un disegno di legge che fa discutere
Insultare i gay? Anche ora è reato
Una sequela di insulti per iniziare: froci, ricchioni, checche, culattoni, frufrù, che fanno tanto borgata o mercato rionale del pesce.
Se moderiamo il linguaggio, le cose non migliorano: pederasti, invertiti e contronatura, che invece evocano salottini clerico-reazionari d’antan.
Ad ogni buon conto, insultiamoli ora, a testa bassa, ché se passa il ddl Zan la pacchia è finita.
Invece no (e chiediamo scusa agli amici gay, ai gay che non ci sono amici e a quelli che non conosciamo e non ci conoscono): non si potrebbe insultare neppure adesso, perché la normativa penale, dentro e fuori il Codice, gronda sanzioni (ingiuria, calunnia, diffamazione ecc.) e prevede un’aggravante, i motivi futili e abbietti, che non dovrebbe dar scampo.
Lo stesso discorso vale, moltiplicato per cento, per le intimidazioni e le aggressioni fisiche.
Tutte le violenze in numeri
Il problema, allora, è di condizionali: non si potrebbe e non si dovrebbe, tuttavia, certe pratiche odiose continuano, come segnala Omofobia.org (leggi qui).
Ma questa è solo una parte del problema, perché la stessa fonte non riporta altri dati, da cui invece, si potrebbe capire per davvero se l’emergenza c’è o no.
Ad esempio: quanti sono i casi denunciati e non adeguatamente perseguiti dalle forze dell’ordine e dagli inquirenti? Ancora: quanti sono i processi scaturiti dalle denunce e le condanne inflitte? Di più: queste violenze quanto pesano sull’ordine pubblico – che, occorre ricordare, è una categoria della vita civile e non una elucubrazione fascista – nel suo complesso?
Su questo punto le ambiguità non mancano: i 1.291 casi registrati dal sito lgbt friendly in circa otto anni, non sembrano pochi. Anzi, danno piuttosto nell’occhio, visto che riguardano un gruppo sociale (gli lgbt, appunto) stimato attorno al cinque per cento della popolazione.
Ma questa cifra diventa la classica goccia nell’oceano di violenze socio-relazionali con cui gli addetti ai lavori si misurano ogni giorno che Dio manda in terra.
L’Istat, al riguardo, esibisce dati più inquietanti sul bullismo, di cui risultano vittime sei ragazzi su dieci, la maggior parte dei quali per motivi legati all’aspetto fisico o al modo di parlare.
E, a proposito di discriminazioni, vogliamo per caso parlare di quel che accade in molti luoghi di lavoro, dove le tutele dello Statuto dei Lavoratori non valgono quasi più ed essere donna in maternità può comportare l’allontanamento?
Non si vuole, citando questi casi, contrapporre violenza a violenza, discriminazione a discriminazione. Ma è pur vero che essere insultati, malmenati, mobbizzati o discriminati perché brutti, bassi, obesi o troppo magri è almeno altrettanto grave che esserlo per l’orientamento sessuale, che, detto per inciso, non è un difetto ma una condizione esistenziale. Ed è altrettanto vero che la sessualità e i relativi orientamenti sono fatti privati.
Più complicato il discorso sulle altre forme di bullismo e discriminazione: in questi casi i numeri rivelano davvero una grave emergenza sociale, ribadita da altri indizi inquietanti, quali l’aumento dei disturbi alimentari e il ricorso al bisturi, che ha superato il milione di interventi. Eppure, tranne che per il mobbing e per alcune innovazioni introdotte col Codice Rosso, non pare che ci siano normative speciali.
La vera utilità della repressione penale
Prima di argomentare, occorre rispondere a un’altra domanda: se il numero dei casi di omotransfobia non definisce da solo un’emergenza, è davvero necessaria una legge speciale, repressiva e preventiva allo stesso tempo, com’è il ddl Zan?
La risposta è piuttosto articolata: in un Paese pienamente civile, il ddl Zan non servirebbe.
Nel nostro Paese, invece, qualche aggravante e qualche specificazione normativa non guasta, perché il problema reale è stimolare adeguatamente le forze di pubblica sicurezza e le autorità inquirenti a intervenire.
In un Paese civile chi bullizza un omosessuale o un transgender dovrebbe comunque essere perseguito allo stesso modo di chi bullizza il prossimo per altri motivi, tantopiù che la giurisprudenza costituzionale ha allargato l’articolo 3 della Costituzione includendo nel concetto di sesso anche l’orientamento sessuale.
Nel nostro Paese, invece, occorre forzare le procedure, vincere pregiudizi e pigrizie. È capitato col Codice Rosso, può capitare col ddl Zan. A patto che passi la mediazione con cui si chiede di emendarne il testo da vistosissimi punti dubbi, che potrebbero rivelarsi dei boomerang, come ha chiesto di recente Matteo Renzi, il quale si è unito al coro critico ma fattibilista costituito da Fi e Lega.
Tre articoli di troppo
Non è il caso di scendere troppo nel dettaglio, visto che il ddl è stato passato al microscopio. Ma è chiaro che tre articoli del testo sono davvero di troppo.
Ci si riferisce all’articolo 1, che per definire orientamento e identità sessuale, crea una distinzione artificiosa tra natura (il sesso biologico), burocrazia (il sesso anagrafico) e cultura. In pratica, orientamento e identità sono ridotti a questioni di gusto (l’attrazione) e di autopercezione e messi sullo stesso piano. Detto altrimenti, una persona può sentirsi a piacimento uomo o donna o cambiare orientamento più volte nel corso non dell’esistenza ma di mesi. Se questa voleva essere una definizione, Alessandro Zan o chi per lui hanno sbagliato bersaglio: non definisce nulla, se non una volontà più astratta che libera.
Peggio che andar di notte con l’articolo 4, che presenta una formulazione a dir poco ambigua, che si riporta integralmente:
«Ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti».
Nonostante gli sforzi, non si riesce a capire dove vada a parare quest’articolo, che fa salve la libertà d’espressione e il pluralismo, che è in realtà un valore costituzionale di prima grandezza. Ora, visto che l’articolo 21 della Costituzione non è un’invenzione campata in aria, la sicura dell’articolo 4 del ddl risulta inutile. E risulta inutile anche il «purché non idonee», visto che la normativa vigente sanziona già varie forme di istigazione a delinquere.
Ma la vaghezza di questo articolo, contro cui i critici si sono giustamente appellati, sottende il vero pericolo: delegare alla discrezionalità dell’autorità giudiziaria la decisione su ciò che è discriminazione e istigazione e ciò che non lo è. E non sbaglia neppure che legge in questo articolo anche il tentativo di istituire nuove forme di reato d’opinione, come se il nostro ordinamento non ne contenesse già abbastanza.
Una valutazione più sfumata riguarda l’articolo 7 del ddl: in apparenza il più innocuo. Le attenzioni dei critici si sono appuntate su due passaggi del comma 3 della norma.
Il primo di questi recita:
«In occasione della Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia sono organizzate cerimonie, incontri e ogni altra iniziativa utile».
Il secondo passaggio, in effetti più controverso, è dedicato alle scuole:
«Le scuole, nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa […], e del patto educativo di corresponsabilità, nonché le altre amministrazioni pubbliche provvedono alle attività di cui al precedente periodo compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente».
Già, ma quali scuole? Siamo sicuri che un Istituto comprensivo dell’obbligo, frequentato da under 14 sia un luogo adatto a queste cerimonie e che il corpo docente sia tenuto a spiegare certe cose a ragazzini delle elementari? Non è un caso che alcuni critici abbiano voluto vedere in questa norma una specie di cavallo di Troia della propaganda lgbt.
Un’esagerazione dovuta alla propaganda? Forse, ma la vaghezza della formulazione autorizza a trarre anche queste conclusioni.
Polemiche in corso
Se queste conclusioni risultassero corrette, si potrebbe pensare di peggio: cioè che sotto le vesti comprensibili di una normativa antiviolenza e antidiscriminazione, il ddl Zan celi altre intenzioni, non del tutto chiare, e potrebbe diventare uno strumento di discriminazione alla rovescia.
Se n’è accorto anche Zan, autore di tweet e post deliranti, del tipo: «Allora includiamo anche i ciccioni». Già: perché i bullizzati per problemi anche gravi, di tipo fisico e lessicale, devono accontentarsi di tutele generiche e non averne una specifica come quelle impostate dal ddl Zan?
Di questi e altri effetti indesiderati del ddl Zan si sono preoccupati anche alcuni esponenti del mondo lgbt. È il caso di Arcilesbica, la cui presidente Cristina Gramolini si è di recente schierata con Renzi sulla base di motivazioni non equivocabili:
«Da quando il testo era in discussione alla Camera abbiamo scritto, fatto delle riunioni con Alessandro Zan per spiegargli che in quegli articoli ci sono grossi rischi di interpretazione che spalancano le porte ascenari aberranti».
La situazione rischia di avvitarsi, proprio in seguito all’ingresso di Renzi, che rispetto a Fi e Lega è considerato comunque un interlocutore affidabile da una parte degli ambienti gay non allineati.
Resta solo un dubbio: Zan ha chiesto cento per ottenere dieci (e quel dieci basterebbe e avanzerebbe) oppure bolle altro in pentola? Intanto, si prepara il muro contro muro…
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