Caso Lombroso-La nuova crociata contro il Museo
La vecchia battaglia neoborb contro il Museo Lombroso di Torino finì male ma almeno sollevò rumore. Gli “antilombrosiani” vecchi e nuovi sono tornati alla carica in maniera chiassosa e un po’ caricaturale, ma stavolta hanno trovato poche persone disposte a dargli voce (e credito…)
Sono indifferenti a tutti, soprattutto al ridicolo. Non paghi delle figuracce rimediate in sede giudiziaria nel 2017 e nel 2019, i neboborb sono tornati alla carica con la tiritera del presunto razzismo antimeridionale di Cesare Lombroso e hanno tentato un altro attacco politico al Museo Lombroso di Torino, dedicato alle teorie e agli studi del papà dell’Antropologia criminale.
Ma stavolta hanno ottenuto un effetto boomerang: i media e le istituzioni dell’ex Capitale (contrariamente a quanto avvenuto lo scorso decennio) hanno fatto quadrato attorno al Museo e i neoborb del Comitato tecnico-scientifico “no Lombroso” non hanno ottenuto granché in quanto a visibilità, tranne un articolo sul Corriere del Mezzogiorno e un dossierino sulla testata calabrese LaC.
Riguardo LaC, sarebbe il caso di dire: et pour cause, perché che il giornale online è diretto da Pino Aprile, l’autore più famoso del filone antirisorgimentale a cui si richiamano i “no Lombroso”.
Anzi, visto che ci siamo, può risultare gustoso un altro dettaglio (che però è da verificare): parrebbe che la delegazione di terronisti guidata dal senatore lucano Saverio De Bonis abbia chiesto di visitare il Museo per verificarne gli intenti razzisti con un documento che nell’intestazione recava il simbolo del Movimento 24 agosto-Equità territoriale, che annovera tra i suoi fondatori proprio lo stesso Aprile.
E la visita? Si è svolta in un clima un po’ piedigrottesco, alimentato da una doppia narrazione. Decisamente sfottente quella fatta da Leonardo Di Paco per La Stampa, che racconta siparietti simpaticissimi: segni della croce davanti a un pugnale a forma di crocefisso (gadget diffuso nella criminalità ottocentesca, della quale si occupò Lombroso), tentativi di forzare il divieto di selfie e di riprese nei locali del Museo, polemiche a gogò e tentativi di propaganda.
La seconda narrazione, quella dei visitatori, è decisamente più vittimista: «Abbiamo riscontrato ostilità da parte del direttore e della dirigente del Museo», ha dichiarato De Bonis, «Ci hanno seguito come fossimo neonati, è inaudito», si sono lamentati i membri della delegazione antilombrosiana, come ha riportato LaC (leggi qui).
Dov’è la notizia? Forse lu senatore è poco abituato a visitare i musei e quindi potrebbe non sapere che in queste strutture ci sono sempre regole da osservare e personale incaricato di imporne il rispetto.
Chi scrive ha visitato il Museo Lombroso a novembre 2019 e, per sua fortuna, è stato accompagnato da Cristina Cilli, la curatrice dell’allestimento che è stata prodiga di spiegazioni e, purtroppo per lo scrivente, ferma nel vietargli riprese, scatti e selfie: sono regole, appunto.
Ma chi c’era nella delegazione? Oltre a De Bonis, che ha rilevato il posto di leader politico antilombrosiano che fu di Domenico Scilipoti, hanno preso parte alla passerella terronista Giuseppe Gangemi, professore universitario di Padova e fratello meno famoso dello scrittore Mimmo, Domenico Iannantuoni, Ing. milanese di origine pugliese e animatore della prima crociata contro il Museo, Amedeo Colacino, avvocato ed ex sindaco di Motta Santa Lucia (e sodale di Iannantuoni) ed Enrico Fratangelo, sindaco terronista di Castellino del Biferno e autore dei ducati con la faccia di Maradona.
Un milieu granitico, resistente a tutto: critiche, satira, smentite e procedimenti giudiziari. Al riguardo, c’è un risvolto che sa di paradosso: Colacino, protagonista della bizzarra (e perdente) battaglia giudiziaria contro il Museo Lombroso, è sotto processo per diffamazione in seguito a denuncia di Pietro Esposito, discendente di quel Giuseppe Villella le cui spoglie mortali sono diventate la pietra dello scandalo dello storytelling neoborb.
Come anticipato, la vicenda stavolta non è finita benissimo: il Comune di Torino ha espresso il sette giugno la propria solidarietà al Museo con un ordine del giorno proposto dal grillino Massimo Giovara. Una nemesi, visto che i terronisti hanno trovato manforte a più riprese proprio nelle file dei pentastellati.
Sempre a proposito di politica, De Bonis non è l’unico parlamentare intervenuto in questa vicenda: sulla parte opposta della barricata (che non è costituita da improbabili amanti di Lombroso ma da persone convinte che le istituzioni culturali e la libertà di pensiero siano beni preziosi da tutelare in tutti i modi) Andrea Giorgis, deputato del Pd e protagonista della controvisita al Museo promossa dall’associazione Antigone, che si dedica ai diritti dei detenuti.
Il muro contro muro è servito, ma la sproporzione di forze (e di qualità) è palese: nessun grosso Comune del Sud, a quanto risulta, ha sposato la nuova causa antilombrosiana e, tranne LaC, i media meridionali si sono dimostrati piuttosto tiepidi. E, se proprio si vuole andare appresso ai titoli, il paragone tra Giorgis, che è docente di Diritto costituzionale, e De Bonis può risultare piuttosto ingeneroso.
Se le premesse sono queste, non ci vuol proprio la zingara per vaticinare l’ennesima disfatta ai neoborb. Molto rumore per nulla? Forse non del tutto: almeno sono divertenti.
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