Dai cavalieri di San Giorgio al Vaticano via Sepe: la santità di Francesco II
L’arcivescovo emerito di Napoli è l’uomo chiave per la beatificazione dell’ultimo re di Napoli. Alle sue spalle c’è la fitta rete di relazioni dell’Ordine cavalleresco che fa capo a don Carlo di Borbone…
È solo una triste fatalità: il cardinale Crescenzio Sepe, arcivescovo emerito di Napoli, è stato ricoverato all’Ospedale Cotugno di Napoli dopo essere risultato positivo al Covid.
Secondo i superstiziosi, tuttavia, potrebbe esserci dell’altro: il processo di canonizzazione di Francesco II, l’ultimo re delle Due Sicilie, non porterebbe proprio bene e la malattia in cui è incappato il cardinale ne sarebbe la conferma.
Già a metà dicembre, quando lo stesso monsignor Sepe annunciò il via libera dei vescovi campani alla canonizzazione dell’ultimo Borbone di Napoli, si sarebbe verificato il primo segno: San Gennaro non ha sciolto il sangue nella mitica ampolla custodita nel Duomo partenopeo.
Per fortuna, la canonizzazione non è una questione di credenze (o, peggio, di superstizioni) ma di dottrina e di diritto, affinati dalla Chiesa in seguito a un lavoro plurisecolare, che al momento risulta aggiornato dall’Istruzione Sanctorum Mater, approvata da papa Benedetto XVI nel 2007 per ammodernare la Costituzione apostolica Divinus perfectionis Magister emanata nel 1983 dal compianto Giovanni Paolo II. E ci sta: chi più esperto dell’attuale papa emerito in queste faccende?
Alla luce di queste normative, che per i cattolici hanno valore di legge nelle questioni di fede, il primo step della canonizzazione dovrebbe svolgersi nella diocesi del territorio in cui è morto il servo di Dio.
Nel caso di Francesco II di Borbone il vescovo competente non dovrebbe essere quello di Napoli (ruolo ricoperto da Sepe fino allo scorso 12 dicembre) ma quello di Trento, dove re Franceschiello passò a miglior vita il 27 dicembre 1894.
Come tutte le normative, anche quella canonica ha le sue eccezioni: è previsto infatti, che un altro vescovo può richiedere che gli sia trasferita la competenza nel processo di canonizzazione. Tuttavia, il trasferimento delle competenze deve essere autorizzato dalla Congregazione delle Cause dei Santi, che è un’istituzione della Santa Sede e quindi vaticana, sulla base del consenso espresso del vescovo a cui viene richiesto il trasferimento.
Caliamo la norma nel caso napoletano: l’arcivescovo di Napoli (all’epoca Sepe) avrebbe dovuto chiedere la competenza a quello di Trento; quest’ultimo, a sua volta, si sarebbe dovuto dichiarare d’accordo e la Congregazione avrebbe dovuto autorizzare.
Non è il caso di entrare nel merito, perché la competenza materiale di Napoli è fuori discussione, visto che Franceschiello nel Trentino asburgico c’è solo morto e ha trascorso la parte più significativa della sua non lunga esistenza (morì a 58 anni) nella capitale del suo ex Regno.
Il dubbio riguarda la forma: il trasferimento prevede, come s’è detto, una procedura piuttosto macchinosa, in cui almeno due vescovi devono parlarsi e il Vaticano ha l’ultima parola.
Per quel che riguarda re Lasagnetta è lecito un dubbio: possibile che questa procedura si sia svolta all’intrasatta, cioè a velocità lampo, magari a giro di pec? O forse l’Arcidiocesi di partenopea ha preferito muoversi sotto traccia prima di ufficializzare la notizia?
Quest’ultima ipotesi è piuttosto difficilotta, visto che Nicola Giampaolo, il postulatore della causa di beatificazione di Franceschiello, ha parlato di uno schieramento imponente a favore della canonizzazione: quaranta testimoni, tra cui storici, esponenti di fondazioni e associazioni culturali. Possibile che con questo popò di parterre non sia scappata una chiacchiera?
La possibilità alternativa, al momento, resta nel campo delle pure ipotesi: non è che la Curia campana ha forzato la mano? Si sa: le leggi, anche quelle canoniche, si applicano più o meno sempre, ma in alcuni casi si interpretano.
Specie quando i legami con certo laicato da jet set sono piuttosto forti. Ci si riferisce, in questo caso, a quella formidabile rete di relazioni che contano gravitante attorno al Sacro Militare Costantiniano Ordine di San Giorgio, cioè l’ordine cavalleresco di cui è gran maestro don Carlo di Borbone, rappresentante del ramo francese dell’ex famiglia reale. Per capirci, quello che ha prestato il nome al celebre marchio di caffè in cialde.
Intendiamoci, mancano le prove del fatto che la fase iniziale della procedura di canonizzazione di re Lasagnetta abbia avuto particolari agevolazioni. Tuttavia, le prove invece abbondano per quel che riguarda la forza di certi legami eccellenti.
Al riguardo, non si può fare a meno di notare che monsignor Sepe coltiva da sempre rapporti altolocati, che a volte gli hanno procurato qualche fastidio giudiziario per fortuna risolto al meglio: è il caso dell’inchiesta della procura di Perugia in cui il cardinale fu coinvolto assieme all’ex ministro Pietro Lunardi.
In queste relazioni non può mancare l’araldica, verso la quale l’arcivescovo emerito di Napoli coltiva una passione pari solo a quella per il tabacco.
Infatti, Sepe è Cavaliere di Gran Croce proprio del Sacro Militare Costantiniano ecc. che fa capo a don Carlo. E in quest’ordine gode di buona compagnia: quella del cardinale Angelo Scola, arcivescovo emerito di Milano e già vescovo di Grosseto e patriarca di Venezia, del cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo emerito di Genova ed ex presidente della Cei, e del cardinale Agostino Vallini, anche lui arcivescovo di lungo corso e vicario romano del papa.
Questa credenziale non fa di Sepe un neoborb, visto che, con rara imparzialità araldica, il monsignore è Cavaliere di Gran Croce anche dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro, legato a Casa Savoia. Pure in questo caso, la compagnia è ottima: la stessa onorificenza è esibita con orgoglio dal menzionato cardinale Scola e dal compianto monsignor Mariano De Nicolò, vescovo emerito di Rimini, scomparso lo scorso autunno. Tra i laici, invece si annoverano Bruno Vespa e donna Assunta Almirante.
Intendiamoci: non c’è nulla di male, per gli alti prelati e per i cattolici praticanti, in tali militanze, tanto più che questi ordini cavallereschi – normalmente riconosciuti dagli organismi sovranazionali (Onu, Ue e Santa Sede) – si propongono di difendere la fede e i suoi valori.
Ma torniamo al Sacro Militare ecc.: in quest’ordine starebbe per liberarsi il posto di Gran Priore, occupato finora da monsignor Renato Raffaele Martino, attualmente cardinale protodiacono del Sacro Collegio Cardinalizio. Martino, che vanta un curriculum illustre di diplomatico della Santa Sede, è un vegliardo illustre della Chiesa che, a 88 anni suonati (e portati benissimo) non può più esercitare ruoli di potere per raggiunti limiti di età. I bene informati sussurrano che nel gran priorato potrebbe subentrargli proprio Sepe, il quale ha pure toccato i limiti di età: dimissionario come arcivescovo di Napoli per aver superato nel 2018 il settantacinquesimo anno di età, tra due anni, quando compirà l’ottantesimo, non potrà più essere neppure cardinale elettore.
Perciò gli resterebbero gli ordini cavallereschi per continuare ad avere un ruolo di prestigio proporzionato al suo background. E quale miglior titolo, alla bisogna, della canonizzazione dell’illustre avo di don Carlo?
Va da sé che la battaglia per la beatificazione di Lasagnetta si giocherà sulla sostanza della presunta santità dell’ex re più che su questi aspetti certamente non secondari ma formali.
Tuttavia, c’è da dire che una fetta di società civile non è d’accordo proprio su questa sostanza e si è mobilitata per dar battaglia: al momento è sceso in campo un Comitato di professionisti, storici, giornalisti di varia estrazione socioculturale. Un’aggregazione spontanea di cittadini di tutte le parti d’Italia, a partire da Napoli, che contesta la santità di Franceschiello.
A differenza degli ultrà dell’ex re di Napoli, non ci sono ordini cavallereschi o lobby di mezzo. Chi vincerà?
Intanto, sentiti auguri di pronta guarigione a Sepe: i cattolici normali, più di quelli araldici, hanno ancora bisogno di lui.
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