Costituzione, pericolo scampato. Parola di Gambino
Parla Silvio Gambino, docente di Diritto pubblico in prima fila nei Comitati per il no. «Se fosse passata, questa riforma avrebbe messo in pericolo tutto il sistema dei diritti». «Desideravano una repubblica presidenziale? Bastava dirlo. In realtà hanno solo tentato di realizzare i desideri e i programmi di alcuni potentati finanziari». «Il Pd? Non è più una sinistra né rispecchia i valori di giustizia sociale della Costituzione, tranne, forse, qualche eccezione interna»
Il no ha stravinto e il dibattito è diventato mainstream. Qualunque giudizio si voglia dare dell’esito del referendum, resta un dato positivo: parecchie persone, compresi non pochi astenuti di lungo corso, hanno ripreso a dibattere e ad accapigliarsi sulla politica, una volta tanto affrontata nel merito e non scansata con pressappochismo. Ha vinto la paura? «Paura forse no, ma c’era di che intimorirsi nella riforma Boschi-Renzi». Pericolo scampato? «Senz’altro: le garanzie costituzionali, specie quelle in materia di libertà, sono aspetti della vita che diamo per scontati finché ci sono. Quando li si perde o vengono compressi, sono dolori. Voi giornalisti dovreste saperne qualcosa». Parola di prof.
Chi parla è Silvio Gambino, ordinario di Diritto pubblico all’Università della Calabria. Avellinese, con una mole impressionante di pubblicazioni specialistiche all’attivo, Gambino è stato in prima fila nella campagna referendaria, in cui si è speso per il fronte del no, in qualità di presidente provinciale del Comitato per il no di Cosenza.
Lei ha sostenuto questa campagna referendaria a fianco di Alessandro Pace e ha preso posizioni nette. Ma la Costituzione è proprio intoccabile?
Non ho mai pensato questo: il tempo passa per tutti e persino le costituzioni invecchiano, almeno nelle modalità di organizzare i poteri diritti costituzionali. Io ne faccio soprattutto una questione di diritti e dico: le forme di Stato e di Governo esistono per assicurare ai cittadini le libertà e dare risposte alle loro legittime istanze. Quindi, vanno bene tutti i ritocchi e gli ammodernamenti in linea con queste esigenze, che non sono i desideri di una parte, ma dati acquisiti nella civiltà giuridica occidentale e non solo. Una Costituzione che, in nome di una “governabilità” quasi mai spiegata, comprima questi diritti è pericolosa perché ci pone fuori da questa civiltà.
Però resta un problema: sembra quasi che il sistema parlamentare puro sia un tabù irrinunciabile.
E chi lo dice? Si prenda l’esempio tedesco: lì c’è una democrazia decidente, in cui il maggior peso dell’esecutivo non comprime né la dialettica parlamentare né, tantomeno, si riflette in negativo sulla delicata trama di diritti sociali e di libertà. Il problema è che la riforma Boschi-Renzi sembrava (mi esprimo all’imperfetto con un senso di sollievo) una caricatura in peggio sia del sistema tedesco, sia di quello inglese, che abbiamo scimmiottato nei primi dieci anni di Seconda Repubblica. Ora, è vero che l’espressione “cancellierato” potrebbe evocare immagini autoritarie. Ma è altrettanto vero che quella tedesca è una democrazia che funziona senza prendere lezioni da nessuno. Morale della favola: i governi forti possono coesistere con la tutela delle libertà, dei diritti sociali e della partecipazione democratica. Ciò che, invece, la riforma bocciata domenica non avrebbe consentito. L’efficienza delle democrazie è importante, ma un certo efficientismo a me pare sospetto.
Perché?
Troppi endorsement internazionali per una riforma che alla fine gli italiani hanno cestinato. Soprattutto endorsement dei gruppi finanziari. I quali, per carità, hanno la loro legittimità. Ma ingerirsi negli affari interni di un Paese democratico, com’è avvenuto, è un po’ troppo.
A dire il vero, in questa campagna referendaria i due fronti sono riusciti a spiegare nel dettaglio la riforma. Vogliamo riassumere i motivi del no?
Riassumo con una frase: iperaccentramento del potere. Che sarebbe stato l’effetto, come hanno sostenuto e spiegato in tanti, del mix tra la legge elettorale e la riforma Boschi-Renzi.
È il caso di chiarire questo concetto.
La riforma tentava di sottrarre potere alle Regioni. Fin qui sarebbe stato un normale accentramento, visto che l’Italia non è uno Stato federale. Nulla di particolarmente strano se si togliesse alle Regioni per dare allo Stato. Ma di fatto la riforma toglieva alle Regioni per dare al Governo, che è poi quel che si capiva dalla clausola di supremazia. Mi spiego ancora: La riforma è stata concepita non tanto a vantaggio dell’esecutivo e a danno del legislativo. Bensì a vantaggio del premier, che grazie all’Italicum, sarebbe stato il dominus del governo e a danno del Parlamento. Mi sembra un po’ troppo.
E come?
L’attuale sistema elettorale, che era formalmente fuori dalla proposta di riforma, visto che è realizzato con una legge ordinaria, trasforma la maggioranza, che sarebbe comunque artificiale, nel seguito del capo. Ora, se proprio si voleva una repubblica presidenziale sarebbe stato necessario dirlo e non provare a realizzarla quasi “sottobanco” senza neppure i contrappesi e le garanzie previsti da tutti i sistemi più o meno presidenziali, a partire da quello francese, per finire con quello statunitense.
Di che garanzie parliamo?
Rispondo con una domanda: che garanzie avrebbe potuto dare un Parlamento, soprattutto la Camera, dove i numeri garantiti al vincitore dal premio di maggioranza avrebbero consentito al premier di fare e disfare, grazie anche al meccanismo di liste bloccate? A tanti, me incluso, il mix tra riforma costituzionale e Italicum è sembrato a ragione un ingranaggio concepito per mettere tutto nelle mani del capo dell’esecutivo, compresi il controllo della Corte costituzionale e un peso eccessivo del governo anche nel Consiglio superiore della magistratura. A cui aggiungere l’influenza sostanziale nella elezione del Presidente della Repubblica.
A proposito dell’Italicum, che è tuttora al vaglio della Consulta, c’è chi ha evocato fantasmi sinistri…
Ci siamo riferiti, io incluso, alla legge “Acerbo” del 1923, che puntellò il potere di Mussolini, e alla “legge truffa”, proposta dalla Dc nel 1953 e abortita in Parlamento, grazie a una lotta senza quartiere. Mi permetto di dire che nessuna delle due leggi si spingeva così tanto coi premi di maggioranza e nella blindatura dell’esecutivo.
Ma perché allora ostinarsi su questa strada?
Perché alcuni gruppi internazionali hanno dettato una riforma indicandone solo gli scopi e senza considerarne i costi, altissimi in termini di democrazia e di difesa dei diritti. Per fortuna è andata altrimenti, perché sennò avremmo avuto due alternative: o un autoritarismo più o meno dolce o, se la Consulta avesse modificato l’Italicum, il caos. Solo, magari, in scala più ridotta. Io mi permetto di dire che la democrazia è fatta di due cose: rappresentanza e governo. Sono due fattori che devono stare in equilibrio. Nel nostro caso, la Boschi-Renzi avrebbe squilibrato troppo il sistema a favore della governabilità.
Il dato curioso è che questa proposta sia stata appoggiata in toto dal Pd.
Più che appoggiata, direi progettata e voluta in modo risoluto dal Pd sulla scorta di qualche autorevole suggeritore al quale riteneva di non poter dire di no. E aggiungo: i cittadini l’hanno respinta a dispetto del fatto che i leader del Pd si siano spesi in tutti i modi per promuoverla.
Però, si è detto, il fronte del no è frastagliato mentre il fronte del sì è stato compatto nella sua proposta.
Mi permetto di obiettare: nel fronte del no c’è anche una buona fetta di quell’opinione di sinistra, non necessariamente radicale e neocomunista, che non si identifica nel Pd. Dico di più: il Pd non è più rappresentativo né dei valori della sinistra né di quelli della Costituzione, come lo erano stati il Partito comunista e la Democrazia cristiana dai quali la sua istituzione ha tratto linfa concreta. Quei valori costituzionali nella campagna referendaria sono stati appannaggio anche della destra. Siamo di fronte a un cambiamento culturale che potrebbe diventare pericoloso anche nel medio periodo.
Cioè?
Ormai certe tesi ultraliberiste, che nemmeno il centrodestra di 10 anni fa avrebbe preso in considerazione, sono entrate nell’agenda del Pd, che di fatto è diventato un partito di destra. O, se non vogliamo proprio essere troppo tranchant, diciamo anche di centrodestra. Ciò vuol dire che di fatto non c’è più una sinistra e al suo posto c’è un centrodestra liberista. Il pericolo è che a destra di questa destra effettiva c’è spazio solo per le tesi più radicali, populiste e oltranziste che abbiamo visto, hanno largo spazio tra le opposizioni, incluso il Movimento 5 Stelle. Il futuro dell’Europa e quello dei diritti sociali, di fronte alla gestione della crisi economica, unitamente alle politiche europee verso gli immigrati richiedenti asilo nonché verso i disperati che cercano di approdare sulle coste del nostro Paese ne sono la riprova. L’attuale sistema è squilibratissimo e non promette nulla di buono.
(a cura di Saverio Paletta)
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