Concorso Dsga, continua il ritardo mostruoso del Lazio
A un anno e mezzo dall’inizio delle selezioni, i concorrenti laziali non sanno nulla sugli esiti delle loro prove scritte, svoltesi poco più di tredici mesi fa. Tuttavia, l’Usr e l’Anp rassicurano: la graduatoria entro febbraio. Ma i candidati non ci credono e si rivolgono a Mattarella. E le recenti leggi-provvedimento intorbidano di più le acque e rischiano di trasformare tutta la procedura in una farsa
La vicenda del Lazio risulta la più grave anomalia del Concorso per Dsga (Direttore dei servizi generali e amministrativi) delle scuole bandito nel 2018, svoltosi tra il 2019 e il 2020 e quasi del tutto terminato.
Tra le varie disfunzioni di questo concorso, una selezione nazionale su base regionale, la più vistosa è quella relativa alla velocità con cui le commissioni hanno giudicato i candidati: al riguardo, è risultata già grave la lentezza delle commissioni della Toscana (competente anche sulla Liguria) e dell’Emilia Romagna, che hanno formato le graduatorie in extremis, cioè nel mese di dicembre.
Ma la faccenda laziale è addirittura scandalosa: ad oggi nessuno degli oltre cinquecento candidati che hanno affrontato la prova scritta i primi di novembre 2019 conosce il proprio destino, perché per loro il concorso si è fermato lì.
A un anno e mezzo dalle preselettive le scuole della seconda regione più popolosa d’Italia restano sguarnite di Dsga titolari. E non perché la commissione giudicatrice è stata una lumaca, come quelle delle regioni del centronord, ma perché non ha proprio camminato.
I motivi di questa immobilità sono essenzialmente due: l’emergenza Covid (che tuttavia non ha impedito alle commissioni del profondo Nord e del profondo Sud di terminare in tempo per l’inizio dell’anno scolastico 2020-2021) e la burocrazia, che in Italia pesa tantissimo, ma nella regione della Capitale pesa di più.
Il problema burocratico è esploso quando ancora di Covid non si parlava: l’8 novembre 2019, circa quattro giorni dopo l’espletamento degli scritti, Stefano Versari, tra l’altro direttore dell’Ufficio scolastico regionale dell’Emilia Romaga, lascia l’incarico di presidente supplente.
Lo segue a ruota, il 23 dicembre successivo, Gerardo Capozza, il presidente della commissione. Nel suo caso le dimissioni hanno anche una motivazione: «Nuovi e imprevisti compiti istituzionali», cioè l’incarico di consigliere della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
E c’è di più: nel frattempo l’Ufficio scolastico regionale del Lazio è rimasto senza direttore, andato in pensione ad agosto 2019 e sostituito in tempi recenti, dopo dure proteste dei sindacati.
È quel che basta a paralizzare le correzioni. La procedura si rimette in moto il 20 febbraio 2020, quando Fabrizio Manca, il direttore generale dell’Usr del Piemonte, dà la propria disponibilità a ricoprire il ruolo di presidente supplente.
Ma per avere la presidente vera occorre aspettare il 19 maggio, quando spunta il nome di Silvia Genovese, direttore generale in quiescenza del Ministero dell’economia e delle finanze.
La commissione è finalmente ricostituita il 26 maggio e in teoria avrebbe potuto provare a recuperare il tempo perso, almeno correggendo gli scritti, che a dirla tutta non erano troppi: poco più di cinquecento per centosessantatré posti messi a bando. Di sicuro, meno di quelli della Lombardia.
Ma è come se non ci fosse, perché dall’Ufficio scolastico regionale non trapela alcuna informazione.
Al riguardo, è eloquente quanto scrivono i candidati, che nel frattempo si sono costituiti in un Comitato spontaneo: «Tale situazione, già particolarmente grave, risulta ulteriormente aggravata dalla totale mancanza di trasparenza dell’USR Lazio il quale, nonostante diversi solleciti, non ha mai fornito una comunicazione ufficiale sul motivo di tale abnorme ritardo e sulla previsione di una tempistica certa, se non di conclusione dell’intera procedura, quantomeno di pubblicazione dei risultati. Un ufficio che regolamenta l’attività delle scuole dell’intera regione aperto un giorno a settimana per due ore, che non risponde al telefono, tantomeno alle PEC inviate più di due mesi fa».
Tuttavia, la mancanza di trasparenza potrebbe essere il problema minore. Infatti, la Commissione risulta inadempiente alla prescrizione del dpr 487 del 1994 (il regolamento che disciplina i concorsi pubblici), secondo cui i concorsi devono concludersi entro sei mesi dall’espletamento delle prove scritte. Le commissioni che non riescono a rispettare questo termine hanno solo una possibilità: inviare una relazione motivata alla Presidenza del Consiglio dei Ministri o, nel caso specifico, al Ministero dell’istruzione.
Inutile dire che, a quanto se ne sa, di questa relazione non ci sarebbe traccia.
La lentezza della Commissione laziale resta inspiegabile anche alla luce di altri due elementi: la nota del 4 novembre con cui il Miur aveva stabilito che il concorso per Dsga sarebbe continuato a dispetto della pandemia e il dpcm del 3 novembre, che aveva consentito la correzione delle prove anche da remoto.
La prosecuzione del silenzio da parte del Ministero e dell’Usr ha costretto i candidati a battere di nuovo colpo, stavolta con una lettera al Presidente della Repubblica datata 26 novembre, al quale hanno rivolto le proprie lamentele e, soprattutto, le proprie denunce.
Finalmente succede qualcosa: il 18 dicembre una nota congiunta dell’Anp (l’Associazione nazionale dei dirigenti scolastici) rivela che la graduatoria del Lazio «dovrebbe essere completata a febbraio 2021». Comunque troppo tardi e con un condizionale di troppo.
Soprattutto quest’ultimo ha suscitato l’incredulità dei concorsisti, che infatti hanno più di un motivo per dubitare. Il più importante è legato alla tempistica: per poter svolgere gli orali a febbraio, la correzione degli scritti dovrebbe essere già finita entro la metà di gennaio. Delle due l’una: o i commissari laziali sono diventati così stakanovisti da sacrificare anche le festività natalizie pur di recuperare il tempo perduto, oppure siamo di fronte all’ennesima rassicurazione da prendere con le pinze.
Di sicuro i concorrenti del Lazio hanno subito tutti i danni che potevano subire. Anche l’eventuale approvazione della graduatoria – che potrebbe risultare viziata dalla fretta con cui la Commissione mirerebbe a chiudere i lavori – sarebbe tardiva e i vincitori verrebbero comunque assunti solo a partire dal prossimo anno scolastico.
A meno che qualche esponente politico non provi a forzare la mano con l’ennesima legge provvedimento sul modello di quella, decisamente borderline, dell’articolo 32ter della legge di conversione del Decreto agosto, ritagliata su misura di Toscana, Liguria ed Emilia Romagna, e del recente abbattimento della soglia per gli idonei non vincitori, modellato su misura della Campania.
Per il resto, tutto tace. E c’è da sperare che non sia il classico silenzio che precede i clamori più sgradevoli.
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