Due Sicilie, altri sei primati fake
Continua il debunking sui presunti record delle Due Sicilie. Tra i vari casi in esame, la pirofregata Ercole e il ponte sul Garigliano
È il caso di ripetere un concetto terra terra: non ci divertiamo mica a smantellare i presunti primati del Sud per fare un dispetto ai suddisti e, in particolare, a Gennaro De Crescenzo, il presidente del Movimento Neoborbonico, per il quale questi primati sono addirittura un trend topic.
Lo facciamo per un bel po’ di altri motivi, tra cui il desiderio di rendere una buona informazione, il che implica confutare le fake. E tali sono molti di questi primati.
Altro doveroso avvertimento: per primato intendiamo una cosa realizzata prima o meglio di altri. Quindi, il fatto che un primato non sia tale, non vuol dire che la realizzazione sia in sé una fetecchia. Al contrario: spesso si tratta di opere importanti, di eccellenze vere e proprie che fanno onore a chi le ha realizzate. Tuttavia, non sono primati.
Anzi, il volerle presentare a tutti i costi come primati finisce per sminuirne il valore.
Quelli che seguono sono sei casi, con le relative confutazioni, tratti da due fonti: la lista pubblicata nel sito del Movimento Neoborbonico (leggi qui) e Il libro dei Primati del Regno delle Due Sicilie dal 1734 al 1860. 135 record descritti, illustrati e commentati, di Gennaro De Crescenzo (Grimaldi & C., Napoli 2019).
- 1853, Napoli. Prima galleria carrozzabile in Italia.
La galleria carrozzabile tra San Francesco di Paola e piazza Vittoria è senz’altro una bella realizzazione. E bene ha fatto l’amministrazione borbonica a promuoverla poco prima della fine del Regno.
Tuttavia, è lontana dall’essere un primato, perché gallerie di questo tipo erano già state realizzate secoli prima.
Citiamo a titolo d’esempio quella costruita sotto il Palazzo Reale di Torino nel XVI secolo. Nessuna provocazione in questo paragone: com’è noto, allora i Borbone a Napoli non c’erano ancora…
Comunque, di questo mancato primato dev’essersi accorto anche De Crescenzo, visto che è menzionato solo sul sito del suo Movimento e non è riportato nel libro.
- 1860, minor numero di condannati a morte in Italia.
De Crescenzo prende in esame il dodicennio compreso tra il 1848 e il 1860. Al massimo, si può concedere che in questo periodo i Tribunali civili e militari delle Due Sicilie abbiano condannato meno rispetto al trend precedente, loro o delle autorità di altri Stati preunitari.
Ciò non solo farebbe onore al governo di Ferdinando II, ma potrebbe essere addirittura plausibile (sebbene manchino statistiche precise sull’argomento), visto che la clemenza era un tratto tipico di molti regimi assolutistici (illuminati e non).
Tuttavia, il primato non esiste, perché nel Granducato di Toscana non fu eseguita alcuna condanna a morte nel periodo preso in esame da De Crescenzo.
Merito senz’altro del garantismo di Pietro Leopoldo, che introdusse nel suo Codice (il Codice Leopoldino, che risale al 1786) il principio secondo cui una delle finalità della pena fosse la correzione del reo e abolì all’articolo LI la pena capitale.
Quest’ultima fu reintrodotta nel 1790, abolita di nuovo nel 1849, quindi reintrodotta nel 1852.
In questo balletto di riforme e controriforme, restano due dati.
Il primo: nel Granducato di Toscana, dopo la Restaurazione, si ebbero due sole condanne a morte, nel 1820 e nel 1830.
Secondo dato: la stessa esistenza della pena capitale fu, in Toscana, soprattutto una formalità, grazie a due fattori, cioè il garantismo della magistratura e un decreto del granduca Leopoldo II, che rese necessario il voto unanime del collegio giudicante per mandare il reo davanti al boia.
Certo, era facile essere garantisti in una regione tutto sommato tranquilla come la Toscana.
Molto meno, invece, lo era nel Regno delle Due Sicilie, in cui, tra i vari problemi, c’era la piaga del brigantaggio preunitario, che rischia di essere il ponte dell’asino di questo primato.
Infatti, oltre alle condanne a morte ufficiali, cioè comminate dalle autorità giudiziarie nell’esercizio delle loro funzioni ordinarie, esistono le condanne a morte quasi invisibili: ci si riferisce alle fucilazioni sommarie dei briganti, eseguite tra il 1815 e il 1860.
Queste fucilazioni erano pene extragiudiziarie, cioè comminate non dalla magistratura togata, ma da apposite commissioni di fuorbando e si giustificavano per l’eccezionalità della situazione, che il regime borbonico fu costretto ad affrontare prima (e spesso con altrettanta durezza) del Regno d’Italia.
La natura eccezionale di questa misura impedisce di fornire un numero preciso dei condannati a morte (furono decine? Centinaia? Migliaia?). Ciò non toglie che queste condanne vi furono e non furono poche.
Certo, non si può buttare la croce addosso ai Borbone, per questo, ma neppure attribuirgli il primato.
- 1778, prima borsa cambi e merci in Italia.
Per confutare questo primato basta la cronologia: la prima borsa di questo genere fu creata a Venezia nel 1630.
- 1843, prima nave da guerra a vapore in Italia.
Sarebbe, secondo i neoborb, la pirofregata Ercole, varata a Castellammare. Anche stavolta parla la cronologia, visto che nel 1837 il Regno di Sardegna varò la pirofregata Ichnusa (nessuna attinenza con la celebre birra).
- 1806, primo corpo dei pompieri in Italia.
Il primato spetta alla Toscana che, con circa cinque secoli d’anticipo, ebbe il suo corpo della Guardia del Fuoco, istituito a Firenze nel 1334. Altre anticipazioni si registrano nel Regno di Sardegna, dove ben prima del 1806 c’era la Reale Compagnia dei Brentatori.
Inoltre, a Torino, fu emanato nel 1786 un regolamento regio che disciplinava le attività dei precursori dei vigili del fuoco piemontesi dell’epoca. L’iniziativa napoletana, attribuibile a Murat e non ai Borbone, resta encomiabile.
Ma il primato non c’è. In questo caso, è finito in cenere.
- 1836, il primo ponte sospeso in Italia interamente in ferro.
Il ponte sul Garigliano è un vanto di tutto l’ambiente neoborb, in particolare dell’Ing. Domenico Innantuoni, ideatore e leader del Comitato tecnico-scientifico “no Lombroso”, che ne ha parlato a lungo sui propri canali social. Logico che De Crescenzo e i suoi lo menzionassero.
L’opera è magnifica e merita davvero. Ma purtroppo non è un primato nel senso di cosa fatta per primi, perché a Padova c’è un’opera simile, il ponte San Benedetto, progettato dall’ingegnere Anton Claudio Galateo, che fu inaugurata nel 1828.
Resta da capire se il ponte sul Garigliano resti primato nel senso di cosa fatta meglio. Ma chi scrive non è un ingegnere e quindi non può giudicare.
Non resta che chiedere lumi a Iannantuoni che, da Ing., è un addetto ai lavori. Con una preghiera: non sia troppo di parte.
Per saperne di più:
Leggi il nostro articolo: Le Due Sicilie e i primati che non esistono
Leggi il nostro articolo: Primati neoborbonici, sette casi inesistenti
Leggi il nostro articolo: Primati delle Due Sicilie, sei casi nulli
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Mi scuso per l’errore di battitura precedente, “condannati”, non “condananti”.
Non ho letto il libro di De Crescenzo e quindi non so quali cifre abbia utilizzato per attribuire al Regno delle Due Sicilie il primato del minor numero di condanne a morte tra il 1848 e il 1860. Mi auguro che abbia almeno distinto tra condannati per reati comuni e condananti per reati politici, e fra questi ultimi abbia incluso i fucilati siciliani, dai giovanissimi cospiratori (Nicolò Garzilli, Rosario Ajello, Giuseppe Caldara, Paolo De Luca, Giuseppe Garofalo, Vincenzo Mondini) uccisi il 28 gennaio 1850 a Francesco Bentivegna, fucilato il 20 dicembre 1856, a Salvatore Spinuzza “moschettato” il 14 marzo 1857, per giungere ai tredici fucilati il 14 aprile 1860.