Lasciate stare Michele Bianchi!
Una sezione dell’Anpi calabrese lancia una proposta bizzarra: trasformare il mausoleo funebre dedicato al quadrumviro fascista morto nel 1930 in un “Museo” antifascista. «Meglio convertire le statue che abbatterle», argomentano. Ma la violenza alla storia contenuta nella richiesta dei “partigiani” rischia di diventare un’offesa gravissima alla memoria…
Il primo errore è nel titolo: Statua fascista da riconvertire. In realtà, come si apprende dall’articolo di Stefania Sapienza apparso su Il Quotidiano del Sud del 5 luglio 2020, il target polemico è il mausoleo funebre dedicato Michele Bianchi, una bella torre bianca che svetta sul Colle Vastia di Belmonte Calabro, un borgo bellissimo della costa tirrenica cosentina.
Tutti gli altri errori, non pochissimi, sono contenuti nell’articolo della Sapienza, che riporta un comunicato con cui la sezione Antonio Gramsci dell’Anpi chiede al sindaco di Belmonte la «riconversione» del mausoleo dedicato al quadrumviro fascista in «un Museo delle lotte contadine, dei tanti confinati che i fascisti mandarono in Calabria e dei morti per mano fascista avvenuti partendo dalla dall’uccisione di Paolo Cappello a Cosenza».
Già, spiegano i neo-antifascisti, che tentano con questa proposta di riallacciarsi a modo loro all’ondata iconoclasta di Black Lives Matter: meglio riconvertire le statue che imbrattarle o buttarle a mare.
Siamo davvero sicuri che le cose stiano così? Evidentemente, gli autori del comunicato non conoscono molto bene la differenza tra ornamento e monumento.
Il primo è di solito un oggetto che serve a decorare un ambiente (o un paesaggio) sulla base di criteri estetici.
Il secondo, invece, ha a che fare con la memoria. Un monumento può essere persino bruttissimo (e la monumentaria spesso abbonda di obbrobri, come ricordano ad abundantiam gli scampoli di socialismo reale sopravvissuti negli arredi urbani dell’Europa orientale), proprio perché la sua funzione non è l’abbellimento ma il ricordo: di un personaggio, di un evento di una cosa.
Dunque: il mausoleo funebre dedicato a Michele Bianchi fu eretto per ricordare il Michele Bianchi fascista e uomo di Stato. La sua funzione è questa e la riconversione è impossibile, pena la rimozione del personaggio e della sua storia.
Perciò è inaccettabile – a livello culturale – l’ulteriore proposta della sezione Gramsci: «Se lei è d’accordo, noi come Anpi locale e nazionale, possiamo fornirle, oltre i libri, storici studiosi dell’Università della Calabria per la ricostruzione storica degli eventi con foto e documenti ed esperti dell’arte museale per rimodulare tale mausoleo, visitato, oggi, solo da qualche nostalgico fascista e che invece potrebbe diventare luogo delle visite che rivitalizzerebbero un paese come Belmonte Calabro togliendogli la cappa e il marchio che purtroppo si porta da decenni».
Inutile dire che la proposta contiene, neanche troppo tra le righe, un abuso pubblico della storia.
Che lo scopo sia questo, lo rivelano altri due passaggi del comunicato.
Ecco il primo: «Potremmo far confluire centinaia di testi sul fascismo costituendo, quindi, una biblioteca dell’antifascismo».
Ecco il secondo: «Due visibili iscritti al Pnf assassinarono l’eroe Giacomo Matteotti proprio durante la segreteria di Michele Bianchi».
Una struttura museale con annessa biblioteca dedicata a Bianchi sarebbe una buona proposta. Ma dovrebbe essere realizzata da un comitato scientifico selezionato con tutti i crismi, a partire dall’imparzialità, che di sicuro in questo caso non è una virtù dell’Anpi: la storia è storia, non è antifascismo.
Perciò chiedere a storici professionisti di creare una biblioteca sull’antifascismo, come ha fatto la sezione Gramsci, significa chiedere loro di non fare il proprio mestiere.
Il secondo passaggio è la classica illazione buttata lì per dire che, poiché fascista, Bianchi era anche un cattivone.
In questo caso, dall’abuso si sconfina nell’ignoranza.
Michele Bianchi fu un personaggio di enorme complessità: già socialista (e in tale veste sodale di Arturo Labriola, redattore dell’Avanti! e fondatore di varie testate), sindacalista rivoluzionario e massone dichiarato di Piazza del Gesù, appartenne a quella generazione di passaggio del movimento operaio che anticipò il fascismo, contribuì a fondarlo o, più semplicemente, vi confluì non senza un serio travaglio ideologico.
In tutto ciò, Bianchi era, come suole dirsi, in buona compagnia: i fratelli Alceste e Amilcare De Ambris, Edmondo Rossoni e Filippo Corridoni. In pratica, quanto di più avanzato il mondo sindacale italiano potesse offrire all’epoca.
Di nero, Bianchi aveva solo la camicia, perché la sua politica di sviluppo della Calabria fu piuttosto rossa e anticipò la successiva politica lanciata dal centrosinistra nel dopoguerra: l’uso delle opere pubbliche come volano di sviluppo, il disegno razionale del territorio (l’idea della grande Cosenza, su cui si sprecano tanti fiumi di retorica nel capoluogo calabrese fu sua) e il potenziamento delle risorse ambientali (si pensi ai lavori imponenti avviati e realizzati in Sila).
Se si volesse davvero tracciare un parallelo tra Michele Bianchi e la successiva classe di governo antifascista, si potrebbe fare un nome illustre: Giacomo Mancini, anch’egli non a caso ministro dei Lavori pubblici.
Significherebbe dire che Mancini, sotto sotto era fascista? Falso. Oppure che Bianchi era ancora socialista? Non del tutto vero.
Significa, più semplicemente, che la storia non è fatta solo da faglie, come quella fascismo-antifascismo, ma presenta anche continuità, a volte prevalenti.
Una di queste continuità la colse Pietro Ingrao – del cui antifascismo non si può dubitare – il quale scrisse nella sua autobiografia Volevo la luna: «Cosenza, che Michele Bianchi ha voluto bella». Il complimento all’urbanista, in un momento storico in cui gli urbanisti sarebbero diventati protagonisti della ricostruzione del Paese, superava l’avversione nei confronti del fascista.
Evidentemente, gli antifascisti di ieri, che rischiavano la pelle contro un fascismo vivo e pericoloso, erano migliori degli antifascisti di oggi, che blaterano contro i fantasmi,
Certo, è gravissimo che il monumento a Michele Bianchi non sia valorizzato a dovere e sia, quasi con cadenza annuale, il teatro delle carnevalate di alcuni ragazzotti con cappellano lefebvriano al seguito.
Ma sarebbe altrettanto grave l’accoglimento della proposta dell’Anpi, tanto più che non esiste tuttora una seria monografia scientifica su Michele Bianchi. E di sicuro tali non possono essere considerati i saggi dedicati ad argomenti vari (il sindacalismo, il nazionalismo e il fascismo di periferia) in cui si parla anche di Bianchi, la memorialistica degli eredi del quadrumviro o, peggio ancora, il libello fazioso, velenoso e datato di Enzo Misefari (Il quadrumviro col frustino), raro esempio di paccottiglia vintage di certa sinistra anni ’70.
Michele Bianchi non fu una di quelle glorie locali di cui si riempiono la bocca molti amministratori di provincia. Fu un personaggio di primissima grandezza, un punto di congiunzione tra la Calabria e la grande storia. Lo stesso, prima di lui, si può dire, ad esempio, del cardinale Ruffo, il protagonista dell’insorgenza antigiacobina nel Regno di Napoli: il fatto che egli abbia represso nel sangue la Rivoluzione Napoletana non toglie una virgola alla complessità di un personaggio tutto da approfondire.
E considerazioni simili possono valere per il già menzionato Mancini e per il superbig democristiano Riccardo Misasi.
Alla luce di tutto questo, emerge un’altra scorrettezza nella proposta della sezione Gramsci: l’arruolamento degli studiosi dell’Unical per un’operazione politica di parte, che risulta speculare alle carnevalate neofasciste.
Infatti, prima di chiedere certe cose, ci si dovrebbe ricordare che l’Unical, come tutte le istituzioni di alta cultura, è finanziata con i quattrini di tutti per produrre conoscenza e non polemica. E tantomeno propaganda.
La stessa cosa vale per gli amministratori, specie quelli degli enti locali, a cui tocca l’onere (e l’onore) della custodia di simboli collettivi la cui portata va ben oltre le loro comunità: certi monumenti sono dei collegamenti tra i loro territori e il mondo, perciò è il caso di evitarne l’uso (e, si ripete, l’abuso) politico o la svalutazione: fa impressione lo spettacolo del mausoleo di Michele Bianchi pieno di nostalgici del nulla, anche per motivi anagrafici; ne farebbe altrettanta l’idea del mausoleo strumentalizzato per condannare acriticamente la personalità a cui si ispira.
Il peggio, però, sarebbe vedere il mausoleo, piccola traccia della grande storia, ridotto a location di sagre della polpetta o del pomodoro (a proposito: quello di Belmonte è una prelibatezza) e altre amenità gastro-campaniliste.
L’unica salvezza è la storia, che paghiamo tutti – anche inconsapevolmente e controvoglia – con le nostre tasse. È chiedere troppo che l’Anpi o chi per esso rinunci alla chincaglieria e faccia proposte serie?
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Cercavo materiale su Bianchi , e mi sono imbattuto in questo. Bel pezzo.
Complimenti all’autore di questo articolo! Se da Cosenza, città tanto amata dal Quadrumviro e da me sparissero: L’ospedale civile dell’Annunziata, l’acquedotto del Merone, il Mariano Santo (già Preventorio), Sede dell’INPS, INAM, INAIL, Camera di Commercio e Artigianato, Quartiere di Michele Bianchi, già Casa di Michele Bianchi, Palazzine dei Ferrovieri, INCIS, Camigliatello Bianchi (oggi Silano), ecc., ecc. tutti edificati in appena vent’anni, cosa rimarrebbe? Historia docet!
Grazie!
Cio’ che e’ possibile, in Italia, lo decidono i Comunisti! Punto e basta. Costoro hanno sempre ragione.
Egregio Via,
conosco benissimo le persone che hanno avanzato la proposta delirante che mi sono permesso di censurare nel mio articolo: sono sopravvissuti dei peggiori anni ’70. Sono reduci di quella sinistra “extraparlamentare” a cui sin troppe complicità istituzionali hanno permesso tutto e il suo contrario.
Sono ragazzi cresciuti solo a livello anagrafico, che continuano a pontificare come se i loro anni verdi non fossero un ricordo.
A dirla tutta, sarebbero persino innocui (e per uno di essi, nutro un affetto sincero). Ma queste proposte deliranti, che sono state diffuse dalla stampa calabrese nel periodo estivo, non possono proprio passare sotto traccia.
Ecco: saranno pure Comunisti, il che non è quel problema: da liberale convinto mi batto per il diritto di espressione di chi la pensa diversamente da me.
Ma da qui a lasciarli esagerare ne corre. Non le pare?
Grazie ancora per l’attenzione,
Saverio Paletta
Salve, mi chiamo Enzo. Lei sostiene che uno dei principali meriti di Michele Bianchi, per i quali il monumento a lui dedicato è pienamente legittimo e non va assolutamente toccato né messo in discussione, consisterebbe nell’attività di ministro dei Lavori Pubblici, peraltro durata solo pochi mesi. Lei cita Pietro Ingrao, che avrebbe lodato Bianchi per alcune opere realizzate a Cosenza, e fa un parallelo tra Bianchi ed un altro (apprezzato) ministro dei Lavori Pubblici, Giacomo Mancini. Mi permetto solo di farle osservare che, anche ammettendo che Michele Bianchi sia stato un buon ministro, e al di là di altre considerazioni più strettamente politiche – aver contribuito ad abbattere un sistema liberal-democratico per instaurare una dittatura, che non è certo un merito –, forse un monumento alto decine di metri, come riconoscimento per la sua attività ministeriale, è un po’ troppo. La “colonna Vendôme” fatta erigere da Napoleone Bonaparte nel centro di Parigi è solo leggermente più alta… Cordiali saluti.
Egregio Enzo,
basta leggere l’articolo in maniera completa e corretta per capire ciò che ho detto davvero.
Di sicuro ho detto che Michele Bianchi è stato un personaggio politico complesso che ha saputo interpretare alcune esigenze di sviluppo e di progresso della sua epoca.
Di sicuro ho dato rilievo al operato di ministro dei Lavori pubblici e, in particolare, alle realizzazioni da lui promosse nel Cosentino.
Di sicuro ho tentato un parallelo con l’azione politica e amministrativa di altri esponenti politici calabresi, a partire da Giacomo Mancini, che hanno usato le opere pubbliche come volano per far crescere il territorio.
Invece, non ho elogiato in alcun modo il fascismo in generale né quello di Michele Bianchi.
Inoltre, non ho espresso alcuna considerazione sull’opportunità di dedicargli un mausoleo funebre, peraltro molto bello: piaccia o meno, il mausoleo c’è. Ed è questo un dato da cui dobbiamo partire.
Da liberale convinto (a volte, fino all’accanimento) concordo con Lei che non è un merito aver contribuito ad abbattere le strutture liberali del vecchio Regno d’Italia. Ma c’è da dire che Michele Bianchi – il quale tra l’altro non si segnalò per particolari pulsioni liberticide – non ebbe un ruolo di primo piano in questa demolizione.
Ora, che facciamo con questo benedetto mausoleo? Lo abbattiamo? Sarebbe un peccato, visto che è bello e ben contestualizzato nell’ambiente.
Oppure, come ha proposto l’Anpi calabrese, lo snaturiamo? Sarebbe un rimedio peggiore del male (che, nel caso di Bianchi, fu davvero poco).
Prendiamolo per quel che è: un monumento dedicato a una personalità importante e che racconta un periodo delicato della nostra storia.
Mi permetta ancora una piccola osservazione: le cose da abbattere sulle coste calabresi sono davvero troppe. Ad esempio, le palazzine alte decine di metri con vista mare che sfregiano il paesaggio e mettono a dura prova la tenuta idrogeologica delle spiagge in maniera drammatica.
Queste sì, per restare al Suo paragone, riflettono ambizioni sproporzionate: il bonapartismo di qualche palazzinaro e di qualche borghese ansioso di vivere al mare i confort della città. Nulla a che fare con la storia, insomma.
Grazie per l’attenzione,
Saverio Paletta
Salve di nuovo signor Paletta. Ho apprezzato questo scambio di opinioni, civile e dunque utile. Mi permetta però di ritenere non accettabile, da un punto di vista storico, la sua affermazione secondo la quale Michele Bianchi “non ebbe un ruolo di primo piano nella demolizione dello strutture liberali del vecchio Regno d’Italia”. Michele Bianchi, in qualità di segretario del Partito Nazionale Fascista (primo segretario generale di quel partito), fece parte – come tutti sanno – del quadrumvirato che ebbe il compito di preparare e condurre a termine la marcia su Roma, atto fondativo del nuovo regime. È difficile sostenere che chi ha organizzato la manifestazione paramilitare che ha permesso a Mussolini di diventare prima capo del governo, e poi Duce, non abbia avuto un ruolo di rilievo nella costruzione della dittatura in Italia. Il monumento gigantesco costruito in suo onore non si potrebbe infatti spiegare se non con il ruolo di protagonista avuto da Bianchi nel passaggio dallo Stato liberal-democratico a quello autoritario e poi dittatoriale. Non si erige un monumento alto decine di metri per ricordare un semplice ministro dei Lavori Pubblici, per quanto bravo ed efficiente. Le rinnovo i miei saluti.
Caro Enzo,
cosa vuole che Le dica? Penso che il mondo sarebbe un posto un po’ meno discutibile se tutti i lettori facessero come Lei: cioè se si limitassero a porre le proprie critiche col Suo garbo senza la pretesa della verità in tasca.
Per quel che mi riguarda, ho capito che i nostri punti di vista sono inconciliabili: io considero il fascismo (come movimento e come regime) un’esperienza archiviata, quindi non sono antifascista perché convinto di due cose: il fascismo storico non esiste più e le attuali destre radicali, che scimmiottano qualche slogan o simbolo del ventennio, non sono paragonabili al fascismo.
Detto questo: le asserzioni su Michele Bianchi non sono mie. Ma le ho tratte da Renzo De Felice ed Emilio Gentile. Già: come tutti i giornalisti, mi approprio dei risultati del lavoro altrui.
Michele Bianchi fu senz’altro un protagonista di prima grandezza di un movimento politico che esibiva la violenza con estrema disinvoltura, come cifra del proprio agire politico. Tuttavia, credo che l’evoluzione dittatoriale del fascismo non fosse scontata, ma sia stata l’esito di una situazione rovente, diventata esplosiva in seguito al delitto Matteotti.
Il regime fascista, in altre parole, fu costruito più con gli strumenti dello Stato che con quelli del Partito. Mussolini usò in maniera liberticida le strutture dello Stato liberale per compiere la “sua” “rivoluzione” a norma di legge e vi inserì il Partito come organo costituzionale. Ma il liberticidio non fu pilotato né da Bianchi né da altri, perché fu gestito dal “Deep State” (alta burocrazia, comandi militari, magistratura ecc.) ereditato dall’età giolittiana.
Quanto all’uso della violenza, sempre sulla scorta di De Felice, mi permetto di contestare una cosa: i fascisti non ebbero mai il “monopolio” della forza bruta, un settore nel quale avevano la concorrenza del movimento operaio. Ma seppero essere più efficaci nelle loro brutalità, perché le squadracce e la stessa ossatura del Pf, poi Pnf, erano costituite da reduci di guerra. Il che non era per i gruppi socialisti.
Vinsero perché picchiarono di più e meglio degli altri, non perché furono gli unici a picchiare. In questa logica del “pestaggio” Michele Bianchi, che gestì il Partito solo a livello organizzativo, non ebbe ruoli ispiratori particolari.
Basta questo a farne un santo? Certo che no.
Ma penso pure che nel movimento operaio, a partire da Gramsci e Bordiga, ci fossero altrettanti liberticidi potenziali che non avrebbero riservato sorti migliori alle vecchie istituzioni liberali.
Detto questo (e tirando un sospiro di sollievo doppio perché il fascismo non c’è più e perché nessuno ha mai fatto la “rivoluzione”), arrivo a bomba sul mausoleo.
Lei per caso trova qualcosa di strano che un regime, qualsiasi regime, dedichi un monumento a un suo protagonista? Io proprio no.
Ora, se subito dopo la guerra la furia iconoclasta che colpì i simboli fascisti si fosse abbattuta anche sul mausoleo, non obietterei nulla: non avrei approvato, ma avrei capito. Così come tutti abbiamo preso atto delle demolizioni sistematiche dei simboli dei regimi caduti, dalla ex Jugoslavia alla Libia passando per l’Iraq.
Ma quando i simboli sopravvivono, ed è il caso del bellissimo mausoleo dedicato a Bianchi, diventano intoccabili perché sono testimonianze storiche, anche della storia che non ci piace. Io difendo questo mausoleo come difendo le tante targhe urbane dedicate a Togliatti, un personaggio che decisamente non mi piace (anzi: lo trovo cordialmente antipatico), perché so che Togliatti è storia e la storia non si demonizza né si rimuove, ma si studia e si critica.
Ripeto un esempio che faccio spesso: sempre a Belmonte Calabro c’è una strada dedicata al cardinale Ruffo, un personaggio sottovalutato nella sua complessità (fu un raro esempio di riformismo di Ancien Regime) e diventato una bestia nera dell’immaginario liberale. Lì si danno appuntamento i ragazzini alle prime cotterelle estive. Lei si sentirebbe di rimuovere quella targa? Io no. Anche perché i ragazzini continuerebbero a darsi appuntamento in quella strada e a chiamarla via Ruffo. Anche questo è un modo di vivere la storia…
Grazie ancora per l’attenzione,
Saverio Paletta
Quello che volevo dire, signor Paletta, è che quell’imponente monumento celebra non un oscuro ministro dei Lavori Pubblici italiano della fine degli anni ’20 del secolo scorso, bensì l’organizzatore della marcia su Roma. In un paese democratico, nato da una lunga e sanguinosa guerra civile combattuta con l’obiettivo di ripristinare tutte le libertà soppresse in seguito alla famosa “marcia”, questo tipo di celebrazione non dovrebbe essere possibile. La proposta di assegnare al monumento un nuovo nome, e una nuova destinazione, non mi pare, perciò, per nulla scandalosa. Concludo ringraziando lei e il suo giornale per lo spazio che mi è stato concesso.
Egregio Enzo,
Ho capito quel che vuole dire. Abbiamo due punti di vista diversi: il suo è l’antifascismo a prescindere, il mio no. Ecco tutto.
Però, mi permetta: la marcia su Roma è storia. Cioè è un fatto accaduto di cui dobbiamo prendere atto. Idem per il monumento: fu costruito durante il regime. C’è e dobbiamo prenderne atto.
Che facciamo? Lo snaturiamo? Lo disintestiamo? Lo abbattiamo? Io mi accontenterei di una cosa: che il sindaco di Belmonte Calabro vietasse le carnevalate ai nostalgici del nulla.
Ancora a proposito di storia: non credo affatto che con la marcia su Roma abbia trionfato il “male assoluto”. Più semplicemente, il sistema liberale finì la sua agonia iniziata nel ’14. Sono d’accordo con Lei che questo non sia stato un bene. Ma è accaduto e dobbiamo prenderne atto.
Infine sulla Resistenza: uso senz’altro la maiuscola senz’altro per i reparti sbandati o ammutinati dell’Esercito che affrontarono le truppe tedesche con operazioni di guerriglia spericolate. Non la uso per un’altra parte, che di sicuro non intendeva ripristinare le libertà ma semplicemente fare la “rivoluzione”. Anche questa è storia. E, per fortuna, ne possiamo prendere atto.
Infine: la storia si studia e “problematicizza” come il classico capello da tagliare in quattro. Questo è l’unico modo per disinnescare la carica polemogena dei valori vecchi, per trarre partito dalle lezioni del passato e, perché no?, per capire e affrontare meglio i pericoli del presente.
Una buona giornata,
Saverio Paletta