Ha un’anima latina l’Africa di Santana
Il grande chitarrista torna con Africa Speaks, un album carico di suggestioni “nere” con cui riscopre il suono delle origini dopo le recenti produzioni più commerciali
Carlos Santana riscopre l’afro. Lo fa, ovviamente, a modo suo, affogando gli stimoli del Continente Nero nel consueto magma latino, stracarico di percussioni, di richiami ai mitici anni ’70 e, va da sé, col suono saturo e a tratti sulfureo della mitica Paul Reed Smith, che evoca le atmosfere sciamaniche, un po’ acide e un po’ micotiche, che hanno reso celebre il grande artista chicano, forse il più lucido tra i sopravvissuti di Woodstock.
Africa Speaks, uscito per Concord poco prima dell’estate, è una sorta di ritorno alle origini, privo dei lustrini e dei cast all stars che hanno caratterizzato la produzione del Nostro nell’ultimo ventennio, ma suonato con passione e groove da una band in gran tiro che, complice l’ottima produzione di Rick Rubin, è riuscita a produrre in tempi record un ottimo album con la formula, di sicuro congeniale al chitarrista, del live in studio.
La formazione che accompagna il guitar hero latino in quest’ultima avventura discografica (la venticinquesima in studio) è quella stabilizzata dagli anni ’90 ed è composta dal tastierista David K. Mathews, in gran spolvero soprattutto sull’Hammond, dal chitarrista ritmico Tommy Anthony, dai cantanti Andy Vargas e Ray Greene (stavolta relegati ai cori) e da una sezione ritmica formidabile, composta dal bassista Benny Rietveld, dal percussionista Karl Perazzo e dalla batterista Cindy Blackman, tra l’altro consorte di Santana.
Il tutto impreziosito dalla partecipazione della bravissima Concha Buika, cantautrice spagnola di discendenza africana (della Guinea Equatoriale, per la precisione), che col suo cantato grezzo dà un tocco particolarissimo all’album.
E non si può non definire particolare Africa Speaks, la title track che apre l’album con un approccio minimale, retto dalle percussioni scatenate, su cui Buika e Santana duettano alla grande nella prima metà del brano, prima che l’arrangiamento evolva in una samba scatenata dai toni epici.
L’influenza africana emerge con più prepotenza in Batonga, una danza superpercussiva dall’andamento nero e dalle armonie latin, cantata in parte in bantu e in parte in inglese, dove il chitarrista si scatena in frasi micidiali saturate dal wha wha.
Oye Este Mi Canto è un tuffo nelle sonorità del Santana più anni ’70, carico di quelle sonorità chiaroscurate che hanno reso unica la produzione del chitarrista: l’attacco cadenzato e soft in stile afrocubano, in cui la cantante dà il meglio di sé interpretando con grande enfasi e un pizzico di retorica i versi in spagnolo, sfocia in un lungo passaggio funky, dove invece impazza la chitarra che dispensa psichedelia vintage a piene mani.
Una formula simile caratterizza la seguente Yo Me Lo Merezco, ma con differenze stilistiche piuttosto importanti: la parte lenta del brano non è più latin, ma rock blues psichedelico, marcata da un arpeggio minimale e (perciò) efficace; la parte strumentale è invece giocata su un tempo veloce dalla cadenza latina ben armonizzato dal basso di Rietveld, che conferisce profondità alle scorribande di Santana.
Nella lunga (circa nove minuti) Blue Skies le citazioni jazz si legano all’approccio afro, grazie anche alla partecipazione speciale della britannica Laura Mvula che duetta alla grande con Buika.
Rietveld dà il meglio di sé nella superfunky Paraìsos Quemados con un giro di basso pazzesco su cui si innestano i riff assassini delle chitarre, il cantato enfatico di Buika e le scorribande dell’organo.
Braking Down The Door è una cover di Abatina di Manu Chao, interpretata con un andamento a metà tra limbo e salsa e arricchita da un efficacissimo assolo di trombone di Salvador, il figlio di re Carlos.
Los Invisibles è un afrofunk stracarico di groove che si regge sulle percussioni e sul basso slappato di Rietveld.
In Luna Hechicera Santana vira verso il reggae, ma l’impianto sonoro resta di matrice latin con le consuete incursioni della chitarra stracarica di eco e wha wha.
Bembele è un’altra, più decisa, incursione latin in direzione Brasile: una samba minimale piena di riferimenti afro e arricchita dai ricami della chitarra.
Candombe Cumbele chiude l’album con una bella melodia africana innestata su una base di rock latino.
Difficile da valutare, se non dopo ascolti ripetuti, Africa Speaks è un album importante, con cui Santana prende un po’ le distanze dai tentativi mainstream del passato recente e risveglia il sound delle origini, ammodernandolo quel che basta per le platee 2.0.
Il nuovo Santana è una matrioska, dalla quale riemerge lo stregone di Woodstock che riuscì a reggere il confronto con Jimi Hendrix e traghettò la tradizione musicale latina dai barrios e dai night club nel cuore del grande filone del rock.
Un testamento spirituale carico di autenticità.
Buon ascolto e buone vibrazioni.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale di Carlos Santana
Da ascoltare (e da vedere):
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