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Sandro Principe a giudizio. Una riflessione politica

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Inizierà il 12 giugno il processo a carico dell’ex leader socialista ed ex big del Pd calabrese, accusato di collusioni con la ‘ndrangheta dalla Dda di Catanzaro. Principe finì sotto inchiesta in seguito anche alla cattura del boss Ettore Lanzino ed è stato arrestato nella primavera del 2016. Ma la sua carriera politica era già in declino. Eppure è il primo pezzo da 90 cosentino  ad essere processato con accuse così pesanti da far pensare a ben altri territori e politici, che pure in Calabria non mancano. Quel che è davvero successo lo sapremo dal dibattimento e dalla sentenza che ne seguirà. Certo è che l’inchiesta “Sistema Rende” rischia di mettere una pietra tombale non proprio bella alla parabola di una città, la Rende della famiglia Principe, che era riuscita a diventare un modello, urbanistico e di qualità della vita, che strideva con la condizione dell’ultima regione d’Europa

Per i dietrologi la coincidenza è sospetta: a soli tre giorni dalle elezioni politiche, arriva una bastonata tra le gambe del Partito democratico calabrese. Ma solo per i dietrologi, perché la giustizia ha dei tempi che la politica non capisce.

Sandro Principe, nome eccellente della politica meridionale, già pezzo da novanta del vecchio Psi, per cui ha ricoperto un po’ tutti gli incarichi importanti a tutti i livelli, e poi sindaco della sua Rende, quindi consigliere e assessore regionale in quota Pd, è stato rinviato a giudizio per accuse non proprio leggerissime: corruzione in atti amministrativi con l’aggravante del metodo mafioso e concorso esterno per associazione mafiosa.

Questa è la notizia che, anticipata dai giornali online calabresi, sta rimbalzando sul web, c’è da immaginare con tanto di visualizzazioni record.

La Dda di Catanzaro ha segnato un passo importante nel territorio cosentino, dove la ’ndrangheta è stata considerata, grazie anche a un numero spropositato di pentiti, più debole e meno pericolosa che altrove.

Con quest’inchiesta, denominata Sistema Rende, i magistrati antimafia tentano di dimostrare per la prima volta un teorema, finora più sbandierato sui giornali e nei convegni che provato nelle aule giudiziarie: a Cosenza le ’ndrine sparano di meno perché la zona grigia, che include anche la politica, è più forte.

Principe – nella lente degli inquirenti sin dal 2013 e poi arrestato nel 2016, quindi scarcerato dal Tribunale della Libertà – è il primo big cosentino a finire così a fondo nel tritacarne dell’antimafia. Intendiamoci: per lui non è neppure la prima volta, visto che già nei lontani anni ’90 aveva subito un’inchiesta per presunti legami col clan Pesce di Rosarno, condotta per conto della Procura di Palmi da Agostino Cordova e Francesco Neri.

Ma quest’inchiesta, che finì nel nulla grazie anche al dietrofront delle stessa Procura, non riguardava i legami di Principe, all’epoca sottosegretario al Lavoro nel governo Amato, con il suo collegio elettorale, cioè la sua città.

Stavolta, le cose cambiano, perché assieme al big sono finite sotto inchiesta altre persone che hanno contato non poco nella storia recente di Rende: Umberto Bernaudo, sindaco di Rende dal 2006 al 2011, Pietro Ruffolo, assessore di Rende durante la sindacatura Bernaudo e, assieme a quest’ultimo, anche consigliere provinciale, Con loro è finito a giudizio, solo con l’accusa di corruzione elettorale, Giuseppe Gagliardi, anche lui consigliere e assessore di Rende, quindi consigliere provinciale. Erano tutti volti noti per i cronisti che andavano a caccia di notizie nella città più ricca della Calabria.

Era un volto noto anche Rosario Mirabelli, ex consigliere regionale di Api ma anche ex oppositore di Principe, che si era candidato a sindaco nel 2006 contro Bernaudo. A differenza degli altri coindagati, Mirabelli ha scelto il rito abbreviato ed è stato condannato dal gup Pietro Caré a due anni.

Ma non è il caso di insistere sul dato giudiziario, che si basa sull’accusa di presunti rapporti intensivi con gli esponenti del clan guidato dall’ex primula Ettore Lanzino, la cui cattura, avvenuta negli ultimi mesi del 2012, ha dato il via a questa pesantissima inchiesta.

Occorre, invece, una riflessione politica: quello che inizierà il 12 giugno non sarà solo il processo a Sandro Principe, ma a tutta la città di Rende. Perché è impossibile separare la figura dell’ex leader dalla performance prodigiosa di questo territorio così attaccato a Cosenza da fare un tutt’uno con essa.

Per i calabresi Rende è una città modello. Costruita secondo concezioni urbanistiche all’avanguardia e sede dell’Università della Calabria, questa cittadina ha conosciuto una crescita demografica sostenuta e uno sviluppo economico non indifferente, basati entrambi sul volano di un’edilizia intelligente e a misura d’uomo.

Quest’opera fu iniziata da Cecchino Principe, padre di Sandro e capostipite della dinastia socialista rivale dei Mancini, e proseguita, appunto, dall’ex sindaco ora sotto accusa.

Se le cose stanno così, è lecito porsi alcune domande: è possibile che il successo politico di Principe sia dovuto solo ai presunti accordi con le cosche? Principe, val la pena di ricordare, sopravvisse al collasso del Psi ed entrò nel Pd da padrone, senza farsene fagocitare, com’è invece accaduto a tanti altri ex socialisti. Certo, aveva maniere non sempre eleganti. Anzi, a dirla tutta era considerato arrogante e autoritario, al punto da trasformare i suoi allievi politici più promettenti in avversari e oppositori. Dotato di un livello culturale non comune nella classe politica del profondo Sud, aveva una visione politica mittleuropea, ma metodi calabresissimi.

Certo è che molte delle accuse nei cuoi confronti si basano per fatti che si sarebbero verificati nel 2009, in occasione delle elezioni provinciali, quando Principe era consigliere regionale durante l’amministrazione Loiero, dove aveva ricoperto anche il ruolo di assessore fino al 2007. Il che fa riflettere su una cosa: si è dovuta attendere un’altra legislatura regionale perché l’inchiesta facesse il suo corso.

Ripetiamo: la giustizia ha i suoi tempi e quelle che balzano all’occhio sono solo suggestioni. Ma non si può fare proprio a meno di notare che Sistema Rende ha spiccato il volo nel 2016, quando la parabola politica di Principe era già in declino per battute d’arresto solo politiche. L’anno nero dell’ex leader, è stato il 2014: a giugno il centrosinistra si presentò diviso e perse le elezioni comunali e a ottobre il suo stesso partito non lo ricandidò alla Regione. Estromesso dalla sala dei bottoni, Principe aveva tentato di far sentire la propria voce nella politica cittadina, ma inutilmente, sebbene mantenesse ancora del consenso.

Altra suggestione: nel 2014 Rende passò sotto la guida di una coalizione civica caratterizzata da una forte presenza del centrodestra guidata da Marcello Manna, un brillantissimo penalista cosentino, avvocato tra l’altro proprio di Ettore Lanzino.

Anche questa è una coincidenza, ci mancherebbe, perché una cosa è difendere un boss come professionista un’altra, invece, è farci accordi, si spera solo presunti. E non si vuole alludere a un bel niente nel sottolineare questa coincidenza, perché dalle coincidenze, al massimo, possono sorgere solo suggestioni. Ma questa è una suggestione così forte da non poter passare proprio sotto silenzio.

Rende processata con Principe? Sì. E per un motivo: a differenza di altri centri calabresi, questa città ha avuto una borghesia solida e benestante, lontana dal prototipo di popolazione condizionata e collusa con la criminalità organizzata. E questa borghesia ha dato a Principe forti consensi e forse li avrebbe anche replicati se non ci fosse stata Sistema Rende.

Questo processo è da seguire a fondo, con molta attenzione ma senza enfasi. Soprattutto senza lo spirito indecoroso da curva sud che accompagna i processi ai notabili decaduti.

È scontato fin d’ora prevedere che molti degli ultrà di ieri ingrosseranno le file dei detrattori. Perciò è giusto che chi, invece, gli ha fatto i conti in tasca disinteressatamente sia invece più pronto al dubbio. E non solo per il garantismo che non si deve negare a nessuno, ma per evitare il ripetersi dello spettacolo ipocrita di una città che da modello è stata declassificata a sistema e poi gira le spalle per chiamarsi fuori.

 

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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