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Monalisa Tina, arte e vita nei ricordi di una performer

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Figlia di un pittore e restauratore e protagonista di manifestazioni internazionali, l’artista pugliese e bolognese d’adozione, che sperimenta da anni un particolare linguaggio del corpo, si racconta in un’intervista: «Siamo in molti (creativi) a pensare che l’arte possa stimolare nelle persone una visione critica sul mondo e questo può senz’altro aiutare ad essere mentalmente liberi e ad apportare conoscenza, migliorando il nostro Paese su più livelli»

Monalisa Tina, pugliese, classe ’77, è una performer e arte terapeuta, che si è formata a Bologna e si è affermata a livello internazionale grazie a un duro lavoro di ricerca espressiva durato anni. Questa ricerca è il frutto anche di un mondo interiore ricco e particolare. Ne parliamo con la diretta interessata…

Quando hai capito che l’arte è parte integrante della tua vita?

Non so dirti esattamente quando ho avvertito dentro di me quella specie di illuminazione che mi facesse capire in modo così evidente la posizione importante e profonda che l’arte occupa nella mia vita.  Certamente la storia della mia infanzia è segnata da immagini mentali che ritraggono mio padre al cavalletto consumarsi in una grande passione per il linguaggio della pittura e per il restauro di statue lignee di carattere religioso, che spesso occupavano in modo non poco invasivo gli spazi di una casa modesta e semplice, come era la nostra. Per non parlare dell’odore dei colori a olio e dell’acquaragia… Se chiudo gli occhi un solo istante mi sembra ancora di avvertirlo: è incredibile, eppure il ricordo di quei momenti è ancora così intenso e vivido. Ma per rispondere alla tua domanda, probabilmente l’arte è sempre stata parte del mio tessuto genetico. La consapevolezza e la profondità della performance come strumento privilegiato nella mia indagine artistica sono venuti dopo, con lo studio e l’esperienza. Ma non per questo sono oggi per me meno importanti e meno significativi.

Sei una performer affermata e noi siamo curiosi di sentire: a chi ti ispiri quando crei un evento performativo?

È molto difficile rispondere a questa domanda perché quando realizzo un progetto non penso necessariamente all’esperienza artistica di chi mi ha preceduta, anche se non posso negare di avere ereditato, per lo meno culturalmente, influenze teoriche da alcuni artisti che hanno usato e continuano a usare il linguaggio del corpo. Tenendo conto che la mia poetica è decisamente diversa, sono molto affascinata dalle tematiche corporali dell’azionismo viennese della metà degli anni sessanta, sia per retaggio culturale (mia madre è di origini salisburghesi) che per l’intensità di quei lavori.

Il lavoro con il corpo mi emoziona sempre. Ed è fondamentale nella mia ricerca, perché solo così mi è possibile amplificare e sostenere la relazione con l’altro. Le mie azioni sono incentrate profondamente sull’idea dell’importanza di questo rapporto con gli spettatori.

Più in generale, credo che tutti gli artisti si pongano il problema della fruizione da parte di un interlocutore, perché se non ci fosse, non esisterebbe il lavoro e viceversa. Però, al di là del mezzo espressivo adoperato, sono sicura per esperienza personale che per i performer questo sia un elemento caratterizzante del loro lavoro.

Le persone in generale mi piacciono e costituiscono sempre un motivo di ispirazione, ma ciò che mi incuriosisce di più sono le loro fragilità che, viste da una prospettiva differente, possono assumere peculiarità di prudenza e di saggezza.

Parlaci della tua esperienza artistica all’estero: che differenza c’è con l’Italia?

Fino ad oggi la mia esperienza all’estero mi ha portata a lavorare in molte parti d’Europa. Ho esposto sia in realtà istituzionali, come per esempio alla Stadtgallerie di Kiel e al Museum Gunzenhauser di Chemnizt, sia all’interno di manifestazioni culturali importanti come Il Festival der Philosophie di Hannover (che ha una sezione aperta all’arte contemporanea) oppure al Jurmala Art Fair a Riga. Al di là di ogni specifico caso ho sempre trovato da parte degli organizzatori un’attenzione e una valorizzazione significativa della mia indagine. Probabilmente rispetto alla realtà italiana, all’estero si è più disponibili e coraggiosi ad investire risorse nel lavoro degli artisti e a promuoverne i linguaggi espressivi con tutti i canali possibili.

Lo scorso luglio, essendo stata invitata alla Fiera di arte contemporanea a Jurmala, ho avuto l’onore di tenere una conferenza sulla metodologia dell’arte terapia e sul mio lavoro di arte terapeuta di fronte alle litografie del regista David Lynch, che era l’ospite d’onore della manifestazione. Questa possibilità mi è sembrata un’apertura oggettiva da parte del mondo dell’arte verso una pluralità di differenti linguaggi culturali. Altri contesti dell’arte contemporanea italiana non sono altrettanto disponibili ad accogliere argomenti purtroppo ancora così poco conosciuti e perciò facilmente equivocabili.

Credi che l’Italia tornerà a vivere un clima culturale innovativo come negli anni 70? Ci sono persone creative che credono come te nell’arte e che possono aiutare il Paese a ritrovare un equilibrio spirituale e culturale?

Oramai ci stiamo addentrando nel terzo millennio e credo che il clima contemporaneo attuale abbia poco in comune con le utopie culturali degli anni settanta, quelle cioè dei grandi movimenti artistici e delle contestazioni sociali. Senz’altro la tecnologia a portata di clic ci consente di avere più scambi e confronti con il mondo al di là delle distanze geografiche, e in questo senso ogni settore di ricerca, Arte compresa, non è escluso.

Sono sicura che siamo in molti (creativi) a pensare che l’arte possa stimolare nelle persone una visione critica sul mondo e questo può senz’altro aiutare ad essere mentalmente liberi e ad apportare conoscenza, migliorando il nostro Paese su più livelli.

Nella mia esperienza ho trovato realtà davvero interessanti di giovani storici dell’arte e curatori che con grande entusiasmo hanno organizzato festival e palinsesti in modo così fresco e stimolante che è sempre una grande soddisfazione anche solo partecipare.

Un esempio potrebbe essere il Festival interdisciplinare Ronzii, alla sua seconda edizione, sostenuto dall’Università di Pisa e dall’associazione Fucinacontemporanea. Il team dell’associazione, composto da giovani creativi, ha messo insieme le forze e le energie di tutti i componenti che, sotto la guida della fondatrice Chiara Capuano, ha avviato un progetto molto interessante che sono certa crescerà e si svilupperà sempre di più.

(a cura di Carmelita Brunetti)

 

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