Keplero, suoni scuri per la musica delle stelle
La band foggiana, reduce da un’intensa attività sul palco, sforna Maluma Live session, il terzo ep registrato in presa diretta
Densità e tocchi leggeri, impreziositi dai ricami del synth. Ritmiche geometriche, che richiamano quella particolare concezione inaugurata dai Police e portata a compimento dai big della new wave negli anni ’80: tutto gira sul basso che scansiona i tempi con linee ipnotiche, batteria essenziale, quasi metronomica, e la chitarra che decora con arpeggi e armonici più o meno effettati. Poi, c’è quel pizzico di intellettualismo che non solo non guasta ma ci sta. E richiama altri mostri sacri, stavolta italiani: l’esempio dei Csi di Lindo Ferretti è, al riguardo, più che calzante.
In pillole, è la musica dei Keplero, un trio pugliese dai suoni scuri ma dalle idee chiare, formatosi a Foggia nel 2013 e da poco giunto al traguardo del terzo ep con Maluma Live session, autoprodotto e, come suggerisce il titolo, registrato in presa diretta. Il classico live in studio, insomma. Che nel caso dei tre pugliesi non aggiunge energia, visto che le loro scelte artistiche vanno in altre direzioni, ma profondità al suono, rendendolo più immediato.
Il cantante-chitarrista Sergio Valerio esibisce una vocalità sofferta ma pulita, grazie alla quale interpreta i testi, piuttosto densi e complessi, con grande chiarezza, senza storpiare sillabe e metriche. Il risultato è di un grande nitore formale. Non è poco, considerata la media del rock cantato in italiano, dove farsi capire sembra sia l’ultima preoccupazione di molti cantanti. Stesso discorso per la chitarra, che gioca di fino e s’interseca con le linee del basso di Luca D’Altilia, che dimostra anche lui di aver assimilato a fondo la lezione degli anni ’80. La batteria di Costantino Martino scandisce il ritmo con grande precisione e senza fronzoli, ma evita gli eccessi peggiori di quella stagione, in cui i batteristi, ridotti ad appendici di percussioni elettroniche, rischiavano di diventare superflui (e spesso ci riuscivano).
Tutti e quattro i brani dell’ep – Remarti contro, Il ritorno più breve, La (radicale) trasformazione del cuore umano, Ora (Com’è stare fuori?) – risultano godibilissimi e il contesto complessivo e di un grande nitore sonoro.
Se quella galassia musicale composita, cominciata col post punk e approdata al post rock, ha impartito delle lezioni, i Keplero, che citano i maestri con garbo senza plagiare, l’hanno appresa benissimo.
Risultati così non si ottengono in un giorno. Quattro anni di attività, caratterizzati da un’intensa attività live e da altri due ep – Keplero (2014), dalle marcate sonorità indie rock e dal cantato in inglese, e Vanità Microscopica (2015) – non saranno tantissimi, ma non sono neppure trascorsi inutilmente. I Nostri, infatti, hanno ottenuto importanti riconoscimenti sin da subito: nel 2015 vincono il contest Essere Perfetto, organizzato a Bari e dedicato alle band pugliesi emergenti, ottenendo la produzione del loro secondo ep; sempre nello stesso periodo vincono il premio Morris Maremonti a Polignano a Mare e, grazie a quest’affermazione, partecipano al Mei di Faenza, il più importante evento di musica indipendente italiana; infine, partecipano a L’acqua in testa festival, presso la storica Fiera del Levante di Bari. A questo popo’ di affermazioni si deve aggiungere il terzo posto ottenuto nella nona edizione del premio Mimmo Bucci, svoltosi nel 2017 presso il Petruzzelli di Bari. Se questo non vuol dire farsi notare…
Last not least, anche il nome della band ha a che fare con la musica: Keplero, l’astronomo-metafisico tedesco che all’inizio del Rinascimento tentò di conciliare il sistema copernicano con la teologia attraverso le tesi del pensiero greco, indagò anche la musica delle stelle, cioè cercò di scoprire se i rapporti matematici che regolavano il cosmo si traducessero in suoni e armonie. Qualcuno potrebbe obiettare che quest’intuizione l’avesse avuta, circa un millennio prima, Pitagora. Ma ci fermiamo qui, perché a questo punto non si parla più solo di musica…
Da ascoltare (e da vedere):
La (radicale) trasformazione del cuore umano
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