Addio ad Alessandro Leogrande, il meridionalista che amava l’Italia
Il giornalista è scomparso per aneurisma cerebrale a soli 40 anni. Aveva dedicato un libro a Pisacane e curava la pubblicazione di un dossier sul Giorno della Memoria
La notizia ha già fatto il giro dei media e ormai chi gli voleva bene si è già asciugato le lacrime oppure ha preso una pausa dal pianto.
Alessandro Leogrande è morto, ad appena 40 anni, nella sua casa a Roma il 26 novembre, stroncato da un aneurisma cerebrale. Era reduce dalla Città del Libro, una manifestazione culturale a Campi Salentina, nel Leccese, nella sua Puglia, dove tornava spesso.
Giornalista e scrittore. Oppure, meglio ancora, scrittore e giornalista. Firma di testate prestigiose (Internazionale, Corriere del Mezzogiorno, Il Riformista, Pagina 99) era stato collaboratore di Rai Radio 3 e vicedirettore de Lo Straniero, la rivista di Goffredo Fofi.
Era quel che si direbbe un sinistrorso. Ma un sinistrorso concreto, alieno da tentazioni radical chic e da pose modaiole. Per dirne una, riuscì a scrivere bellissime requisitorie contro la criminalità organizzata senza per questo arruolarsi nell’antimafia militante, quando militare in certa antimafia era lucroso, sulla scia, per capirci, di Roberto Saviano e affini. In compenso, si scatenò sin da subito in inchieste che anticipavano i tempi: ad esempio, quella sull’Ilva e quella su Giancarlo Cito, l’ex sindaco di Taranto, dove Alessandro era nato.
Ambiente, povertà, immigrazione e, ovviamente, questione meridionale. Anzi, Questione Meridionale, che nella sua visione faceva tutt’uno con la questione sociale, anch’essa irrisolta, anche nelle aree ricche del nostro Paese e dell’Occidente.
Non a caso, Alessandro aveva dedicato l’ultimo suo libro, uscito la scorsa estate, a Carlo Pisacane, il protomartire del Risorgimento.
Ecco, quel Risorgimento di cui molta sinistra pensante si è accorta in ritardo, solo quando si è trovata di fronte a certo revisionismo dalle tinte reazionarie.
Al riguardo, Alessandro si è espresso in modo inequivocabile proprio parlando a Radio Rai del suo libro. Val la pena di soffermarsi su questo passaggio (e ci scusiamo per la lunghezza della citazione):
«È di questa estate, ad esempio, soprattutto in Puglia ma in tutto il Sud, il dibattito suscitato dall’istituzione della “Giornata della Memoria delle vittime meridionali dell’Unità d’Italia”, una proposta dei 5 Stelle approvata a maggioranza, quindi a maggioranza Pd, dal consiglio regionale della Puglia del governatore Michele Emiliano. Che cosa dice questa giornata in soldoni? Dice che sostanzialmente l’Unità d’Italia è stata un processo di annessione del Sud al Nord condotto dall’esercito piemontese e che ha visto i meridionali come vittime di un processo di colonizzazione. Ora, questo modo di intendere le cose – che riscrive ovviamente la storia del Risorgimento che abbiamo studiato a scuola ma anche quello che sosteneva il meridionalismo classico – si basa innanzitutto su una semplificazione del processo storico. Ma che cosa ci dice questo? Che probabilmente si risponde ai mali del Sud odierno, e non solamente al bar ma anche all’interno di un consiglio regionale, sostenendo che tutti quei mali non sono un prodotto, come diceva Salvemini, della società meridionale, dei cocò della società, della piccola borghesia parassitaria, della classe dirigente. Ma sono stati un prodotto dell’Unità d’Italia e che prima, questo è il dato saliente, sotto il regno dei Borboni delle Due Sicilie, c’era il migliore dei regni possibile. Ora, perché a 160 anni di distanza un pensiero del genere prende piede in Italia? Questo ci dice quanto la storia sia un “oggetto civile” e politico anche della contemporaneità. In questa contrapposizione, in cui ci sarebbe un Nord “cattivo” e un Sud “vessato” mi sembra che viene meno non solo l’analisi di ciò che è stato veramente il Risorgimento, ma anche la complessità dell’analisi della questione meridionale che c’è stata negli ultimi 150 anni. C’è stato un meridionalismo storico, quello di Croce, Dorso, Gramsci, Salvemini, che non ha mai sostenuto che i mali del Sud derivassero dal Risorgimento. Anzi, sostenevano che ci volesse più Unità d’Italia, più Risorgimento, più politiche, centrali e locali, che sovvertissero il piano secolare delle iniquità e delle ingiustizie».
Poco prima di morire, Alessandro era impegnato nella pubblicazione del dossier messo insieme dalla Società italiana per lo studio della storia contemporanea sulla Giornata della Memoria, composto da tutti gli interventi fatti da storici, giornalisti e intellettuali a partire da agosto.
Anche questo suo impegno, ovviamente non dalla parte di chi ha promosso questa Giornata, fa capire che certe vecchie contrapposizioni, che a stento sopravvivono nella nostra cultura, sono fuori luogo ora che un intero patrimonio culturale è minacciato.
C’è da sperare solo che Alessandro Leogrande non sia uno degli ultimi esponenti di un modo di fare giornalismo che coniugava felicemente cultura e impegno civile, ma sia stato l’antesignano di una nuova generazione di intellettuali impegnati, capaci di travasare nel linguaggio della contemporaneità i migliori lasciti di una tradizione di pensiero di cui non vorremmo mai sentire la mancanza.
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