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Dal rock all’ambient. Una chitarra rovente da Prato

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A meno di trent’anni Edwin Lucchesi vanta un curriculum denso di titoli e concerti

Rock blues, progressive, ambient, classica e non solo. Il pratese Edwin Lucchesi a nemmeno trent’anni esibisce un curriculum chilometrico, denso di realizzazioni (cinque cd), esibizioni dal vivo, e titoli di studio. È passato dalla masterclass di Steve Vai e Giacomo Castellano alla laurea in chitarra classica. E, come se non bastasse, è esperto di acustica ambientale, tecnico del suono, arrangiatore e produttore.

Mica male per una persona che, tra l’altro, è partita un po’ svantaggiata, almeno sulla carta: «Sono nato con problemi all’udito, ma li ho felicemente risolti con delle protesi acustiche speciali e poi, ovviamente, grazie alla musica». A sentirlo suonare, non si direbbe.

Come mai proprio la chitarra?

Ognuno si innamora di uno strumento specifico in base a predisposizioni o affinità elettive. Nel mio caso il fulmine è scoccato a quattordici anni di età, quando imbracciai la chitarra acustica di mio fratello: ne sentii le vibrazioni sul corpo. Il mio è stato un approccio completamente fisico, che si è perfezionato con il recupero delle capacità uditive.

Il tuo percorso musicale è stato piuttosto canonico: intensa attività di studi, performance ed escursioni in vari generi. Tant’è che, ad ascoltare la tua produzione, è difficile attribuirti un genere.

Finora ho prodotto musica su commissione, quindi, giocoforza, mi sono adeguato ai generi che, man mano, dovevo interpretare. Ovviamente, per quel che mi riguarda, è stato più il gioco che la forza a motivarmi, cioè ho avuto più stimoli dal piacere di creare musica che dal pungolo della commissione da rispettare.

Ma in tutto questo la sperimentazione che fine fa?

La sperimentazione è rimessa all’abilità dell’artista di dimostrarsi tale, cioè di mettere in gioco la propria capacità creativa, nei confini del progetto che gli è affidato. Faccio un esempio più concreto: Michelangelo o Rossini hanno sempre svolto la loro arte su commissione. Mi permetto di ricordare a tutti che la Cappella Sistina, il massimo capolavoro di Michelangelo, che fu anche un’opera piuttosto ardita per l’epoca, fu fatta su commissione. Oppure, per tornare al mio campo, che grandi compositori come Ennio Morricone o Luis Bacalov hanno potuto sperimentare alla grande componendo colonne sonore per film commerciali.

Insomma, lavorare su commissione non vuol dire affatto vendersi, almeno secondo te.

Affatto. I musicisti e gli artisti lavorano e creano perché altri, ascoltatori, spettatori, ecc. possano fruire della loro opera. L’arte è comunque un messaggio per gli altri. La sperimentazione è valida in questo confine: il musicista sperimenta quando forza le regole di un genere perché la forzatura è funzionale al processo creativo. Oltre c’è solo il solipsismo dell’artista che crea per sé stesso, anche a costo di infischiarsene di chi lo segue. Il che non mi pare che sia un bene: non fa bene all’artista né fa bene all’arte. Tanto più che c’è il rischio della reazione contraria: quando le élite musicali sono troppo chiuse nello sperimentalismo fine a sé stesso, di solito la musica più popolare scende di livello, si involgarisce.

Ma qualcosa da sperimentare ci sarà pure…

Fino a un certo punto: molte forme di sperimentazione, finite poi nel noise o nell’industrial, sono state anticipate dalle avanguardie della prima metà del secolo scorso. Mi pare che molto sia stato composto e suonato, tant’è che anche il discorso dell’avanguardia mi sembra per alcune cose un po’ vecchio…

Diciamo pure che hai suonato di tutto e che ciò non ti ha impedito di sperimentare comunque. Allora la tua sperimentazione in cosa consiste?

Nel mantenere le mie idee e la mia personalità musicale in tutto quel che faccio. E finora credo di esserci riuscito. Non è quel che fai a renderti un innovatore ma come lo fai. Ti faccio due esempi: i Queen e David Bowie. Entrambi hanno avuto successo nel mainstream, ma senza scendere a compromessi artistici.

Parliamo della tua produzione sperimentale in senso stretto. Come sei entrato nel progetto Solchi Sperimentali Italia?

Sperimentando. Mi ero appena laureato in chitarra classica e cercavo nuovi stimoli. Ero molto incuriosito dalla produzione di Giacinto Scelsi. Feci un esperimento quasi per caso: produssi un videoclip di un minuto in stile noise e lo postai sui social media. Ebbi parecchie risposte positive che non mi aspettavo. Antonello Cresti, l’animatore di Solchi Sperimentali Italia, lo notò e mi contattò. Partecipo al suo progetto con un videoclip e un’autointervista in cui parlo di me.

Insomma, c’è voluto internet perché due corregionali, tu di Prato e Cresti di Firenze, si conoscessero. Com’è la scena musicale in Toscana?

Molto frammentata, tant’è che parlerei più di tante mini-scene che di una scena vera e propria. Iniziative come Solchi Sperimentali Italia possono avere una grande utilità proprio nel creare un punto di riferimento comune, un raccordo, insomma.

Non solo sperimentazione e non solo musica impegnata. Tu suoni anche in un terzetto, i Nuur, con cui ti muovi su coordinate rock.

E chi dice che non sperimentiamo? Due anni fa circa abbiamo fatto una performance in una rocca vicino a Prato: abbiamo musicato un film muto con le nostre improvvisazioni e c’è da dire che il pubblico ha gradito.

(a cura di Saverio Paletta)

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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