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I due superprof contro il referendum

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“Loro diranno, noi diciamo”. Zagrebelsky e Pallante spiegano i punti deboli della riforma di Renzi

Comunque vada, sarà un successo. E non solo per le vendite, che sono più che buone, ma anche per la qualità intrinseca di Loro diranno, noi diciamo. Vademecum sulle riforme costituzionali, scritto a quattro mani dall’ex presidente della Consulta Gustavo Zagrebelsky e dal costituzionalista Francesco Pallante per l’editore Laterza.

Nei suoi pregi (tantissimi, a partire dall’efficacia divulgativa) e nei suoi difetti (di impostazione e di visione complessiva) Loro diranno… resterà un piccolo “classico” della polemica politica condotta con argomenti giuridici. Beninteso: se dovesse passare il no. Se invece vincesse il “si”, questo volumetto, con le sue appena 147 pagine, potrebbe addirittura ispirare non pochi manuali di Diritto costituzionale. E non par la sua impostazione critica di fondo verso il presidenzialismo, che è il principale limite, ma perché i due autori prevedono, nell’analizzare la maxiriforma renziana, i potenziali problemi della nuova Costituzione.

Uscito con singolare tempismo nella tarda primavera, quando ancora non era neppure stata fissata la data del referendum, Loro diranno è il libro che più ha influenzato il fronte del no, le cui tesi sembrano un copia-e-incolla dello Zagrebelsky-pensiero. Tant’è che abbiamo sentito esponenti del centrodestra difendere la Costituzione attuale, anche quelli che l’avrebbero voluta riformare prima di Renzi, con argomenti di sinistra. Onore al merito: a tanti giornalisti che si sono improvvisati costituzionalisti (cosa non fa fare la crisi…) sono comunque preferibili due costituzionalisti che, in questo caso, dimostrano capacità divulgative invidiabili da molti addetti ai lavori della carta stampata e non solo.

Di Gustavo Zagrebelsky, ultralaico difensore delle istituzioni repubblicane, si sa molto. Si sanno anche i veleni sparsi su di lui da una fetta della stampa destrorsa, che lo ha variamente accusato di incoerenza, di atteggiamenti reazionari e di spirito di casta, salvo sospendere il fuoco polemico di fronte alla battaglia comune.

Forse Zagrebelsky reazionario non è, ma di sicuro ha un atteggiamento conservatore, che inficia un bel po’ l’aspetto tecnico della sua critica alla riforma. Infatti, una cosa è evidenziare, e l’ex presidente della Consulta lo fa brillantemente, i difetti, le aporie e le incongruenze del ddl di revisione costituzionale, un’altra è collegare questi difetti a pulsioni autoritarie e a istanze lobbistiche.

Un esempio di questa impostazione si trova proprio all’inizio del volume, dove i due autori dicono: «Noi diciamo che da quando è stata approvata la Costituzione – democrazia e lavoro – c’è chi non l’ha mai accettata e, non avendola accettata, ha cercato in ogni modo, lecito e illecito, di cambiarla per imporre una qualche forma di regime autoritario. Chi ha un poco di memoria ricorda i nomi di Randolfo Pacciardi, Edgardo Sogno, Junio Valerio Borghese, Licio Gelli, per non parlare di quella corrente antidemocratica nascosta che di tanto in tanto fa sentire la sua presenza nella politica italiana». Di più: «A costoro vanno affiancati – senza confonderli – coloro che negli anni hanno cercato di modificare la Costituzione spostandone il baricentro a favore del governo o del leader: commissioni bicamerali varie, “saggi” di Lorenzago, “saggi” del presidente, eccetera».

Al riguardo, si possono notare alcune cose. Innanzitutto, che l’accostamento di personaggi diversissimi come Borghese, di sicuro fascista e golpista, con Sogno e Pacciardi o De Lorenzo (le cui velleità golpistiche non risultano certe e sono lontane dall’essere chiarite), sa non poco di forzatura. Poi, sempre a proposito di memoria (storica e non), varrebbe la pena di ricordare che non tutte le critiche al parlamentarismo sono sfociate in pulsioni autoritarie. Occorrerebbe ricordare, inoltre, che è scorretto identificare il presidenzialismo o l’“esecutivismo” con l’autoritarismo. Anzi, sarebbe il caso d’intendersi sul concetto di “autoritarismo”, visto che l’esperienza storica italiana è piena di casi di presidenti del consiglio autoritari (Crispi) mentre il presidenzialismo di altri paesi, Francia per esempio, non ha inibito o ostacolato la crescita democratica. Al contrario: spesso proprio i governi forti hanno prevenuto derive autoritarie (o totalitarie) del tipo paventato dai due autori. Di sicuro in Germania, dove è stata mantenuta un’istituzione forte come il cancellierato, non la pensano come i due costituzionalisti.

Un discorso analogo può essere fatto per le lobby finanziarie, risultate tutt’altro che concordi a favore della riforma di Renzi, a cui accennano i due costituzionalisti, sempre nel primo capitolo. Leggere per credere il seguente passaggio: «Noi diciamo, invece, che dovrebbe essere questa l’ora di una riscossa democratica per liberarci dalle costrizioni della finanza e della speculazione finanziaria che impone riforme come le vostre, riforme che pesano sui deboli per garantire gli interessi dei più forti: l’ora per riprendere seriamente, e con largo coinvolgimento democratico, il discorso sull’Unione europea come federazione di popoli».

Parole giuste, ma non sante, perché il discorso è reversibile: per tante lobby che vogliono riforme liberiste, possono essercene altrettante che si “accontentano” dell’attuale caos politico (in fin dei conti il disordine è un toccasana per certe speculazioni al pari delle esemplificazioni istituzionali in stile tatcheriano). Inoltre, le lobby finanziarie sono un soggetto inevitabile nei sistemi internazionalizzati come il nostro, che dal trattato di Maastricht in avanti ha ceduto la propria sovranità monetaria. Queste lobby, beninteso, pesavano pure prima, quando le limitazioni della sovranità erano più “di fatto” che di diritto, perciò verrebbe da pensare che la differenza vera sia data, semmai, dalla scarsa credibilità e dall’inconsistente preparazione della classe politica e a questi guai non può rimediare alcuna riforma istituzionale né giova il mantenimento dello status quo. Infine, si può osservare che la “reazione della finanza pura” sia stata propiziata dal potere eccessivo, non sempre usato in direzione e con finalità democratiche, della politica sull’economia. Proprio questo squilibrio ha fatto deragliare il welfare e ha aperto spazi alle tentazioni tecnocratiche.

Detto questo, il punto forte del libro è nell’acume critico con cui la riforma costituzionale è passata al setaccio. Il punto forte del libro arriva nei due capitoli centrali, in cui la riforma viene passata, più che al setaccio, al tritacarne in maniera brillante, con raro acume critico. Ed è questa la parte di “Loro diranno” su cui può essere d’accordo chi vorrebbe delle riforme ma non quella proposta da Renzi.

 Zagrebelsky e Pallante hanno comunque il merito di aver dipanato in maniera chiara e incontrovertibile la matassa e non gli si può imputare il limite, rilevabile nella gran parte della letteratura prodotta dal fronte del no, di arroccarsi nella difesa delle attuali istituzioni, perché sono due parlamentaristi che, coerentemente, difendono il parlamentarismo. I limiti sono degli altri, che non hanno saputo accoppiare al consueto attivismo politico un’adeguata produzione culturale. E se i riformisti sono questi…

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Saverio Paletta, classe 1971, ariete, vive e lavora a Cosenza. Laureato in giurisprudenza, è giornalista professionista. Ha esordito negli anni ’90 sulle riviste culturali Futuro Presente, Diorama Letterario e Letteratura-Tradizione. Già editorialista e corrispondente per il Quotidiano della Calabria, per Linea Quotidiano e L’Officina, ha scritto negli anni oltre un migliaio di articoli, in cui si è occupato di tutto, tranne che di sport. Autore di inchieste, è stato redattore de La Provincia Cosentina, Il Domani della Calabria, Mezzoeuro, Calabria Ora e Il Garantista. Ha scritto, nel 2010, il libro Sotto Racket-Tutti gli incubi del testimone, assieme al testimone di giustizia Alfio Cariati. Ha partecipato come ospite a numerose trasmissioni televisive. Ama il rock, il cinema exploitation e i libri, per cui coltiva una passione maniacale. Pigro e caffeinomane, non disdegna il vino d’annata e le birre weisse. Politicamente scorretto, si definisce un liberale, laico e con tendenze riformiste. Tuttora ha serie difficoltà a conciliare Benedetto Croce e Carl Schmitt, tra i suoi autori preferiti, con i film di Joe d’Amato e l’heavy metal dei Judas Priest. [ View all posts ]

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