Spirlì, il sovranista alla ‘nduja
Il vicepresidente della Regione Calabria asseconda il trend sovranista e ammaina la bandiera europea nel suo ufficio. Peccato solo che la Calabria sia in debito, morale e d’ossigeno, con la Ue
Il diavolo è nei dettagli, recita un vecchio adagio, in cui la saggezza popolare riesce ad andare a braccetto con la fede.
E il dettaglio, stavolta, è grande come la copertina di una pagina Facebook e piccolo come l’accento che marca il cognome del suo titolare: Nino Spirlì, vicepresidente con delega alla Cultura della Regione Calabria, giubilato nel ruolo dalla sua amica Jole Santelli ma in quota Lega.
Scappa quasi da ridere ad accostare lo zolfo al faccione sorridente del vicejole, tutto bonomia e riflessioni sapide, che combina felicemente una cattolicità intensa e un’omosessualità dichiarata e vissuta con ironica serenità.
Ma non ce ne voglia il pacioso Spirlì: il dettaglio è troppo ghiotto per tralasciarlo, tanto più che al momento è l’unico indizio del suo indirizzo culturale, visto che il Coronavirus gli impedisce di dimostrare altrimenti la sua capacità di imprimere una svolta culturale alla Regione più disastrata d’Europa.
Eccolo, il dettaglio: alla destra del Nostro, che posa con la mascherina anti Covid, c’è un bel tricolore che pende con pigrizia e c’è una bandiera europea che invece non pende affatto, anzi è ammainata.
Con questo simbolismo – Italia sì, Europa no – il sovranismo ’i nuavutri fa la sua brava comparsa in un comodo ufficio di Germaneto, all’interno della cittadella regionale costruita in buona parte con fondi europei.
Ma tant’è: la vecchia amicizia con la presidentessa, a cui corrisponde la militanza forzista di gioventù, deve pur coesistere con la nuova amicizia con Salvini, a cui corrisponde un posto confortevole sul Carroccio.
Dicci qualcosa di sovranista, si chiede ai leghisti 2.0, come una volta si chiedeva a D’Alema di dire qualcosa di sinistra. E Spirlì dice, anzi fa: perché un autore di format televisivi come lui sa benissimo che le immagini pesano più delle parole.
Italia sì, Europa no. E lo dice, anzi lo fa vedere con una foto scattata in una sede istituzionale di una Regione che fa parte dell’Italia e quindi, salvo un’ipotetica Italexit, dell’Unione Europea.
Intendiamoci, la critica all’Ue è legittima, soprattutto ora che l’istituzione europea ha assunto in più occasioni il volto arcigno della matrigna e le pose acide della signorina Rottermeier.
Di più: è lecito anche essere antieuopeisti. Però prima occorre mettersi la mano sulla coscienza e poi usarla per tastare ben bene la propria poltrona. Spirlì è un assessore nominato in una giunta retta da una coalizione in cui il socio di maggioranza, Forza Italia, è europeista.
Al riguardo, basta ricordare il “paliatone” fatto dall’allora presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani all’europarlamentare british-sovranista (anche un po’ trash) Nigel Farage.
E, soprattutto, basta riflettere sul fatto che Berlusconi si sta muovendo in prima persona per compattare il Partito popolare europeo.
Nessuno chiede a Spirlì di non essere sovranista, ci mancherebbe. Ma un minimo rispetto delle forme dovrebbe essere doveroso. Le istituzioni possono cambiare o sparire, come molti sovranisti augurano all’Ue. Ma finché ci sono si rispettano.
Quanti sindaci leghisti vecchia maniera hanno ammainato il tricolore quando il Bossi degli anni d’oro tuonava la secessione a ogni piè sospinto? Praticamente nessuno, perché tutti sapevano da dove gli proveniva la poltrona, anzi la cadrega, per dirla in lumbard.
Quanti sindaci della vecchia An hanno tolto dai propri uffici il ritratto di Oscar Luigi Scalfaro, allora Presidente della Repubblica? Nessuno.
E ancora, quanti amministratori di Regione in quota all’ex Pdl hanno rimosso i ritratti di un altro Presidente, l’ex comunista Giorgio Napolitano? Praticamente nessuno.
Ma la tendenza leghista a usare le istituzioni per lanciare messaggi politici non è più un vizio: è un riflesso pavloviano che ognuno interpreta come può: Salvini usando il Ministero dell’Interno come una clava contro le Ong, Spirlì, più semplicemente, ammainando una bandiera.
Certo, lui è un artista e, come tale, forse poco incline alla realtà prosaica dei conti. Ma da assessore è comunque tenuto a dare qualche occhiata ai numeri. Ad esempio, quelli dei fondi che provengono dalla matrigna di Strasburgo, che spesso si sono rivelati un toccasana per non pochi amministratori calabresi.
E qui tocca sciorinare un’altra serie di domandine retoriche: quanti sindaci, inclusi quelli destrorsi, hanno rimesso a nuovo i propri borghi con i quattrini dell’Europa?
Ancora: quante filiere produttive sono state “allacciate” coi fondi Ue?
Insistiamo: quante reti di imprese sono diventate operative grazie agli spiccioli che la strega di Bruxelles continua a elargire?
E vogliamo per caso parlare di quel che è successo in agricoltura, con l’esplosione pirotecnica dei dop, grazie alla quale i nostri produttori sono riusciti a invocare il protezionismo verso ciò che proviene fuori dall’Europa?
E, giusto per toccare alcuni aspetti della delega di Spirlì, quante manifestazioni culturali e quanti spettacoli sono stati finanziati con quattrini che la poverissima Calabria non avrebbe potuto permettersi?
Retorica per retorica, lo sa Spirlì, che molti ragazzi calabresi si fanno onore all’estero non come migranti ma come cittadini europei che, al pari di tanti altri loro coetanei di tutto il continente, si spostano per cercare le migliori opportunità di vita e di carriera?
Nessuno chiede ai forzisti dell’attuale maggioranza calabrese di fare una tiratina d’orecchi al vicejole: si sa benissimo che sono impegnati in manovre più serie che riescono più facili, ora che la pandemia ha messo tutto in secondo piano. Ad esempio, negoziare i ruoli nelle società in house, negli enti economici e in certi uffici dove, per dirla in vernacolo, si fa davvero piovere e scampare. Che volete che sia, al confronto, una bandierina?
Eppoi Spirlì è un intellettuale “di destra”, com’è stato definito dalla stampa regionale: cosa costa lasciarlo scapricciare un po’?
Ma dire intellettuale di destra significa evocare una cosuccia impegnativa: a differenza della sinistra, in cui quasi tutti fanno gli intellettuali, la destra ha prodotto pochissimi intellettuali, ma di caratura immensa.
Spirlì, con questa pesantissima definizione, si prende sulle sue spalle robuste di ex ufficiale di cavalleria il carico dell’eredità di gigantissimi come Carl Schmitt, Alain de Benoist e, per restare a cose più leghiste, Gianfranco Miglio, che hanno indirizzato le loro migliori speculazioni all’Europa, in chiave tutt’altro che antieuropeista.
Come destrorso e oriundo calabrese, il vicejole si prende un’altra eredità: ci si riferisce alla battaglia di Angela Napoli (che è di Taurianova come lui), sinonimo di pluridecennale legalitarismo e di impegno antimafia, altra voce importante per chiunque voglia amministrare la cultura in Calabria. Inutile dire che la Napoli non risulta una sovranista accanita.
Da Spirlì ci aspettiamo grandi cose: una Calabria meno provinciale e più cosmopolita, un po’ meno tarantelle e melodica (con e senza il neo) e un po’ più rock, meno piagnistei e più volitività. E, magari un cinema vero, come hanno fatto in Puglia, il che significa meno inquadrature alle conifere e soggetti più convincenti.
Anche per questo troverà degli ottimi esempi a destra, a partire da quello fornito a suo tempo dalla validissima Wanda Ferro, che provò a trasformare la sua Catanzaro in una miniwoodstock in cui si poteva ammirare Vasco Rossi assaporando la ’nduja.
Certo, al momento il Nostro può poco, visto che la cultura ha dimostrato di poter fare a meno degli assessori, grazie al volontarismo degli intellettuali e degli artisti agevolato dalla rete. Per questo si è limitato a sfidare la matrigna di Strasburgo e la Rottermeier di Bruxelles con un ammainabandiera low cost, forse ignorando che la Calabria non è Cenerentola né Heidi
E nel fare l’Orban in sessantaquattresimo ha scordato che ogni territorio è canaglia a modo suo. L’Ungheria lo è per la protervia con cui si sottrae agli obblighi politici dell’Unione dopo aver tenuto i conti a posto. La Calabria per la sciatteria con cui elemosina fondi dopo aver dato da lavorare non poco alla magistratura sull’uso scorretto dei medesimi negli scorsi decenni.
I latini avrebbero detto, suum cuique.
Saverio Paletta
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