Dalla Siberia all’Abisso, Fiumani si racconta
Il leader dei Diaframma fa il punto su trentacinque anni di carriera, vissuti con coerenza e caparbietà
Tra i primi a sintonizzare la musica italiana degli anni ’80 su frequenze nazionali, i Diaframma sono riusciti a incidere a fondo nella scena artistica nazionale, anche grazie a un classico come Siberia (1984), il tipico esordio col botto.
La band toscana è forte di una discografia di venti album in studio, di cui il più recente è L’Abisso(2018), più varie produzioni dal vivo e raccolte. Federico Fiumani è il leader e la mente creatrice del progetto e dell’intera produzione trentennale. Abbiamo scambiato qualche battuta con l’artista in occasione in occasione della data rendese del Diaframma-L’Abisso tour 2020.
Il diaframma in fotografia regola la quantità di luce da imprimere in uno scatto. Nel corso degli anni il tuo obiettivo si potrebbe definire analogo rapportato alla musica?
Soprattutto all’inizio sì, nel periodo post punk dei primi anni ’80 ci proponevamo di giocare coi chiaroscuri.
Dalla poesia dei primi testi hai dichiarato di essere passato a testi più funzionali e plasmati sulla musica. Come mai questa scelta?
Perché col passare degli anni si cambia anche come persone: nei primi tempi ero più con la testa fra le nuvole, sognavo molto a occhi aperti. Poi progressivamente ho smesso.
Il cuore dei Diaframma è da sempre la tua scrittura, ma tra le varie formazioni quali sono i musicisti che hanno dato un apporto maggiore?
Sicuramente la formazione di Siberia, quella del primo album, era molto compatta, eravamo molto amici, quasi dei fratelli. Nel corso degli anni ho cambiato molti musicisti e difficilmente mi sono trovato bene. Questa ultima formazione, invece, mi piace molto, mi diverto a suonare con loro. Ma anche a condividere tutto quello che ruota attorno al nostro mestiere, per esempio i viaggi lunghi.
La band nata negli anni ’80 ed è stata tra le prime a creare un genere non convenzionale. La proposta musicale oscilla tra new wave, punk e post punk che, tuttavia, lasciano spazio alla malinconia e al romanticismo. Molte generazioni si sono ispirate alla vostra verve artistica. Oggi riuscite ancora a fare scuola?
Non saprei rispondere a questa domanda. Se abbiamo influenzato qualcuno mi fa ovviamente molto piacere, ma non credo. Diciamo che siamo stati fra i primi a coniugare testi in italiano a musiche di derivazione anglosassone, ecco.
In una tua dichiarazione hai dimostrato un rimorso artistico nell’aver dato poco spazio al confronto, un atteggiamento forse dettato dalla poca disponibilità degli artisti dell’epoca. Oggi è cambiato qualcosa in te e soprattutto negli artisti che ti circondano?
Direi di no. Non mi interessa collaborare con nessuno, almeno per adesso.
Nel libro Brindando con i demoni hai scritto: «La musica è un mezzo di purificazione». Forse è anche un mezzo di selezione. Per questo motivo si creano le nicchie. Non tutti possono amare tutta la musica. Tu cosa ne pensi alla luce di una lunga carriera e degli sviluppi nei generi musicali che hai attraversato?
Mi sembra che negli ultimi anni, forse anche grazie a internet, siamo diventati abbastanza più famosi, vedo tanti ragazzi giovani ai concerti.
L’ultimo disco dei Diaframma ha per titolo L’Abisso. Andare in profondità per arrivare alla sostanza, ma anche una critica o una descrizione della società di oggi. Non ti riconosci in nell’era dei social, i quali sono generatori di una continua perdita del tempo. Ma per quale motivo secondo te hanno preso così piede oggi? Per quale motivo riescono ad isolare molte persone? Cosa può essere andato male dagli anni ’80, per esempio, in una città nella quale ancora vivi come Firenze?
A me questa era non piace, mi pare assurdo che la gente stia sempre connessa, anche quando è fuori di casa e potrebbe guardare il mondo. Non so cosa farci se non soffrire. Ma d’altra parte io appartengo a un altro tempo. Firenze, da questo punto di vista è uguale a tutte le città. A Firenze negli anni ’80 c’era un bel movimento artistico, molta energia nervosa che inevitabilmente si è persa, ma d’altra parte tutte le cose hanno un inizio e una fine.
C’è un uso costante, soprattutto tra i big del rock, di rieditare più o meno a scadenze i loro grandi classici. Di solito cogliendo qualche anniversario (venti, trenta o anche cinquant’anni). Invece le riedizioni di Siberia non seguono questa logica, come mai tante riedizioni di questo album? È una scelta dettata dal successo oppure ci sono motivazioni artistiche?
Diciamo che Siberia ha avuto una vita strana, per esempio dal 1986 al 2001 era fuori catalogo, introvabile. Poi, col ritorno del vinile, è stato bello sfogarsi e ristamparlo in tanti modi. Naturalmente non obbligo nessuno a comprarlo.
Dopo la conclusione de L’Abisso Tour 2020 ci saranno novità discografiche?
Spero di sì, che mi torni la voglia di fare canzoni nuove.
(a cura di Fiorella Tarantino)
11,146 total views, 4 views today
Comments