Spionaggio online: saranno gli influencer i nuovi 007?
L’ex direttore del Sisde Vittorio Stelo lancia una provocazione durante il Master in Intelligence dell’Unical: la rivoluzione? Altro che Br, l’ha fatta la rete
La realtà? Va interpretata e approfondita, meglio ancora se con la crudezza di chi non si fa illusioni e mette da parte le passioni per prevenire i guai: «L’analisi dei fenomeni sociali deve essere veritiera e imparziale, cinica e oggettiva, non di parte e non politicamente corretta».
E (peggio) ancora: «Bisogna credere nelle istituzioni e non nelle persone, poiché il Servizio Segreto in sé non è mai deviato, ma alcune persone possono esserlo. Occorre individuare gli interessi essenziali da perseguire e fornire al governo e al parlamento in anticipo le informazioni necessarie per intraprendere tempestivamente le azioni necessarie».
Non è un allievo di Pareto o di Miglio che parla (sebbene queste espressioni non avrebbero sfigurato in bocca a nessuno dei due Maestri del realismo politico). È, scusate se è poco, Vittorio Stelo, intervenuto in una lezione del Master in Intelligence dell’Università della Calabria diretto da Mario Caligiuri.
Prefetto di carriera di lungo corso, Stelo è uno che conosce benissimo certe distorsioni e deviazioni per avervi dovuto porre riparo nel quinquennio delicatissimo in cui ha diretto il Sisde (Servizio per le informazioni e la sicurezza democratica), il vecchio servizio segreto civile, screditatissimo in seguito alla vicenda dei fondi neri.
Un quinquennio particolare e delicato, compreso tra il 1996 e il 2001, tra i postumi del crollo del muro di Berlino e l’inizio della sfida di Al Quaeda, che segnò l’avvio della guerra asimmetrica su scala globale.
Una trasformazione dolorosa, in seguito alla quale i Servizi di sicurezza sono stati proiettati in primo piano in scenari bellici sofisticati e in parte virtuali, nei quali le informazioni pesano come e più dei proiettili.
Per questo, anche i fatti sociali diventano problemi di sicurezza più che in passato. Di più: persino le trasformazioni morali diventano materia di esercizio per gli esperti di intelligence.
Di tutte queste trasformazioni la rete è, allo stesso tempo, causa, effetto e termometro. Già, prosegue Stelo: «La vera rivoluzione è rappresentata dalla rete, strumento di partecipazione e democrazia, mentre per taluni si stratta di democrazia dell’immediatezza e dell’audience o del click».
E a questo punto non poteva mancare una provocazione: «Oggi paradossalmente si può dire che dove non sono riuscite le Brigate Rosse è riuscita la rete, dove si dice che uno vale uno. Infatti, a ben vedere è cambiata di fatto anche la Costituzione, e così sono mutate la politica, la vita, i comportamenti, il linguaggio, l’economia e la stessa criminalità».
A sentire il prefetto (e non solo lui, ovviamente), «oggi potrei assumere nei Servizi anche gli influencers per conseguire la sintonizzazione online con la realtà». Già, potrebbero essere proprio loro le antenne adatte a captare segnali di tutti i tipi, deboli e forti, nel marasma della rete.
Ma per fare cosa? Semplice: prevenire il caos. La risposta è meno banale di quel che si pensi. Soprattutto, tradisce una concezione dell’ordine pubblico dinamica e vitale, lontana dalla staticità e basata sull’equilibrio.
Se questo equilibrio – sociale, economico, politico e culturale – si sbilancia, c’è il caos. Molto efficace, sul punto, la lettura del prefetto: «Il caos rende tutti uguali, poiché può essere la fine o l’inizio di un processo o una condizione permanente».
Nella società italiana il rischio del caos è quasi connaturato: «La società esprime violenza, nelle parole e nei fatti, alimentata anche dalla rete: basti pensare solo alle varie forme di bullismo. In Italia, specie tra i giovani, c’è un altissimo consumo di droga e di alcool che è una risposta sbagliata al disagio e purtroppo dai più non considerato come disvalore, e la società non riesce a dare risposte adeguate ai problemi esistenziali e sociali delle persone».
A ciò si aggiunga la grave situazione di incertezza provocata dalla crisi economica e il quadro è completo.
L’intelligence può prevenire il caos e dare le indicazioni opportune per gestirlo e governarlo. Ma solo se si aggiorna: «C’è bisogno di un’intelligence dinamica, moderna e coraggiosa. Bisogna allora approfondire le prospettive e la percezione dell’intelligenza artificiale, delle nuove emergenze, dei nuovi pericoli, delle nuove minacce in modo che i decisori pubblici siano sostenuti da un’attività informativa adeguata ai mutamenti della società in rapidissimo divenire». Così conclude Stelo.
Ma resta una domanda: esiste in Italia una classe politica in grado di recepire le indicazioni di un’intelligence ben organizzata?
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