Gratteri è solo? Ma proprio no: le manifestazioni non servono
Il superprocuratore di Catanzaro continua a far notizia, anche in seguito all’attentato sventato di recente nei suoi confronti. Le sfilate in piazza, invece, rischiano di diventare un boomerang a danno suo e della giustizia
Nicola Gratteri è uno dei magistrati più popolari in Italia. Di sicuro il magistrato calabrese più famoso al mondo. Uno dei simboli per eccellenza della lotta alla mafia, un ruolo conquistato anche grazie a una particolare telegenia che lo ha portato spesso e volentieri in over exposition.
Eppure serpeggia una voce, secondo cui Gratteri rischierebbe l’isolamento. Una voce puntualmente smentita dai clamori suscitati dalla recente notizia dell’attentato che due ’ndrine avrebbero “cantierato” nei suoi confronti. Il problema è Rinascita Scott, su cui ora le difese degli imputati iniziano a esercitarsi e su cui il Tribunale della libertà inizia a mettere qualche punto.
Nel frattempo che l’inchiesta entri nel vivo è doveroso chiedersi: la scarsa attenzione mediatica (o asserita tale) riservata a Rinascita Scott è la spia di un isolamento di Gratteri?
Davvero, per girare la domanda in altri termini, il fatto che si parli un po’ meno di Gratteri e delle sue inchieste sia una spia di quella “solitudine” che per un magistrato d’assalto come lui può essere pericolosa o addirittura mortale?
C’è da credere di no: il mondo non si risolve nel contrasto alla ’ndrangheta, tanto più che quest’ultima si è ramificata ovunque e i giornali nazionali ne trattano oltre la saturazione in tutte le parti del Paese. Forse non ce ne siamo quasi accorti, ma le ’ndrine in Calabria iniziano a fare meno notizia, perché ne fanno troppa nell’Italia ricca, che si scopre infiltrata e condizionata come e più del Reggino, della Locride, del Vibonese e del Cirotano.
In Calabria continua a far notizia la Calabria stessa, coi suoi guasti e le sue storture perenni, col suo degrado, che rischia di diventare un marchio antropologico negativo, con la sua società civile ridotta ai minimi termini, anche a livello demografico.
Siamo davvero sicuri che tutto questo sia colpa esclusiva della ’ndrangheta? Che questo degrado abbia un colpevole solo? Che la massomafia sia la sempre parola chiave corretta?
Certo, resta una parola comoda. Un capro espiatorio a cui addossare le proprie sventure, se non si è massoni né mafiosi. Un convitato di pietra da evocare per giustificare i propri fallimenti o da far sedere al tavolo dell’avversario politico di turno.
Uno schema vecchio, che solo in Calabria diventa una novità.
Un modello capace di trascinare comunque le persone in piazza, com’è capitato il 18 gennaio, quando si è tenuta una manifestazione, magari non imponente ma comunque partecipata, davanti alla Procura di Catanzaro. Un’occasione per tanti di avere il proprio quarto d’ora di gloria. Ad esempio, per Pino Aprile, che finora non aveva quasi parlato di mafia e ora, che ha fondato un movimento politico, si è reso conto della “lacuna”. E poi per tanti altri, che non potevano proprio non partecipare, a partire dai maxitestimoni di giustizia e dagli esponenti dell’associazionismo, più o meno “impegnati” nell’antimafia.
A cose fatte e proclami diradati, è doveroso chiedersi: queste manifestazioni servono? Ci rispondiamo: sì e no. Servirebbero senz’altro per chiamarsi fuori, per dire che non si è mafiosi, per far capire che una popolazione civile e onesta c’è.
Non servono per altre cose, perché ininfluenti. Di sicuro sono ininfluenti a livello giudiziario com’è giusto che sia, dato che la giustizia ha proprie regole che non contemplano il voto (e dato che i Tribunali popolari non dovrebbero più piacere a nessuno).
Ma le manifestazioni pro-magistrati potrebbero persino diventare controproducenti, quasi a riprova che le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni.
Molti calabresi sono già scesi in piazza dodici anni fa per Luigi de Magistris che, in qualità di sostituto procuratore di Catanzaro, aveva indagato alcune persone finite ora nel mirino di Gratteri e aveva rinverdito l’ipotesi massonica, anch’essa ripresa in Rinascita Scott. Il caso volle che quelle manifestazioni quasi coincidessero con i “vaffa day”, le prime spallate dei grillini al sistema della Seconda Repubblica. Continuiamo: de Magistris, che nel frattempo aveva perso le sue inchieste, divenne l’idolo di parte della stampa, specie quella specializzata in controinformazione (Chiarelettere e il neonato Fatto Quotidiano), e fu costretto a mollare la toga per darsi alla politica. Proprio allora si crearono le prime crepe nel sistema, di cui avrebbero approfittato alla grande i Cinque Stelle.
Per il resto non è cambiato nulla: non il livello di agibilità democratica e civile della Calabria, che ha continuato a perdere colpi su colpi; non la corruzione e il livello di inquinamento criminale che sembrano addirittura essere cresciuti. In compenso, anche in Calabria ha iniziato a farsi spazio una classe dirigente nuova soprattutto in termini anagrafici, ma spesso non migliore di quella che l’ha preceduta.
Per parafrasare Sciascia, i professionisti del giustizialismo imitarono con successo quelli dell’antimafia.
Ora il rischio è peggiore: a differenza di de Magistris (sfortunato e, secondo gli addetti ai lavori, un po’ pasticcione) Gratteri è comunque un magistrato affermato e potente, capace di dar riparo molto di più con la sua ombra mediatica. Anche ai dilettanti dell’antimafia, che sperano di bissare il successo capitato ai loro più abili predecessori, che almeno dovevano misurarsi con una vecchia casta consapevole e attrezzata.
Su Rinascita Scott (e per Gratteri) non c’è da scalmanarsi: occorre solo attendere e vigilare, anche con spirito critico. Da inchieste così grosse ci si debbono aspettare solo tre cose, che non sono proprio bazzecole: chiarezza, giustizia e verità.
Il tifo? Pratichiamolo allo stadio, dove le competenze richieste per valutare gli atleti sono minori di quelle che servono per sostenere (o criticare) l’opera di un magistrato nella sua arena naturale: il Tribunale.
Saverio Paletta
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