The Nothing, la rinascita dei Korn dopo la tragedia
I padrini del nu metal tornano con un album durissimo e commovente, ispirato alla tragica scomparsa della moglie del frontmnan
Tredici canzoni per il loro tredicesimo album. Con questa allusione numerologica forse non intenzionale, i Korn si ripresentano alle platee rock mondiali, a distanza di circa tre anni dal valido The Serenity Of Suffering (2016).
The Nothing, uscito per la Roadrunner alla fine della scorsa estate, è il prodotto di un travaglio creativo ed esistenziale non proprio leggero, tra l’altro segnato dalla tragedia personale del frontman Jonathan Davis (la morte per overdose di Deven, l’ex moglie).
E non è un caso che il titolo dell’album si ispiri a La storia infinita, il bel romanzo di Michael Ende (il Nulla è la dimensione oscura in cui rischia di essere inghiottito il regno di Fantasia).
Ma The Nothing è, a livello sonoro, il tentativo riuscito di conciliare il ritorno al sound delle origini con la fascinazione per l’elettronica e il dubstep emersa nella discografia più recente della band statunitense.
Una doppia sperimentazione, resa efficace da due fattori: l’ottima produzione di Nick Raskulinecz, ispiratore e artefice di arrangiamenti solidi e di sonorità pesanti ma mai eccessive, e la compattezza davvero eccezionale della band, che ormai si è consolidata dal 2007.
Già: Davis, con il suo dolore e le sue visioni estreme, è senz’altro l’artefice principale di quest’album. Ma c’è da dire che il wall of sound sviluppato da James Shaffer e Brian Welch, una delle coppie di chitarristi più affiatate del rock estremo, e la ritmica potente e versatile costituita dal bassista Reginald Arvizu e dal batterista Ray Luzier sono il marchio di fabbrica di uno stile inconfondibile, che nei tardi anni ’90 impostò le coordinate del nu metal e fece da trampolino per la rinascita del rock duro dopo la valanga del grunge.
Il rimando al glorioso passato è palese nelle cornamuse e nei singhiozzi di The End Begins, la breve intro che apre The Nothing con gli stessi suoni coi quali terminava il lontano debut album della band californiana.
Cold riprende le sonorità più dure dei Korn e le proietta nella nuova decade, grazie a un ritmo compatto e vario, su cui Davis alterna con efficacia il suo caratteristico growl alla melodia ariosa ed epica del coro.
Appena accennato l’uso dell’elettronica, che aggiunge spessore e profondità al muro delle chitarre.
Apparentemente più leggera, You’ll Never Find Me combina una linea vocale dall’ispirazione vagamente pop con le sonorità aggressive e una dinamica ritmica varia e pesante. Ottima la parte centrale del brano, in cui Davis molla la melodia e si lancia in un crescendo parossistico.
Potente e cadenzata, The Darkness Is Revealing si regge sul cantato, stavolta più melodico e sinuoso, e sull’alternanza tra i riff tostissimi e le aperture melodiche. Notevole lo stacco hip hop che apre la parte finale del brano, in cui industrial e rapcore si fondono alla perfezione.
Brilla per varietà e forza la seguente Idiosyncrasy, in cui i contrasti tra il refrain orientaleggiante, i bridge in chiave death (con tanto di growl ipercavernoso) e i ritornelli melodici si legano benissimo, senza soluzione di continuità.
La breve e intensa (meno di due minuti) The Seduction Of Indulgence è un interludio dalla suggestiva impostazione industrial, che porta dritto alla struggente Finally Free, piena di suggestioni pop e guizzi ritmici ultradinamici. Notevole l’interpretazione di Davis, che in questo pezzo dà il commiato definitivo all’ex moglie.
Altrettanto intensa Can Your Hear Me è il richiamo più forte al nu metal degli anni ’90, appena arricchito da alcune efficaci inserzioni elettroniche.
Violenta e bizzarra allo stesso tempo, The Ringmaster riesce a combinare in maniera efficace un riffing tendenzialmente death con un andamento shuffle su cui spicca l’interpretazione del frontman, a perfetto agio con una partitura più melodica rispetto al resto dell’album.
Gravity Of Discomfort si regge sul tiro ritmico di Arvizu e Luzier, che si muovono alla grande sulle sonorità minimali e piene di elettronica del refrain. Ottimo il crescendo a metà pezzo in cui Davis gioca bene la carta del rapcore.
L’ottima H@rd3d è forse l’apice compositivo di The Nothing: un perfetto equilibrio tra riff groove metal ed elettronica.
Funerea e plumbea, This Loss è un grido di dolore pesante e sofisticato, in cui il nu metal si combina con alcune efficaci aperture prog (ad esempio, i cori in sei ottavi). Notevole ancora la performance di Davis, che si muove tra urla, parti melodiche e falsetti. Eccezionale il bridge a metà brano, in cui l’interpretazione commovente esplode in un passaggio death urlato a tutto growl.
I titoli di coda sono affidati a Surrender To Failure, una breve outro piena di pathos, in cui la voce del frontman incanta gli ascoltatori su una base minimale piena di elettronica e rumore bianco su una base ritmica spezzettata.
Poi un singhiozzo chiude il pezzo e l’album.
Una prestazione eccezionale per una performance da applausi.
The Nothing è un gran ritorno che dimostra quanto abbiano ancora da dire sia i Korn sia la scena (e la poetica) nu metal di cui il quintetto americano è stato l’iniziatore.
I Korn sono vivi e lottano con noi, sebbene a prezzo di qualche tragedia probabilmente non superata. E questo basta.
Per saperne di più:
Il sito web ufficiale dei Korn
Da ascoltare (e da vedere):
49,837 total views, 10 views today
Comments