Da una musica all’altra, ascesa e declino dei generi nei ricordi di un radiofonico
Come la radio cambiava la vita e stimolava la crescita culturale. I ricordi di quarant’anni e rotti di note vie etere, al termine dei quali apprendiamo una verità: non è vero che la musica è declinata progressivamente, perché ogni decade ha avuto i suoi campioni. Il rischio vero c’è oggi, a causa dell’omologazione indotta dalla rete…
Viviamo immersi nella quotidianità più stretta. Ma sono soprattutto i colpevoli d’ignoranza, senza radici culturali o base alcuna che considerano l’oggi il tutto.
Anche chi si orienta al passato con nostalgia o al futuro con desiderio parte dall’oggi. Tuttavia, per parlare seriamente di musica bisogna allontanarsi da questo presupposto.
Se guardassimo invece con una prospettiva di lungo periodo quello che accade sotto il profilo sociale, politico e culturale, che sono fattori inseparabili dal discorso filosofico-musicale, potremmo fare valutazioni più serie e centrate: se la musica è lo specchio della società in cui si colloca, ne consegue che noi pensiamo quello che ascoltiamo e siamo quello che suoniamo.
In genere analizziamo la nostra vita come parametro per giudicare la musica, il che ci porta inevitabilmente alla nostalgia (canaglia per definizione), al ricordo di una volta e dei bei tempi andati. Ma noi non siamo il paradigma, se non per noi stessi.
La contemporaneità musicale non ce la siamo inventata, piuttosto ne siamo i padroni pro tempore …
Esistono però dei riferimenti che ci possono venire in soccorso. Per cominciare, si potrebbe analizzare la musica contemporanea sotto il profilo sociale oltre che musicale partendo da un riferimento certo: la nascita delle stazioni radiofoniche private.
Il periodo musicale più prolifico, è stato senza dubbio quello tra il 1976 e il 1979, in cui avvenne la diffusione capillare delle radio. In mancanza di una seria regolamentazione radio-televisiva, ogni quartiere aveva la sua piccola stazione pirata e prima che lo Stato definisse la demarcazione tra libertà di espressione e anarchia, imparammo a conoscere la discografia globale dell’ultimo decennio, tutta insieme.
Nel 76 la Standa, il celebre grande magazzino dell’epoca, esponeva sui banconi per la prima volta Roadhouse Blues dei Doors (supehit del ’70 in ristampa), le radio trasmettevano il Tuca Tuca della Carrà e i Creedence Clearwater Revival (già in pensione da qualche anno), la ristampa di Immagine di Lennon (del ’71) e gli Eagles, che nel ’79, in Italia, lanciarono contemporaneamente Desperado (’73), Hotel California (’77) e The Long Run.
Si suonavano Umberto Balsamo e i Deep Purple, Donna Summer, Area, Tozzi e Luigi Tenco, Chic, Bowie, Jannacci e Venditti (ma nessuno, invece, temendo per la propria incolumità, accostò Orietta Berti e Teppisti dei Sogni ai Led Zeppelin…) Potrei andare avanti ore, ma da quel che ho detto, avrete sicuramente compreso con quale entusiasmo figli delle stelle, reazionari cervellotici o semplici innamorati fossero incollati alla radio.
Tuttavia, da giovane radiofonico, ogni qualvolta incontravo un esperto di musica più grande di me sentivo ripetere: ehhh la musica è finita con gli anni ’70.
Sarà, ma poi arrivarono i Clash, i Police e gli U2 e in Italia esplosero Dalla, Battiato e Conte. Mica cotiche …
Gli anni ’80furono il periodo che, in assoluto, avrebbe influenzato ogni genere musicale a venire, musica contemporanea compresa. L’umanità non sarebbe più stata così canterina ed originale.
C’era chi cantava contro le politiche della Thatcher o la guerra fredda di Reagan e Gorbaciov, chi protestava contro il muro di Berlino, ma anche chi semplicemente voleva andare alla playa (oh oh ohhhh ) Il perché negli anni ’80 sono state incise le più belle canzoni di sempre è riconducibile all’enorme vendita discografica, alla diffusione dei riproduttori (dischi e cassette) e all’oggettiva limitazione della pirateria, a parte qualche nastroteca da strapazzo che sicuramente non avrebbe intaccato le vendite .
Naturalmente le case discografiche, così come i produttori, consapevoli del business, potevano permettersi operazioni costosissime: altrimenti, non sarebbe mai stata pubblicata un’opera ciclopica come Breakfast in America dei Supertramp (tre anni di preparazione) o Thriller di Michael Jackson che impegnò oltre cinquanta persone tra tecnici e musicisti per due anni di preparazione vendendo 29.000.000 di copie.
Sono sempre stato mod, dunque amavo gli Style Council o gli Everything But The Girl, ma devo ricordare il pensiero rocker di Cult, U2, Metallica, Cure, Sonic Youth, Guns’n’Roses, Smiths, New Order, ecc.
Gli anni ’80 trascorsero molto lentamente e alla fine, anche in questo caso, qualche matusalemme Iettatore riteneva che la musica fosse finita …
Sarà, ma poi arrivarono i Nirvana, i Rem, Shania Twain, gli Oasis e i Verve …
Ancora mica cotiche.
La grande novità degli anni ’90 fu l’introduzione dell’elettronica musicale su scala industriale, il che significò la nascita di migliaia di studi di registrazione (home) sparsi in tutto il mondo.
La musica digitale, aprì incontrovertibilmente nuovi orizzonti, generando suoni fino a quel momento sconosciuti anche a basso costo, oltre a permettere capacità di espressione ai non musicisti.
Tuttavia, la condizione assolutamente embrionale dell’audio digitale determinò uno scadimento a volte esasperante di tutto il comparto. Si resta quasi increduli a comparare l’ottima qualità di una registrazione dei Bachman Turner Overdrive del ’73 e l’accozzaglia di suoni elettronici di uno dei capisaldi tamar di sempre: Barbie Girl degli Aqua. Peggio ancora Gabry Ponte “che avrebbero dovuto arrestare buttando le chiavi della cella nell’oceano”.
La libertà d’espressione dovrebbe avere il limite del buon gusto nella consapevolezza che, per fare musica, sono indispensabili coscienza artistica e preparazione tecnico musicale. Infatti, tolte le eccellenze di tutto rispetto, la musica leggera della seconda parte degli anni ’90 si abbassò fortemente nel livello medio determinando una riduzione della richiesta.
La musica è definitivamente finita negli anni ’90, gufava il solito iettatore …
Sarà, ma col nuovo millennio le cose iniziarono a cambiare, arrivarono Red Hot Chili Peppers e Hooverphonic, Evanescence e Destiny’s Child, e anche i più elettronici Daft Punk o Kylie Minogue avevano una dignità, mica le solite cotiche.
Purtroppo, i cd duplicabili e il file sharing determinarono una brusca frenata delle vendite discografiche, ed in tempo di crisi, si sa, l’unica arma di contrasto è la qualità.
Le case discografiche pertanto, limitarono fortemente le produzioni casuali: non si pubblicava più ogni cosa di ogni genere, specie in Italia.
Sotto il profilo tecnico, invece, qualcuno pensò bene di diminuire la gamma dinamica delle registrazioni riducendone la “risposta in frequenza” e giocando sulle “armoniche” dunque migliorando efficacemente la qualità media dell’audio, specie in cuffia o nei piccoli riproduttori. Ormai il digitale aveva superato l’analogico.
La musica degli anni 2000, oltre che bella si sentiva anche bene, forse come non sarebbe più accaduto. Ma di questo mi occuperò in seguito.
Ciò che, tuttavia, è stato messo in discussione negli ultimi anni, è il concetto del bello che non può essere soggettivo, né tanto meno determinato da una improbabile giuria televisiva. Il bello è bello, rispetta canoni e parametri, altrimenti non esisterebbero le facoltà di Architettura, l’Accademia delle belle arti, le scuole di Arte drammatica, i Conservatori musicali e tutto quel pensiero filosofico della coscienza artistica sommata allo studio.
Oggi, che il livello medio è sensibilmente migliorato mancano però le eccellenze e ci sono giovani talentuosi. Ma resta una domanda: cosa spinge le masse ad ascoltare Fedez & co, che cosa rappresenta la musica Trap distorta nelle voci? Non si tratta di una moda bislacca come la breakdance di un tempo. Né è uno stile, come lo ska, la new wve, rockabilly, punk, dark o, peggio, paninari che sarebbero durati una stagione appena. E comunque c’erano musicisti di tutto rispetto Questi, invece, né suonano, né cantano.
La musica è davvero finita?
L’antipatico iettatore che gufa, oggi sono io.
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