Doctor Sleep, torna al cinema la “luccicanza” di Stephen King
Il nuovo film di Mike Flanagan riallaccia i fili della narrazione di Shining, il classico kubrickiano che fece conoscere il genio del più importante scrittore horror contemporaneo
Un’eredità pesante grava sull’ultima pellicola di Mike Flanagan.
Doctor Sleep nasce da due genitori importanti: un pezzo di storia della letteratura contemporanea e uno della cinematografia.
Il primo è l’omonimo libro scritto nel 1977 da Stephen King. Il secondo è Shining (1980), il classico di Stanley Kubrick, anch’esso tratto da un bestseller di King.
Flanagan non è certo nuovo all’horror è, in particolare, ai soggetti tratti dal Re della paura letteraria. Due anni fa, infatti, mette la firma alla pellicola basata su un altro romanzo di King, Il gioco di Gerald.
Com’è noto, Doctor Sleep è il seguito letterario di Shining. Quindi, trasporlo su pellicola significa realizzare un sequel a dir poco impegnativo, data la statura cinematografica del masterpiece kubrickiano.
Flanagan affronta la sfiga con intelligenza: innanzitutto, valorizza gli elementi che differenziano la saga cinematografica da quella letteraria, per esempio il numero della camera, dell’Overlook Hotel scenario del suicidio della donna che bacia Jack Torrance. Questo dettaglio non è stato quasi analizzato sul grande schermo ma emerge nell’omonima miniserie girata nel 1997 da Mick Garris.
King aveva nominato la Stanza 217, mentre nella versione di Kubrick diventa la Camera 237, di gran lunga divenuta più popolare ai più. E tale resta nel sequel.
Ma veniamo alla ciccia: seppur inframmezzata da sequenze rallentate e a volte un po’ piatte, la trama viene snocciolata in un modo più che approfondito ed emergono altri dettagli dati per presupposti nell’illustre predecessore: lo spettatore ha una spiegazione più lucida del concetto di luccicanza (The Shining, appunto) e il potere che ne deriva.
Viene chiarita inoltre la figura di Dick Hallorann e, soprattutto, il supporto che ha dato e continua a dare a Danny Doc Torrance.
Si percepisce meglio il ruolo e il centro nevralgico dell’Overlook Hotel, situato idealmente tra le montagne del Colorado. Questi risultati possono anche essere attribuiti alla durata più lunga, rispetto al predecessore (119 minuti nella versione italiana, 144 minuti in quella americana). Doctor Sleep dura poco più di 150 minuti, quel che serve a dipanare un soggetto così complesso e affascinante.
Lo spettatore amante del vintage anni ’80 (di cui fa parte l’opera kubrickiana), è appagato dalle potenti rievocazioni che rendono Shining unico e quasi mitologico. Tornano le visioni dell’Overlook Hotel, l’inquietante scenario del classico. E che dire delle riapparizione dei personaggi chiave? Ci si riferisce al menzionato Dick Hallorann, a Jack e Wendy Torrance. E alla donna suicida della Camera 237/217 e alle gemelle.
Danny Doc Torrance, interpretato dal grande Ewan McGregor, diventa lo specchio del padre. Anche lui ha problemi legati all’alcool, ma la luccicanza lo aiuta e lo avvicina alla piccola Abra Stone, interpretata da Kyliegh Curran.
Le inquietudini sono presenti nella sua mente ma il suo spirito risulta più forte e più combattivo.
Figura emblematica è Rose Cilindro, interpretata da Rebecca Ferguson: nemesi di Doc, ingloba tutto ciò che può essere assimilato ai personaggi dell’Hotel distrutto. Ha bisogno della luccicanza per sopravvivere e ne va alla ricerca da più di 5000 anni cercando anche membri da aggiungere al suo gruppo, il Vero Nodo.
La pellicola di Flanagan apre un vaso di Pandora.
La luccicanza, contrapposta alla sete di chi non vuole distanziarsi dal mondo reale per paura del mondo dei non viventi che li attende, non era mai scomparsa. Così come non era sparito del tutto il potere dell’Overlook Hotel. Un binomio che diventa metafora dell’eterna lotta tra bene e male. Un apologo troppo semplice?
Proprio no: il fine dell’horror è la catarsi, l’esorcismo dalle paure quotidiane. L’invito a relativizzare i problemi e a pesare la realtà con un po’ di autoironia.
Obiettivi, c’è da dire, che Doctor Sleep centra alla grande.
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