Concorso Dsga, a che gioco giocano i sindacati?
Mentre i candidati che hanno superato i quiz si preparano agli scritti, le sigle più rappresentative insistono a voler stabilizzare nel ruolo gli impiegati che hanno svolto le mansioni dirigenziali senza averne i titoli e, possibilmente, con un concorso “su misura”
Una mattanza: per partecipare al concorso per Dsga (Direttore dei servizi generali ed amministrativi) delle scuole, hanno fatto domanda in più di 102mila, su una disponibilità di 2.004 posti messi a bando lo scorso inverno.
Circa la metà dei candidati non si è presentata ai quiz preselettivi svoltisi a giugno e, dell’altra metà, è stata ammessa alle prove successive una quantità esigua: circa il triplo dei posti messi a bando in ogni singola regione.
Un esempio giusto per far capire: nella piccola Basilicata, in cui ci sono 11 posti disponibili, hanno fatto domanda 1.331 candidati, se ne sono presentati molti meno e sono passati i primi 33 classificati al quiz.
Ciononostante, il sindacato continua a far rumore.
Già: a venti anni dall’istituzione dell’autonomia scolastica, di cui il Dsga è una figura chiave, ci sono molti posti scoperti, superiori per numero a quelli messi a bando.
Quanti sono? Difficile rispondere, perché le fonti sindacali sono tutt’altro che chiare: secondo la stima più ottimistica sarebbero circa 3mila, ma dal caos comunicativo si intuisce che potrebbero essere di più.
Domanda più importante: finora, come si è fatto a coprire questi posti vacanti? La risposta la si capisce leggendo non troppo tra le righe della campagna martellante di Flc-Cgil: pescando nel personale amministrativo delle scuole. Sono i facenti funzione, nominati con incarichi annuali reiterati più e più volte.
La pratica ha battuto la grammatica? Sì e no: piuttosto, i presidi hanno fatto a lungo di necessità virtù.
Il Dsga non è proprio una figura leggera: è un superfunzionario dotato di poteri e responsabilità enormi. Tant’è che la legge e i contratti collettivi richiedono requisiti d’accesso forti: la vecchia laurea in Giurisprudenza o i suoi equivalenti nella versione 3+2, la laurea in Economia e commercio o quella in Scienze politiche o amministrative.
Requisiti che non sono richiesti al resto del personale amministrativo delle scuole. Cioè ai coordinatori amministrativi, per cui bastano le lauree triennali nelle stesse materie previste per i Dsga, e gli assistenti amministrativi, per i quali è sufficiente il diploma di maturità, senza ulteriori distinzioni.
In alcuni casi è andata bene, perché magari i Dsga facenti funzione avevano anche la laurea piena.
In altri casi no. E parrebbero non pochi. Ed ecco perché il sindacato continua a far casino.
Mentre le prove scritte del concorso killer si avvicinano, la Flai-Cgil e lo Snals hanno tentato di proseguire col nuovo capo del Miur, il grillino Lorenzo Fioramonti, l’intesa stipulata ad aprile con l’ex ministro Marco Bussetti.
L’intesa prevede vari punti, tra cui il no alla regionalizzazione delle scuole. Affogate tra varie questioni di principio, ci sono due questioni relative ai Dsga facenti funzione. La prima riguarda il loro reclutamento: finché il concorso non terminerà, tutti i posti saranno scoperti almeno fino al 31 agosto e, si apprende ancora, molte scuole sono a rischio di interruzione di pubblico servizio.
Ma un dettaglio è rivelatore sulle intenzioni reali del sindacato. Si legge, infatti, in una nota della Flc-Cgil:
«Con l’intesa del 12 settembre 2019 al Miur per la copertura provvisoria dei posti vacanti di Dsga per l’anno scolastico corrente si è scongiurato il pericolo che gli attuali facente funzione di Dsga venissero addirittura scavalcati nell’assegnazione degli incarichi, nell’ambito delle cosiddette Mad (messe a disposizione), da parte di coloro che sono in possesso del titolo di studio per l’accesso al ruolo di Direttore dei servizi».
Meglio tradurre un po’: i presidi possono conferire l’incarico di Dsga facente funzione a chi, laureato nelle materie previste dalla legge e confermate dai contratti collettivi, si mette a disposizione. In altre parole, parrebbe che il sindacato prediliga i facenti funzione privi di titoli a quelli che, invece, i titoli li hanno. Il tutto aggirando la legge, che ha previsto le lauree specialistiche, i contratti collettivi, che hanno confermato questa previsione e, persino il recente bando di concorso, che l’ha ribadita.
E val la pena soffermarsi su un altro aspetto, che non è proprio un dettaglio: con questo atteggiamento, il sindacato conferma un’attitudine divisiva, perché discrimina tra chi ha già un lavoro e chi, invece, bussa per entrare nel mercato. Infatti, i Dsga facenti funzione tutelati dai sindacati sono quelli selezionati all’interno del personale scolastico. Il che crea un’ulteriore serie di problemi, che riguardano pure il concorso ancora in svolgimento.
Si apprende ancora da un’altra nota della Flai-Cgil del 24 luglio (leggi qui il testo integrale):
«È al pari necessario mettere a punto analoghe misure per la valorizzazione del personale Ata e per il passaggio di profilo degli assistenti amministrativi facenti funzione di Dsga».
Traduciamo ancora: il sindacato con l’espressione passaggio di profilo sottintende quasi una stabilizzazione. Il quasi si riferisce al fatto che gli assistenti amministrativi impiegati come Dsga non finirebbero in mezzo a una strada ma riprenderebbero a fare quello per cui sono stati assunti in origine.
E c’è da dire che il bando del 2019 tutela già non poco i facenti funzione. Innanzitutto, con la riserva di posti a loro favore. A parità di merito con chi partecipa al concorso solo sulla base dei titoli, i precari dotati di titoli godono di una quota non proprio piccola: il 30%. Ogni dieci posti assegnati, tre vanno a loro.
Inoltre non pochi quiz, sono stati formulati sulla base di nozioni pratiche, quindi conoscibili più da chi ha lavorato a livello pratico che da chi ha studiato e basta.
Non finisce qui: pure la seconda prova scritta è di carattere pratico, e risponde quindi più alle esigenze di chi ha operato concretamente che di chi ha studiato e basta.
Tra riserve e prove a favore ce n’è quanto basta per stabilizzare i facenti funzione che hanno non solo la pratica ma anche la grammatica, cioè titoli di accesso e competenze teoriche.
Il massimo della tutela possibile nel caso delle progressioni verticali come questa.
A proposito di progressioni verticali: la Corte costituzionale ha confermato di recente e in maniera inequivocabile l’articolo 97 della Carta fondamentale, che impone l’obbligo del concorso per l’assunzione negli uffici pubblici.
Un passaggio della sentenza della Consulta numero 35 del 2015 sembra cucito sull’esatta misura di questa vicenda. Leggere per credere:
«Anche il passaggio ad una fascia funzionale superiore comporta l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni più elevate ed è soggetto, pertanto, quale figura di reclutamento, alla regola del pubblico concorso».
Insomma, non si possono usare i concorsi interni a mo’ di ascensore, come sin troppo spesso si è fatto nelle pubbliche amministrazioni.
Ed ecco perché non si capisce la fondatezza di un’altra richiesta del sindacato: un concorso Dsga riservato ai facente funzione.
Questa pretesa solleva una domanda: quanti sono davvero i posti da coprire? Se sono 3mila in tutto, è facile rispondere che 2.004 verrebbero coperti dai vincitori del concorso. Resterebbero fuori 996. Ma il bando prevede, a parziale copertura degli altri posti, una riserva del 20% tra gli idonei. E cioè, circa altri 400 potenziali posti coperti con persone pescate dalla graduatoria che abbiano ottenuto almeno la sufficienza.
Quindi, si scenderebbe a circa 500.
Quali requisiti sarebbero richiesti a chi volesse partecipare a questo fantomatico concorso bis? E, soprattutto, come si potrebbe formulare il relativo bando senza violare qualche normativa o la stessa Costituzione? Mistero. E quanto costerebbe un ulteriore concorso, quando si sono già spesi quattrini pubblici per quello ancora in corso?
Tutto dà l’idea di una manovra escogitata per favorire i propri tesserati a danno dei criteri di imparzialità e buon andamento (è chiaro che a questo punto la legalità sembra davvero un optional) sulla base dei quali dovrebbe invece funzionare la pa.
Insomma, l’ennesimo pasticcio italiano, per cui la legge si applica agli estranei e si interpreta (o piega) per i propri. E la Costituzione, che tutti si mettono in bocca a sproposito? Giusto se serve…
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