Caso Villella, parla il discendente: i no Lombroso perderanno la faccia a rate
Il pronipote del pastore di Motta Santa Lucia: basta speculazioni sul mio antenato
«La sentenza d’Appello ha chiarito che né il Comune di Motta Santa Lucia né, a maggior ragione, il Comitato “no Lombroso” hanno titolo a contendere». E l’annunciato ricorso in Cassazione? «Non ho letto gli atti dei loro legali, ma mi sembra solo un escamotage per prendere tempo: anziché perdere la faccia in una sola soluzione, preferiscono perderla a rate».
Pietro Esposito, classe’58, calabrese d’origine e romano d’adozione commenta in maniera ironica e pacata l’annuncio, fatto dal Comitato tecnico scientifico “no Lombroso” e dal Comune di Motta Santa Lucia, di voler ricorrere in Cassazione contro la sentenza con cui la scorsa primavera la Corte d’Appello di Catanzaro ha riconosciuto infondata la richiesta di restituzione dei resti umani di Giuseppe Villella, avanzata, appunto, dal Comune di Motta Santa Lucia e dal Comitato “no Lombroso”.
Esposito, è doveroso ribadirlo, ha un ruolo importante in questa vicenda, che è stata la prima attività eclatante a livello istituzionale dei gruppi di ispirazione neoborbonica: è un discendente di Villella e, in virtù di tale ruolo, è intervenuto nel processo d’Appello.
Loro provano a impugnare comunque. Ma lei è contento della sentenza di Catanzaro?
Certo, perché i giudici hanno riconosciuto appieno la qualità di eredi di mia madre e mia. E questo già fa giustizia di tante sciocchezze e bugie circolate per anni.
Magari sono circolate perché qualcuno le ha messe in giro.
Non voglio entrare nel merito e, anzi, penso che per ogni cosa c’è il suo tempo. Posso dire di essermi divertito un mondo a leggere il modo in cui hanno tentato di legittimare le loro ragioni, spesso in maniera contraddittoria, e a verificare come i magistrati alla fine abbiano respinto in blocco tutte le loro pretese.
Facciamo un esempio di queste bugie.
Ad esempio, hanno detto che Villella era un brigante. Forse all’inizio questa ipotesi era plausibile. Però hanno continuato a ripetere la stessa storiella anche dopo che una studiosa, Maria Teresa Milicia, ha chiarito che il mio antenato non era un brigante ma un pastore arrestato per reati comuni. Ancora adesso circola in rete questa fantasia e nessuno di loro ha voluto chiarire come stessero le cose.
Quindi Villella non fu un brigante incarcerato, come si è creduto per anni in seguito alla legge Pica (la normativa straordinaria creata per reprimere il brigantaggio, ndr).
Assolutamente no. Ed è il caso che anche la stampa ne prenda atto e corregga il tiro.
Comunque il cranio di Villella, conteso dai gruppi neoborbonici, ha ispirato la teoria di Cesare Lombroso.
Lombroso era uno scienziato della seconda metà dell’Ottocento, che lavorava coi mezzi e le conoscenze ridotti dell’epoca. E d’altronde le sue teorie sono state abbondantemente superate.
Lei come ha reagito quando ha saputo di essere discendente di Villella?
Ne ho preso atto. Come si prende atto della storia. È una vicenda di centocinquant’anni fa, che deve essere giudicata con la serenità che merita la storia.
Eppure lo scrittore Pino Aprile, vicino al Comitato “no Lombroso”, ha commentato la sentenza di Catanzaro in maniera piuttosto pesante: a suo dire i giudici avrebbero certificato la minorità delle popolazioni meridionali.
Ma davvero? Io non leggo Pino Aprile e non ne conosco il pensiero, mi dispiace.
Ma lei si sente leso nella sua dignità di meridionale da questa sentenza?
Sono orgoglioso di essere calabrese, anche se vivo fuori, come lo è mia madre, che abita tuttora a Pedivigliano, a circa quattro chilometri da Motta Santa Lucia. Dunque, perché questa sentenza dovrebbe offendermi? Non mi pare che Lombroso abbia mai affermato, dopo aver esaminato il cranio del mio avo, che noi calabresi fossimo delinquenti nati. Se ho ben capito, lui credette di aver trovato nei resti mortali di Villella la prova che certe tendenze criminali si riflettessero nell’aspetto fisico dei delinquenti. Ora, se le cose stanno così, è stato accidentale che Villella fosse calabrese: poteva essere anche scandinavo, belgradese o della Pennsylvania. Era una questione di cranio e non di razza o di anagrafe.
Morale della favola?
Trovo ridicole certe costruzioni ideologiche sul pensiero di uno scienziato morto più di un secolo fa. E trovo non bello che si continui a speculare sul mio antenato.
(a cura di Saverio Paletta)
Per saperne di più:
Il ricorso in Cassazione dei neoborbonici
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