Caso Riace, a chi fanno gola i suoi migranti?
Da modello di accoglienza per i rifugiati a Comune dalle pratiche dubbie. Dalle stelle alle stalle in meno di un anno. Il 2 settembre ci sarà l’incontro decisivo coi rappresentanti del Ministero dell’Interno. Il sindaco Mimmo Lucano non ne può più: «Provo solo tanta stanchezza». E nel frattempo emerge qualche dubbio: se il sistema di Riace venisse smantellato, circa 350 migranti potrebbero essere dirottati nelle strutture private. Serve altro?
Si è parlato, non a torto, di modello Riace. E, sempre non a torto, la stampa, di recente, ha parlato di conto alla rovescia, con un riferimento palese all’incontro, previsto il 2 settembre, tra i funzionari del Ministero dell’Interno e i rappresentanti dell’amministrazione del piccolo Comune calabrese.
La vicenda è piuttosto nota e non è il caso di tediare i lettori con le due opposte retoriche di cui il borgo reggino e il suo sindaco, Mimmo Lucano, sono stati bersagli: quella umanitaria – a cui hanno fornito un potente megafono pezzi grossi della cultura mondiale del calibro di Wim Wenders – e quella della diffidenza politico-giornalistica, a cui ha dato voce la Lega Nord e, a partire dalla Gazzetta del Sud, un bel po’ di testate moderate, tra cui ha eccelso in virulenza La Verità di Maurizio Belpietro.
Forse ad alcuni non è parso vero poter declassare Riace da modello a sistema, come tale pieno di falle e di magagne. Ma resta un dato, su cui è inevitabile riflettere: com’è stato possibile per il piccolo centro calabrese passare dalle stelle dei complimenti internazionali e delle menzioni illustri, alle stalle dei sospetti e delle illazioni in meno di un anno?
Capiamoci: Lucano, militante di sinistra senza tessera, non è quel che si dice un campione di diplomazia. E, probabilmente, non è amatissimo neppure nei suoi ambienti di riferimento. Ma basta questo a distruggere un modello di accoglienza che, finora, ha funzionato meglio di tutto ciò che si è tentato in questo settore in Italia?
Le accuse del Ministero sono essenzialmente di natura contabile: il sistema di accoglienza diffuso, in base al quale Riace è diventato modello, costerebbe troppo e avrebbe comportato non poche irregolarità. Per questo dal Viminale avrebbero bloccato i fondi.
Sul tappeto anche la questione delle prestazioni occasionali legate alla gestione dei migranti: alcune sarebbero state troppo vistose non solo per l’importo (si parla di parcelle di 5mila euro) ma anche per i destinatari (familiari di esponenti dell’amministrazione riacese).
Lucano, finito sotto pressione, ha minacciato di dimettersi. E tuttora non è entusiasta della situazione: «Sono solo molto stanco: dopo venti anni di attività subire queste cose non è bello». Non il massimo dell’ottimismo.
Però la stanchezza non vuol dire neppure resa: «Noi non abbiamo commesso illegalità: abbiamo creato un sistema alternativo, grazie al quale abbiamo praticato un’accoglienza civile e abbiamo rivitalizzato un paese sperduto e isolato».
Già: prima delle amministrazioni Lucano, Riace era noto solo perché lì vicino avevano ripescato i bronzi. Dopo, è diventato un esempio di ipotesi multietnica.
E tra poco? «Se il modello Riace dovesse finire, io mi dimetterò e credo che Riace finirà col modello». Cioè, macchine indietro a venti anni fa o quasi.
Ma, al netto di ogni possibile dietrologia, resta un dato: in venti anni di accoglienza alternativa, a Riace non si è verificato nessun conflitto sociale, tra migranti o tra questi e gli abitanti del luogo. In venti anni non c’è stata nessuna di quelle ribellioni, bruttissime, verificatesi altrove, anche in Calabria (gli esempi di Aprigliano e di Crotone sono più che eloquenti). In venti anni non c’è stato nessuno scandalo, legato ad episodi di sfruttamento, maltrattamenti e denutrizione. In vent’anni non si è neppure parlato di infiltrazioni mafiose. E deve far pensare il fatto che né Riace né Lucano siano menzionati in quel prontuario delle storture legate all’accoglienza dei rifugiati che è Profugopoli di Mario Giordano.
Tutto ciò non farà di Riace un modello, d’accordo. Ma da qui a puntare il dito ne corre.
Quanti sono i migranti che risiedono, a vario titolo, nel piccolo centro della Locride?
Circa 600, su una popolazione di 1.500 abitanti. Non pochi, anzi decisamente molti in un Paese come il nostro, dove la soglia di integrabilità è piuttosto bassa.
Di questi, circa un centinaio, lavora stabilmente ed è in grado – udite, udite! – di pagare le tasse. «Che però da noi sono sensibilmente basse», chiosa Lucano.
Se il Ministero dovesse tagliare i fondi e il modello dovesse finire, almeno 350 rifugiati, tra cui non pochi minori non accompagnati, sarebbero smistati nelle strutture private.
Ecco, basta questo oppure, a voler pensare male, si può affermare che i migranti di Riace tornerebbero utili a qualcuno? Già: l’emergenza migranti è di quelle che continuano ad emergere e, a dispetto degli scandali e dell’annunciata maggior vigilanza del Ministero, le strutture private continuano a spuntare come i funghi.
Non serve aggiungere altro, ma solo essere ottimisti e sperare che i riacesi adottivi trovino altrove un’accoglienza altrettanto buona.
Resta solo un dubbio: le gestioni familistiche.
Sul punto Mimmo Lucano si spazientisce un po’: «Né mia moglie né i miei figli vivono a Riace: come glieli avrei dati questi incarichi? Via fax o con la telepatia?».
Ne sapremo di più il 2 settembre. Di altro, se le cose dovessero andar male all’amministrazione Lucano, sapremo più tardi. O forse mai, a meno che la stampa non continui a indagare come ha fatto finora…
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