Ac/Dc e non solo, i Treatment e l’hard degli anni d’oro
La band britannica omaggia i big australiani e il southern degli ZZ Top in Power Crazy, il loro ultimo effervescente album
Come essere orgogliosamente derivativi e vivere felici. Ovvero: ci sono fan e fan. Ci sono quelli che riprendono le lezioni dei maestri ma le fanno loro. Eppoi ci sono quelli che arrivano quasi a clonare le fonti di ispirazioni.
È il caso dei britannici The Treatment, che da undici anni omaggiano gli Ac/Dc e, più in generale, l’hard rock stradaiolo e quadrato di cui la band australiana è stata capofila e punta di diamante con un rigore filologico raro persino in una coverband.
Ma tant’è: il quintetto di Cambridge non ci fa, ma c’è e, soprattutto, fa bene quel che fa: lo suona con passione e perizia rare.
E non è un caso che, a dispetto dei continui cambi di line up, i The Treatment siano riusciti a mantenere inalterata la formula che li ha resi celebri in patria e un po’ in giro per l’Europa e che ripropongono nell’ultimo Power Crazy, uscito di recente per la napoletana Frontiers, con sonorità più brillanti e griffate, degne dei migliori anni ’80. Ma il songwriting è piuttosto settantiano, grazie a un approccio semplice, diretto e artatamente ingenuo, basato sui riff secchi e incisivi dei chitarristi (i fratelli Tagore e Tao Grey), su una sezione ritmica potente e precisa, costituita dal bassista Rick Newman e dal batterista Dhani Mansworth e sul cantato ruvido di Tom Rampton, entrato in formazione nel 2017 e considerato da molti una replica ben riuscita di Bon Scott.
La ricetta musicale dei The Treatment emerge sin dall’open track Let’s Get Dirty, un hard rock venato di blues, in cui la lezione dei canguri è diluita in un refrain più melodico non privo di alcune finezze chitarristiche (i passaggi in tapping nell’assolo).
Rising Power è più tirata e spedita senza sacrificare il gusto per la melodia avvincente e per i cori ruffiani.
Con On The Money il quintetto vira sul rock blues pieno di venature southern e di un groove irresistibile.
Bite Back è l’osanna agli Ac/Dc più profondi, appena stemperato dal coretto un po’ più melodico rispetto allo standard degli australiani.
Luck Of The Draw è invece uno slow blues verniciato di hard con deliziose inserzioni vaudeville.
In Hang Them High rifanno capolino gli Ac/Dc rivisti e (s)corretti con alcuni riferimenti agli ZZ Top prima maniera.
Scar With Her Name è un hard più scanzonata dal grande respiro melodico racchiuso in efficaci sonorità grezze.
In King Of The City, invece, la band si avvicina all’heavy metal più canonico, senza tuttavia appesantire troppo il suono.
La lenta e massiccia Waiting For The Call è un’immersione efficace e ben interpretata in sonorità anni ’70 esaltate dai fraseggi bluesy delle chitarre.
Ancora Ac/Dc e ZZ Top nella ruvida e spedita Layng It Down, che si tiene in perfetto bilico tra potenza e melodia.
Squadrata e massiccia, invece, The Fighting Song, che si caratterizza per un bel coro da stadio di gran presa.
Chiude l’album la settantiana Falling Down, che mescola di nuovo (e con la consueta efficacia) hard e southern.
Come in tutte le produzioni Frontiers, anche in Power Crazy non mancano i bonus, che nell’edizione giapponese dell’album sono due: le versioni acustiche di Bite Back e Let’s Get Dirty, interpretate entrambe con un piglio country blues che non guasta affatto.
Power Crazy non è certamente un album originale, come hanno sottolineato in tanti non senza un pizzico di snobistica acidità. Ma è comunque un gran bel prodotto, carico di suoni ed emozioni genuini, che vale la pena ascoltare per ricordarci che il rock, alla fine dei conti, è soprattutto questo.
E finché band come i The Treatment godono di buona salute (e, soprattutto, di spazi di mercato) non c’è da preoccuparsi, perché, a dispetto di certa critica radical chic, significa che il rock, quello vero, è vivo e lotta con noi.
Da ascoltare (e da vedere):
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