Unical, sfida all’Ok Corral sul filo di lana. Anzi, di seta
Un distacco minimo separa Nicola Leone e Raffaele Perrelli nella competizione per il rettorato. Quest’ultimo, latinista di lungo corso, è l’elemento di novità: per la prima volta le Scienze Umane potrebbero frenare l’egemonia del settore tecnico-scientifico. Ma la strada resterebbe comunque difficile e tutta in salita
Più che una competizione, tra l’altro fisiologica in un Ateneo che comincia ad avere una sua storia, sembra la lotta tra due visioni del mondo: quella tecnocratica, rappresentata dall’informatico Nicola Leone, e quella umanistica, incarnata dal latinista Raffaele Perrelli.
Con la prossima elezione del nuovo rettore, l’Università della Calabria si appresta, in un modo o nell’altro a voltare pagina.
Non è colpa di nessuno (non in maniera particolare, almeno), ma l’Ateneo calabrese denuncia una crisi non da sottovalutare, che emerge soprattutto dal calo delle iscrizioni: dai circa 34mila studenti del 2013, anno della elezione del geologo Gino Mirocle Crisci, agli attuali poco più che 25mila, un’emorragia appena tamponata dal trend leggermente positivo dell’ultimo anno accademico.
Avrà pesato il feroce calo demografico, che colpisce anche la Calabria.
Avrà pesato, inoltre, la nuova emigrazione, per cui chi può ha ripreso a iscriversi fuori regione, magari con la convinzione che se proprio si deve emigrare è meglio farlo a 18 anni che a 24. E questo dato è confermato dal calo delle iscrizioni ai corsi specialistici (le cosiddette biennali), che in molti preferiscono seguire in altre sedi.
Avrà pesato, infine, la concorrenza delle nuove Università, spuntate nell’ultimo ventennio come funghi specie al Sud, e delle Università telematiche, capaci di competere in maniera insidiosa con i tradizionali insegnamenti in Aula.
Un ultimo dato, forse è rivelatore del livello della crisi: i corsi di laurea che hanno tenuto botta o, addirittura, sono cresciuti nei numeri risultano quelli giuridici.
Il che, in soldoni, significa che il modello tecnocratico che, mezzo secolo fa, ispirò l’Unical non tira più come una volta.
Difficile dire se Leone sia davvero la continuità col passato, sebbene occorre riconoscere che abbia fatto di tutto in questa campagna elettorale per accreditare un’immagine di novità e lanciare tesi più moderne.
Tuttavia, la novità vera è la candidatura di Perrelli, a dispetto del suo stile enfatico su cui pesa anche non poca retorica progressista (ad esempio il riferimento a Obama, uscito fuori durante una recente conferenza stampa). Ma al netto di questo, resta palese un dato: un’eventuale vittoria di Perrelli implicherebbe una crescita, forte e inedita, del settore delle scienze umane sul settore tecnico-scientifico finora egemone.
Intendiamoci, la mission originaria dell’Unical è di tipo tecnocratico, come ribadì alcuni anni fa Enrico Letta durante una visita all’Ateneo di Arcavacata. L’istituzione di un’Università in Calabria, la prima in assoluto, era funzionale, secondo il disegno di Beniamino Andreatta, allo sviluppo industriale del territorio. Per cui, niente facoltà per colletti bianchi (medici e avvocati), un forte investimento su alcuni settori (scienze applicate, ingegneria in particolare) e un ruolo sostanzialmente ancillare dei saperi umani.
Non è colpa proprio di nessuno (o, ripetiamo, non in particolare) se questo sistema non ha retto, perché il polo industriale calabrese, a cui l’Unical avrebbe dovuto fabbricare in loco menti pensanti e classi dirigenti, non è mai decollato nonostante i massicci investimenti pubblici; se le tute blu, per parafrasare il mantra del vecchio Giacomo Mancini, non si sono rivelate quel grande antidoto alle ’ndrine; se, in ultima battuta, le eccellenze prodotte dall’Unical nel settore tecnico-scientifico hanno inaugurato il secondo filone dell’emigrazione: quella 2.0, costituita da talenti che a casa sarebbero stati al minimo condannati alla frustrazione e al perenne sottomansionamento o, alla peggio, alla disoccupazione tout court.
Invece è accaduto altro: i beni storico-culturali, archeologici, paesaggistici e monumentali, versano in perenne abbandono (o sottoutilizzo) e forse non è un caso che non pochi scavi importanti siano eseguiti da istituzioni non calabresi.
E c’è di peggio: un calo di quella coscienza pubblica, di quella cultura di base (la cosiddetta alfabetizzazione efficiente) che solo i saperi umani, produttori di senso per eccellenza, riescono a garantire.
Intendiamoci: né Perrelli né Leone sono il nuovo. Entrambi hanno studiato da rettore, sebbene nessuno dei due abbia mai ricoperto incarichi (ad esempio, il prorettorato) che puntano in questa direzione. Ma nei loro casi la catena di trasmissione del vecchio notabilato matematico-ingegneristico risulta non poco allentata e la ricerca di consensi, a sua volta, è risultata trasversale a più settori.
Lo testimoniano due cose.
Innanzitutto, la mancata corsa alle candidature. Stavolta i pretendenti sono stati solo tre: oltre ai due rimasti in corsa, ha tentato la sfida, con l’avallo di Crisci, l’informatico Luigi Paolopoli, che si è ritirato dopo essere risultato terzo con circa 160 voti.
In secondo luogo, pesa anche la distanza risicata tra Leone – vincitore del primo turno con circa 334 voti complessivi, tra quelli interi del corpo docente e quelli frazionati dei rappresentanti degli studenti e del personale tecnico-amministrativo – e Perrelli, che lo tallona con circa 315 voti, su cui pesa il maggior consenso di studenti e amministrativi.
La partita è tutta aperta e la strada in salita.
Ma il problema reale non è tanto dell’Unical, perché è chiaro sin d’ora che il vincitore dovrà soprattutto barcamenarsi per tamponare la crisi, quanto della società civile calabrese, costituita anche da chi all’Università non è mai andato o l’ha fatta fuori regione. Già: in una terra bisognosa di tutto, gli input del mondo universitario sono essenziali e ora che anche il sogno della Silicon Valley calabrese (a cui si lega l’ascesa degli informatici) è fortemente ridimensionato, occorre ripensare il modello di sviluppo.
Anche per Perrelli la strada sarebbe in salita: le tante incrostazioni ideologiche, la persistenza fuori tempo massimo di visioni vecchie e i pochi legami con l’economia reale hanno penalizzato non poco le scienze umane e perciò il lavoro da fare sarebbe tantissimo. Senza considerare il peso dei tradizionali equilibri di potere, difficile da alleviare o riorientare.
Ma queste sono le preoccupazioni del dopo. Al momento, la parola tocca agli elettori, che dovranno tagliare in un senso o nell’altro il filo sottile che separa i due competitor.
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