Pop Evil: alt rock e metalcore dalla provincia americana
Il quintetto del Michigan sforna un album omonimo che oscilla tra suoni duri e melodie radiofoniche. Un curioso crossover
La provincia statunitense si conferma un buon vivaio per le mode rock. Lo confermano i Pop Evil, un quintetto di Grand Rapids, nel Michigan, dedito a un genere che, con una certa approssimazione, si può definire post rock.
In realtà, la band, arrivata al 18 anno di vita, dopo alterne vicende e cinque cambi di formazione, è piuttosto versatile e si dimostra a suo agio sia nelle sonorità più dure, tra l’hard e il metalcore, sia in ambiti musicali più morbidi, ai confini del pop.
E Pop Evil, il loro quinto album (il settimo, se si includono nella conta il disco autoprodotto del 2004 e l’ep del 2006), uscito a febbraio per la Eonemusic, lo conferma.
In particolare, dà prova di grande versatilità il cantante Leigh Kakaty, che alterna un approccio tosto e aperture melodiche. Valido anche il riffing dei chitarristi Nick Fueling e Dave Grahas: non parliamo di funamboli delle sei corde, ci mancherebbe, tuttavia i due picchiano seriamente e sfoggiano sonorità di tutto rispetto e Grahas riesce a ficcare qui e lì assoli efficaci e tecnicamente non banali.
Solida anche la sezione ritmica, costituita dal bassista Matt DiRito e dalla batterista Hayley Cramer, l’ultimo acquisto del gruppo, una bionda fine nell’aspetto e pesante nel tocco.
Nessuna meraviglia, allora, che Walking Lions, apra l’album col botto: ritmica tiratissima e cantato un po’ cantilenante alla Jane’s Addiction che culmina in cori ariosi. Con le successive Colors Bleed, Ex Machina e Art of War i cinque grand rapidians spingono alla grande nel crossover più forte fino a evocare, nell’ultima, i Rage Against the Machine.
L’anima più pop rock della band emerge invece nella radiofonica Be Legendary. Più sperimentale, ma ancorata a coordinate melodiche, Nothing but Thieves. Decisamente morbida A Crime to Remember, mentre God’s Dam si segnala per l’attacco che strizza l’occhio al reggae, prima di evolvere in sonorità grunge.
Orecchiabile, da festa liceale o da concerto all’aperto, When We Where Young. Melodica e un po’ epica Birds of Prey.
Rewind, una ballad che evolve in un crescendo arioso e cadenzato, chiude l’album con suoni un po’ più puliti.
Pop Evil ha ricevuto giudizi contrastanti: nessuno grida al capolavoro, ma quasi tutti i recensori che se ne sono occupati, hanno segnalato il contrasto tra la prima metà del disco, dura e gagliarda, e la seconda parte più commerciale.
In realtà, la band del Michigan ha un buon songwriting sia nei brani hard che in quelli più morbidi. Il problema, semmai, è nella coerenza stilistica, non sempre smagliante, e nell’originalità, che certo non abbonda.
Ma, detto questo, il loro disco merita più di un ascolto: forse come prova della maturità ci si sarebbe potuti aspettare qualcosa in più, però Pop Evil non è affatto male. Sentire per credere.
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