«Woodstock? Lo ricorda solo chi non c’era»
Ernesto Assante presenta a Taranto, durante il Medimex 2019, il suo volume dedicato alla prima, leggendaria edizione del celebre festival, che compie cinquant’anni
Tra i protagonisti delle book stories di Medimex 2019, svoltesi presso il Caffè Letterario di via Duomo a Taranto, c’è il giornalista e critico musicale Ernesto Assante, che ha aperto la rassegna musical-libraria con il suo. Woodstock 69-Rock Evolution, un volume densissimo, in cui racconta, attraverso le interviste ai protagonisti di quei tre giorni indimenticabili, il più importante evento della controcultura giovanile del XX secolo.
«Se qualcuno ricorda qualcosa di Woodstock, significa che non era presente», commenta Assante. Già, spiega il giornalista, tutti avevano assunto qualche sostanza anche in modo inconsapevole, e gli aneddoti che girano ancora sono frutto di invenzioni postume.
«Ho visto quel film per la prima volta quando avevo 13 anni e subito dopo ho pensato che la vita era quello e tutto il resto una grande baggianata. Alla visione di quella pellicola non provare delle emozioni è quasi da pazzi, quasi impossibile».
Il riferimento è al classico Woodstock-Tre giorni di pace, amore e musica, di Michael Wadleigh del 1970. Assante racconta di aver fatto vedere questo storico documentario alle figlie, perché Woodstock è un pezzo fondamentale della storia della musica di cui, seppur in modo indiretto, bisogna assistere e venirne a conoscenza.
La musica di Woodstock oggi la cataloghiamo come rock, ma non c’è un artista uguale all’altro. Il rock non è un genere, ma un’attitudine e un modo di vedere la musica. Prima nella controcultura i nomi erano i Beatles per l’Europa e la beat generation e gli hippie per gli Stati Uniti.
L’idea era di cambiare il mondo con la pratica quotidiana e di smuovere le persone non poteva valere solo per tre giorni, ma era un piccolo esempio da espandere il più possibile.
Pioggia, fame e tanto altro, si verificò in quei tre giorni. La condivisione anche nelle avversità era di aiuto, perché anche il casino diventa meno pesante se condiviso.
La musica continua, non si ferma e nonostante le condizioni avverse, le performance rimangono nella storia.
I Feel Like I’m Fixin To Die Rag cantata da Country Joe McDonald racconta in modo ironico e critico la guerra in Vietnam: «Torneremo nei sacchi neri, ma vinceremo la guerra!». Un coro da stadio urla: «Fuck!», per rifiutare il massacro.
Assante cita questo brano in particolare. Ma ce ne sono stati molti altri nati da un pensiero critico, che andavano quindi oltre le emozioni passeggere e miravano a far riflettere.
Oggi alla musica si chiede solo divertimento, non si pretende che ci cambi la vita. Decisamente altri tempi…
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