Motta: «I ragazzi non amano la musica? Colpa degli insegnanti»
Il cantautore si racconta a Taranto in un’intervista dal vivo nel corso di Medimex 2019. E, tra una domanda e l’altra, imbraccia la chitarra e intona i suoi successi
Motta, cantautore italiano che oscilla tra indie e pop rock, si racconta nell’incontro a lui dedicato nell’ambito di Medimex 2019 nella sala conferenze del Polo Universitario di Taranto.
Lo intervista dal vivo il giornalista Ernesto Assante.
Motta esordisce nel 2006 con i Criminal Jockers, band che dal buskers e dal punk si evolve verso sonorità new wave, quindi inizia la carriera da solista nel 2016, quando pubblica il primo album, La fine dei vent’anni. Dopo due anni esce il secondo disco Vivere o morire. Si esibisce insieme a più artisti tra cui Nada nell’ultima edizione del Festival di Sanremo e vince nella serata dei duetti.
Nel corso della chiacchierata, Motta si esibisce in alcuni piccoli pezzi delle sue canzoni più conosciute con la sua chitarra: da uno dei primi brani come La fine dei vent’anni, passando per Sei davvero bellaper finire a La nostra ultima canzone.
Un momento fondamentale per iniziare a creare parole e musica è registrarsi per poi riascoltarsi, risponde Motta alla domanda del giornalista su come un artista agli esordi capisca quale sia il proprio percorso musicale. Questo è infatti un passaggio importante: per capire dove si annida l’errore, bisogna essere molto critici e severi con se stessi.
È un metodo: «Non puoi stare lì a seguire solo i tuoi eroi musicali, ma devi fare musica tua, musica bella. È questo che rende unici, alcune volte anche i “difetti” e gli “errori”. Vale sia per le persone che per la musica».
Ma per approcciarsi alla musica un ruolo fondamentale lo rivestono gli insegnanti. Loro, secondo il cantautore toscano, hanno un ruolo basilare ma molto spesso non riescono per mancanza di voglia e di capacità di trasmettere la passione e la bellezza: «Non è solo la rottura di un martelletto, ma è divertimento. Il novantanove per cento dei ragazzi smette e preferisce giocare a pallone. Ci sono tanti modi per far capire che è bello inventare una storia di musica e parole». È una grande responsabilità insegnare musica, guidare un ragazzo attraverso le basi per farlo arrivare al meglio che arriva dopo, attraverso la libertà di esprimersi come meglio si crede. Arrivando al punto di percepire in modo pieno il proprio percorso.
Non capisce il motivo per cui alcuni investono tempo ed energia in una carriera musicale con il solo scopo di diventare famosi come avviene nei talent show: «Ho iniziato a fare musica perché era quello che sapevo fare, ma nemmeno tanto bene».
La sua vocazione musicale ha seguito varie traiettorie. Da piccolo ascoltava musica in continuazione, ora invece molto meno: «La musica è una sorta di solitudine condivisa con gli altri».
Un giovane artista con le idee chiare sulla musica per aver lavorato molto su se stesso. Si percepisce in lui la passione che va oltre la popolarità del momento. Creare musica e parole è un’arte e in tale modo va vissuta e sentita. Solo così è possibile lasciare traccia e continuare nel tempo a scrivere: essendo se stessi senza maschere e costruzioni.
Da ascoltare (e da vedere):
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