La più brutta campagna elettorale della nostra storia
Il marketing dei candidati è finto, in compenso crescono la volgarità e la violenza, non solo verbale
La politica vera è sparita dalla comunicazione pubblica, ridotta a immagini patinate e discorsi semplicistici
Anche le mafie sono scomparse dalle agende dei candidati. Restano le sterili polemiche sulla massoneria e le contumelie personali
Una bella citazione, colta ma non troppo, da un classico di Battiato: «Mandiamoli in pensione/i direttori artistici, gli addetti alla cultura».
Il Maestro cantava queste cose agli albori degli anni ’80, in spregio a una società in cui il benessere puzzava di finto e la comunicazione pubblica, ingessatissima, iniziava a produrre quel politically correct a cui l’Italia, più che satura e traumatizzata, si ribellò negli anni ’90 e di cui, tuttavia, sopravvive nell’immaginario collettivo una parte non inconsistente.
A vedere i toni surreali e un po’ trash – oscillanti tra l’artificiale e lo squallido – di questa brutta campagna elettorale, la più brutta di tutta la storia repubblicana, notiamo con sconforto quanto siano peggiorate le cose: alla classe politica di semianalfabeti corrisponde una banda di comunicatori che fanno a gara coi propri committenti per ignoranza. Infatti, sono riusciti a cancellare la politica dalla comunicazione politica.
Neppure il berlusconismo degli anni d’oro, comunque interpretato e divulgato da professionisti di grande competenza, era stato capace di tanto. Ancora c’era la capacità di dialogo coi media, per dirne una.
Ora, invece, questi uffici marketing sono in grado, sì e no, di confezionare precotti. Che di sicuro danno di che lavorare ai giornalisti. Ma non nel senso voluto: scandali a go go a dispetto della facciata perbenista e solidarista; gli spaccati di miseria, intellettuale ed umana, che emergono dietro la patina di azzimmata fighetteria.
Girate per le strade di qualsiasi città (meglio quelle di provincia, dove ci si conosce un po’ tutti e i raffronti sono più facili) e capirete: ex belle trasformate in milf seriose su manifesti al limite dell’improponibile; visi da buttafuori con cravatte costose o look finto giovanile; la voglia di spacciare per nuovi facce vecchie e cognomi sempiterni.
In compenso, sono quasi spariti i temi fondamentali.
Ad esempio, la mafia. Se n’è accorto Marco Minniti, il ministro dell’Interno uscente: nella “sua” Calabria nessun candidato ha parlato di mafia. E sì che lui si era dato da fare sin dall’inizio dell’anno con l’idea di un registro antimafia a cui iscrivere d’ufficio più o meno tutti i politici.
In compenso, hanno tenuto banco tre argomenti non proprio impellenti per le sorti del paese: l’esasperazione xenofoba, esplosa in seguito al terribile delitto di Macerata; il revival del vintage antifascista, a cui anche a sinistra credono sempre meno; e l’immancabile massoneria, che avrebbe infiltrato anche M5S.
Questo succede quando comunicazione e informazione entrano in conflitto.
A proposito degli ex grillini: anche la loro volgarità, che fa a gara con quella della Lega e con le tirate populiste degli scampoli di destra che cercano di barcamenarsi sotto l’ala benevolente di Berlusconi, sembra una boccata d’aria fresca. Per carità, vuota e stantia nelle sue tirate estreme (anche l’antipolitica mostra la corda perché la postipolitica l’ha superata), ma pur sempre capace di suscitare qualche rozza emozione. Eppoi, anche i pentastellati parlano alla pancia delle persone. Ma con la consapevolezza, condivisa solo da Salvini, di rivolgersi a pance che, per vari problemi, oltre la mortadella non possono proprio andare. Ché tanto chi può permettersi il caviale è una stretta minoranza.
Per fortuna siamo agli sgoccioli. Consigli per il futuro, posto che questa classe politica possa averne uno decente: fate fuori questi addetti stampa e maghi del marketing. Vi fanno sembrare peggiori di quel che siete. E non è poco.
Saverio Paletta
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